di Redazione FdS
A guardare quei segni sulla soglia di pietra lasciati dalla porta par di sentirne ancora il rumore dei battenti, magari sospinti dal vento che a volte spira forte nella Valle dell’Esaro. E ti scopri a immaginare come doveva essere la vita, duemila anni fa, in queste ubertose campagne punteggiate di uliveti, ficheti, pescheti, orti e seminativi. Certo non dovette essere particolarmente dura per il ricco possidente a cui appartenne la villa con annesso complesso termale e raffinati pavimenti musivi i cui resti spiccano a Roggiano Gravina (Cosenza), a pochi metri dalla riva del Lago dell’Esaro, bacino artificiale giunto per caso secoli dopo a crearle intorno un contesto naturale di grande suggestione.
Siamo in uno degli angoli meno conosciuti di una regione a sua volta scarsamente conosciuta come la Calabria, in una vallata ubicata nell’area nord-occidentale, in posizione intermedia fra costa tirrenica e costa jonica. Una zona che nell’antichità funse da strategico punto di raccordo fra i due litorali e fu esposta al passaggio e all’insediamento di vari popoli. Risalendola da est, vi si incontrano borghi come Spezzano Albanese, Roggiano Gravina, San Lorenzo del Vallo, Santa Caterina Albanese, tutti di origine plurisecolare se non plurimillenaria. E proprio a Roggiano Gravina , in località Larderia, è il caso di fermarsi perché dopo decenni di inspiegabile abbandono, dal settembre 2017 i resti della villa romana sono stati finalmente resi fruibili (per ora solo su prenotazione, telefonando dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 12.00, al numero comunale 0984 501525).
Da queste parti prima dell’avvento dei Romani vivevano gli Enotri, a cui subentrarono i Bretti sotto il cui dominio la città di Roggiano (allora denominata Verge o Bergae) si schierò con Annibale, venendo perciò espugnata nel 204 a.C. dal console Publio Sempronio Tuditano. Iniziò così quella presenza romana che si protrasse fino al crollo dell’Impero, seguito da una lunga catena di domini stranieri: da quello dei Goti a quello di Longobardi, Bizantini, Saraceni, Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi.
La villa romana, una domus patrizia databile fra il I sec. a.C. e il III sec. d.C., si trova a poca distanza dal confine con l’affascinante borgo di Altomonte, nella cui contea i suoi resti rientravano fino al 1806. Il nome della contrada in cui ricadono, Larderia, secondo la tradizione alluderebbe a fiorenti allevamenti di suini anticamente presenti nel vicino bosco del Farneto.
La villa si raggiunge facilmente percorrendo la provinciale che collega Roggiano con Altomonte. Collocata a mezza costa sulla fertile vallata e digradante su due livelli verso il lago, mostra diverse fasi di costruzione e una lunga continuità d’uso che va dall’età augustea a quella tardo-imperiale. I primi rinvenimenti risalgono al 1973, ma è soprattutto fra i primi anni ’80 e il ’98 che vengono portate alla luce rilevanti strutture murarie. Il complesso è esteso su una superficie di 50 x 60 m. ma le prospezioni geofisiche lo danno di più ampia consistenza. Il primitivo impianto viene ascritto all’Età Augustea, in un momento di organizzazione delle città e delle campagne che in questa zona coinvolse gli importanti centri di Copia e Consentia, mentre ulteriori strutture sono riferibili al II e III sec. d.C.
Gli spazi molto articolati della villa messi in luce, comprendono fra l’altro tre ambienti comunicanti, un grande vano rettangolare, un grande ninfeo a esedra semicircolare (a ridosso del quale in epoca moderna è stata impostata una piccola casa colonica), un ambiente dotato di un sistema di canalizzazioni che fa pensare a una latrina. Alcuni ambienti risultano dotati di ipocausti (sistema di riscaldamento basato sulla circolazione di aria calda entro cavità poste nel pavimento e nelle pareti) alimentati da praefurnia (i forni in materiale refrattario nei quali si bruciava il combustibile). Di un ambiente quadrato si è conservata la soglia con i segni di una porta a due battenti. Nel suo livello superiore la villa si sviluppava intorno a due spazi scoperti, mentre due rampe di scale servivano a collegare le diverse quote dell’impianto che segue l’andamento del terreno.
