Una breve panoramica sull’antica tradizione della tessitura in Calabria. La lavorazione della fibra di ginestra, arbusto diffuso nell’ambiente mediterraneo, a lungo preziosa risorsa per l’economia delle classi meno abbienti, sopratutto rurali
di Angela Rubino
L’antica arte della lavorazione della seta è un argomento di cui parlo spesso nei miei scritti. Questo per vari motivi e soprattutto perché esso esercita su di me un grande fascino: un antichissimo retaggio bizantino che diviene parte integrante dell’identità di un popolo e Catanzaro, la mia città, che raggiunge livelli di eccellenza in questa nobile arte. E poi ancora la mia infinita ammirazione per la magia e la pregevolezza dei manufatti che ancora oggi possiamo ammirare e per l’intera filiera della lavorazione di uno dei filati più preziosi al mondo, ripresa dalla Cooperativa Nido di Seta, creata da un gruppo di giovani per i quali nutro una grande stima. Ma se l’arte della seta affonda le sue radici nel lontano periodo bizantino, la tessitura in genere risale ad un passato ancora più lontano, come dimostra il gran numero di contrappesi da telaio rinvenuti durante alcune campagne archeologiche di scavo. Il fatto che alcuni di essi risalgano al VII-VI secolo a. C. dimostra quanto antica fosse la conoscenza dell’arte della tessitura in terra di Calabria e come il telaio sia lo strumento che più di tutti rappresenta l’identità storica collettiva di questo popolo, che fece propria anche la lavorazione di fibre meno pregiate come la ginestra, il lino, la lana, più diffuse fra le classi meno abbienti, come ad es. quella contadina.
Un popolo unico, quello calabrese, ma non omogeneo e caratterizzato da un forte multiculturalismo, che si manifesta anche attraverso la diversificazione dello stile di quest’antica arte che, con le sue peculiarità, viene ancora oggi praticata in Calabria, dando vita ad una straordinaria varietà di manufatti artigianali la cui tipologia è legata all’area territoriale in cui vengono prodotti. Ad esempio, tipica dell’area della provincia di Cosenza è la realizzazione di coperte e tappeti con tecniche di matrice araba e caratterizzati dalla presenza di colori vivaci e luminosi e da motivi che richiamano i paesaggi locali. Sempre nel territorio cosentino, nei comuni abitati dalle popolazioni di origine albanese, la tessitura mostra i segni dell’identità di un popolo sradicato dalla propria terra che cerca di mantenere vive le proprie peculiarità. Dunque le decorazioni si legano ai motivi tipici delle terre balcaniche e le scene raffigurate al cammino sofferto di questi popoli in cerca di terre più sicure.
La tessitura artigianale nella provincia di Crotone da vita a tipiche coperte di lana caratterizzate da motivi tradizionali. Anche in provincia di Reggio Calabria e nell’area grecanica troviamo la produzione di coperte, ma il loro stile è diverso: sono chiamate “vutane” e sono tessute in teli rettangolari poi cuciti a tre a tre; i loro motivi decorativi risalgono alla tradizione bizantina. Le fibre utilizzate per la realizzazione delle “vutane” vanno da quelle più pregiate come il lino e la canapa, a quelle più semplici come la ginestra e la lana.
Tipica dell’area catanzarese e dei comuni di Tiriolo e Badolato è poi la produzione di splendidi scialli detti “vancali” e delle “pezzare”, utilizzate per abbellire le pareti domestiche; entrambi tessuti a strisce multicolori. Anche Catanzaro e il suo hinterland si caratterizzano inoltre per la lavorazione di filati come la seta, la lana, il lino e anche la ginestra.
La fibra di ginestra è l’argomento sul quale voglio soffermarmi adesso. Ho avuto la fortuna di conoscere l’intero processo di creazione di questa fibra, non pregiata come la seta, ma allo stesso modo affascinante se la si concepisce come dono di una natura generosa a genti povere che vivevano di duro lavoro e si procuravano il necessario per vivere con il sudore della propria fronte, attingendo a ciò che di buono i territorio poteva offrire. La ginestra è un bellissimo fiore che cresce nei terreni più impervi, aridi e sabbiosi. È una pianta tipica dell’area del Mediterraneo ed è amante del sole. I calabresi impararono a lavorarla per ricavarne una fibra robusta con la quale si potevano realizzare al telaio dei teli, a loro volta trasformati in coperte, strofinacci, asciugamani e anche indumenti.
Se oggi sono qui a scrivere questo articolo, dopo aver toccato con mano le varie fasi di lavorazione della ginestra è anche perchè la Calabria è ancora quel luogo incantato in cui i figli fanno tesoro del sapere e della saggezza dei padri e ne diffondono la conoscenza affinché il tempo non possa cancellare ciò che di buono ed autentico il passato ha saputo regalarci. È la figlia della signora Maria Rocca a raccontarmi con passione ed orgoglio di come sua madre usava ricavare una fibra utilissima da un insospettabile fiore.
La lavorazione avveniva in estate ed il luogo di riferimento è Petronà, piccolo comune di montagna della provincia di Catanzaro. Durante l’inverno le temperature diventavano davvero rigide e nel mese di agosto le donne si davano da fare per raccogliere la ginestra e dare vita al suo faticoso processo di trasformazione, che descriverò di seguito, indicandone le varie fasi:
Fase 1. Innanzi tutto bisognava capire quando era il momento opportuno per raccogliere gli arbusti che non dovevano essere troppo secchi, ma nemmeno troppo verdi. Una volta raccolti si creavano delle fascine.
Fase 2. Le fascine venivano poi messe a bollire in un calderone con della cenere e lasciate macerare per una notte intera.
Fase 3. Nel momento in cui gli arbusti iniziavano a cambiare colore e da verdi divenivano gialli, le donne davano vita al faticoso processo di sbattitura per permettere la fuoriuscita della preziosa fibra.
Fase 4. Una volta ottenuta la fibra, questa veniva cardata e ripulita.
Fase 5. A questo punto, con l’aiuto del fuso, la fibra veniva raccolta in unico filo.
Fase 6. Poi passando il filo all’arcolaio, si ottenevano le matasse.
Fase 7. A questo punto, dopo essere stata raccolta in gomitoli, la ginestra era pronta per essere tessuta al telaio oppure lavorata ai ferri.
Maria, alcuni anni fa dichiarava dalle colonne del quotidiano Calabria Ora, in un articolo firmato dal giornalista Enzo Bubbo, che «la ginestra fu una grande amica della Calabria in un’epoca di grande povertà, quando le famiglie non avevano di che coprirsi». Il duro lavoro delle donne di Calabria trasformava la ginestra in coperte, indumenti o altri tipi di biancheria usati quotidianamente.
La memoria di questo antico passato va tramandata affinché le nuove generazioni siano pienamente consapevoli di essere figlie di altri tempi. Tempi in cui la natura sapeva offrire all’uomo il necessario per il suo sostentamento e la felicità non era un’illusione racchiusa nel possesso di oggetti inutili, ma la magia dei momenti di socializzazione che anche il lavoro sapeva offrire, quando allietati dal suono di una fisarmonica si danzava al sole, sulla ginestra, per ottenere la fibra.
«Chi non sa da dove viene, non sa nemmeno dove sta andando», diceva Maria Rocca nell’articolo citato. Un’affermazione che fa capire come la diffusione delle antiche tradizioni sia anche sinonimo di identificazione nel popolo di appartenenza, che permette di sfuggire al rischio di appiattimento della globalizzazione.
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