Nell’area dell’antica colonia greca di Thurii è emersa la sepoltura di un seguace dell’Orfismo. L’interessante scoperta è al centro di un’inedita iniziativa di archeologia pubblica
di Redazione FdS
Per la prima volta un importante contesto archeologico come quello di Sibari è al centro di una iniziativa assolutamente inedita per la Calabria, grazie alla collaborazione tra la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Provincia di Cosenza e il Parco archeologico di Sibari. Si tratta della realizzazione pubblica di un microscavo con conseguente restauro dei reperti, su una deposizione funeraria rinvenuta nella tarda primavera dello scorso anno in contrada Favella della Corte, in un’area che si ritiene utilizzata come necropoli dagli abitanti dell’antica colonia panellenica di Thurii, città sorta nel V° sec. a.C. per volontà di Atene nei pressi della distrutta polis magno-greca di Sybaris. Il ritrovamento, avvenuto in territorio di Cantinella, frazione di Corigliano Rossano (Cosenza), è stato presentato ufficialmente questa mattina nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso il Museo Nazionale di Sibari. La tomba rinvenuta (catalogata come “22.1” e datata orientativamente al IV sec. a.C. in attesa di ulteriori approfondimenti) è considerata di particolare interesse in quanto, tra gli elementi del corredo che è stato possibile recuperare nell’immediatezza, sono emersi i frammenti di una lamina aurea del tipo cosiddetto “orfico”, aggettivo che allude all’adesione del defunto – in questo caso molto probabilmente una donna – alla dottrina misterica dell’Orfismo, movimento religioso di carattere iniziatico affacciatosi in ambito greco fin dal VI secolo a.C.
LE LAMINETTE AUREE E LA RELIGIONE ORFICA
L’Orfismo, come altre coeve dottrine filosofiche e religiose, era caratterizzato dalla convinzione che l’anima sopravvivesse al corpo e che dopo la morte si reincarnasse, perpetuando un doloroso ciclo di vita-morte-rinascita; condizione tuttavia superabile intraprendendo un virtuoso percorso in vita e, dopo la morte, applicando quanto appreso attraverso l’iniziazione orfica. Nell’aldilà l’anima avrebbe dovuto infatti intraprendere un cammino ben preciso, evitando una serie di ostacoli per raggiungere uno status di beatitudine perenne. La peculiarità delle lamine orfiche – rara testimonianza del suddetto complesso di riti e credenze, per molti versi ancora misterioso – è appunto quella di contenere alcune “istruzioni” scritte in greco antico e destinate al defunto, concernenti la condotta da tenere nel viaggio oltremondano, oltre ad invocazioni rivolte a divinità ctonie, il tutto volto a garantirgli il raggiungimento dell’agognata condizione di beatitudine. Tali lamine venivano poste nella tomba sul corpo del defunto o nei suoi immediati pressi, come riscontrato anche nel recente ritrovamento.
Il territorio calabrese ha già restituito in passato significativi esempi di tali laminette: dal gruppo risalente al IV secolo a.C. ritrovato nel 1879 in due grandi tumuli funerari (localmente detti ‘timponi’) proprio nel territorio di Thurii e custodito presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, a quella proveniente da Hipponion (odierna Vibo Valentia), del tardo V sec. a.C., recuperata durante uno scavo scientifico e considerata una tra le più complete, a quella infine di Petelia (odierna Strongoli), del IV secolo a.C., proveniente da una collezione privata e quindi fuori da un contesto scientifico, oggi custodita al British Museum. La datazione delle laminette, di cui altri esemplari provengono dalla Tessaglia e da Creta, viene effettuata sulla base dei vasi posti a corredo della tomba oltre che dell’analisi degli elementi paleografici, aspetti che naturalmente saranno presi in considerazione anche nello studio della sepoltura rinvenuta lo scorso anno a Cantinella. Più in generale il carattere scientifico del nuovo studio potrebbe consentire finalmente di sapere qualcosa in più su chi fossero le persone che 2300 anni fa credevano nella metempsicosi e praticavano rituali per raggiungere la beatitudine oltre la morte.