Negli ambienti orientali del complesso, corrispondenti alla parte residenziale vera e propria, scavata solo in parte, troviamo ampie porzioni dell’antica pavimentazione musiva, declinata per lo più in eleganti forme geometriche: quadrati, ottagoni, cerchi, croci, ma anche fiori a quattro petali, lunghi steli con giglio dal petalo a fuso, quadrilobi di pelte, rosette. Alcuni dei motivi trovano analogie con quelli presenti in mosaici della notevole villa romana di località Palazzi a Casignana (Reggio Calabria), ma non mancano assonanze con mosaici presenti in varie altre località dell’impero.
Il settore occidentale della villa era invece occupato da un grande complesso termale del III secolo, realizzato nella seconda fase dell’edificio ma presto sottoposto a qualche piccola modifica; cambiamenti più rilevanti furono apportati in epoca molto tarda, forse in fase di defunzionalizzazione dell’impianto, con la destinazione di alcuni vani ad attività produttive fra cui una fornace per terracotte datata dopo il III sec. Di particolare rilievo un lungo vestibolo non riscaldato col pavimento decorato da un ricco mosaico policromo del III sec., con tessere bianche, nere, grigio-bluastre, blu e rosse, articolato in un ricco gioco di quadrati, ottagoni irregolari, quadrilobi, rosette, pelte, diamanti e nodi di Salomone. In un punto di passaggio è stato rinvenuto un lacerto di mosaico (oggi custodito al Museo Archeologico nazionale della Sibaritide) decorato a losanga con esagono inscritto e pelte affrontate agli angoli acuti; nell’esagono un fiorone a petali affusolati in tessere blu e dardi oblunghi in tessere rosse.
Delle terme rimane inoltre il grande frigidarium (sala destinata ai bagni in acqua fredda) con tracce di alcune vasche (alveus) e frammenti delle lastre marmoree di rivestimento. Seguono altri due ambienti di cui il primo è una sala senza tracce di pavimento musivo e il secondo un piccolo vano quadrato fungente da cerniera con il settore riscaldato del complesso e dotato di mosaici a losanghe e triangoli. La serie di ambienti caldi inizia con una vano dotato di praefurnia, pareti rivestite di tubuli (tubi di laterizio in cui circolava l’aria calda) e di due vasche di cui restano tracce: era il calidarium, ossia la zona destinata ai bagni in acqua calda e a quelli di vapore. Anche qui rimangono tracce di mosaici decorati a rettangoli in tessere nere e quadrati in tessere bianche. Segue un ambiente quadrato dotato di ipocausto e di un proprio praefurnium, con porzioni di pavimentazione musiva a tessere bianche e nere composte a scacchiera. Due grandi laconica (ambienti per i bagni di sudore), dotati di tubulatio e praefurnia, concludono l’impianto termale e presentano tracce di una pavimentazione musiva policroma che alterna nel primo motivi a fasce, quadrati, cerchi, crocette, pelte, fioroni a petali lanceolati, bilobati e dardi; e nel secondo motivi a treccia iridata, quadrati, meandri spezzati, fioroni a doppia corolla con quattro fusi e quattro petali a hedera intervallati da altrettanti gigli.
Questa residenza non fu un insediamento romano isolato, come testimonia la presenza di una grande villa rustica anche nella vicina località S. Stefano-Serra dei Testi comprovata dal rinvenimento di giare di grandi dimensioni per olio e vino (dolia), elementi architettonici, tubature in piombo e un ripostiglio monetale; dai resti di un’altra villa-fattoria (un rocchio di colonna e alcune tessere musive) emersi in località Madonna della Strada; e dalla presenza di una piccola necropoli accertata in località Garofalo, con materiali databili al II-III sec. d.C. Una vera e propria città di età repubblicana (frequentata fino al VI sec. d.C.) è emersa invece in località Pauciuri, nel vicino comune di Malvito, ma è in gran parte ancora da scavare.
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Bibliografia:
– Carmelo G. Malacrino, Architettura e mosaici della villa romana di loc. Larderia a Roggiano Gravina (CS), in Atti del XVIII Colloquio della Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Cremona 14-17 marzo 2012, pp. 473 – 490
– Lorenzo Quilici, Stefania Quilici Gigli, Opere di assetto territoriale ed urbano, ed. L’Erma di Bretschneider, Roma, 1995, pp. 252
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