LA TOMBA
A descrivere la tomba scoperta di recente è Filippo Demma, Direttore del Parco archeologico oltre che Direttore Regionale Musei Calabria: “Si trattava di una fossa foderata da tegole, con una copertura ad arconi, pure in laterizio, parzialmente crollata. Dalla falla prodotta nel crollo si erano infiltrati acqua e terra che avevano coperto il corpo del defunto e verosimilmente spostato il corredo. Furono recuperati presso un margine della sepoltura due vasetti [un piattino con fondo ad anello e un guttus-poppatoio integri, entrambi a vernice nera – NdR] ed alcuni piccoli grumi metallici di un bel giallo lucente che le prime verifiche hanno subito confermato trattarsi di oro”.
L’archeologa Sara Marino e la Soprintendente Paola Aurino, attive sul luogo del ritrovamento – hanno quindi deciso di coinvolgere il Parco archeologico di Sibari che da qualche tempo ha un accordo con la Soprintendenza di Cosenza secondo il quale i materiali rinvenuti in tutti i comuni della Sibaritide vengono trasportati nei magazzini del Museo che restano a disposizione degli archeologi insieme ai laboratori di restauro e agli uffici. Questo – spiega Demma – “consente di saltare ulteriori passaggi burocratici e di procedere nel Parco stesso al restauro, allo studio e alla valorizzazione dei reperti d’intesa con la Soprintendenza”. Sulla base di questo protocollo la deposizione, imballata e protetta, è stata quindi prelevata per intero e trasportata nei laboratori del Parco.
IL CONTESTO DEL RITROVAMENTO
L’area di Favella della Corte – riferiscono dal Parco archeologico di Sibari – non è legata soltanto a ritrovamenti inerenti al periodo magno-greco ma anche a epoche più remote. Infatti nel 1954 l’archeologo americano Donald Brown, seguendo lavori di trivellazione dell’area, scoprì a Favella della Corte un importante sito risalente all’età della pietra, esplorato poi da Santo Tinè negli anni ’60 e dalla Soprintendenza calabrese con diverse campagne tra 1990 e 2002. Le ricerche hanno accertato la presenza di ben due villaggi risalenti alle fasi antica e recente del Neolitico (rispettivamente 7800 e 6000 anni fa circa), che insieme costituiscono uno dei casi archeologici più notevoli per lo studio di quest’epoca in Italia. La stessa area ha però restituito anche tracce più recenti, risalenti proprio all’occupazione del territorio da parte dei coloni di Thurii: si tratta di fattorie e, soprattutto, di sepolture databili all’età ellenistica, tra IV e III secolo a.C. Semplici tombe a fossa, tombe a cassa e tombe “a cappuccina” con coperture a doppio spiovente di tegole (una delle tombe rinvenute e il suo corredo sono esposti nel museo) affiancano così i monumentali tumuli scoperti nell’800 definendo il locale “paesaggio” funerario.
IL PROGETTO DI ARCHEOLOGIA PUBBLICA
I frammenti aurei – aggiunge il direttore del Parco – sono stati affidati alle cure della STAR Infrastruttura di Ricerca dell’Università della Calabria i cui esperti li hanno sottoposti ai raggi x e ad una tomografia assiale computerizzata accertando che si tratta di sottili foglie d’oro accartocciate intenzionalmente e recanti iscrizioni in alfabeto greco a lettere maiuscole volte a formare un testo disposto su almeno 4 righe (ma potrebbero essere di più) al momento in corso di decifrazione. Il passaggio successivo – grande novità legata a tale ritrovamento – è stato quello di avviare un progetto di archeologia pubblica che, alla presenza dei visitatori, vedrà l’antropologa fisica Barbara Albanese procedere al microscavo della deposizione e alle prime analisi. Le osservazioni antropologiche e le analisi dei campioni prelevati dalle ossa dell’inumato ci racconteranno la storia del defunto: il sesso, l’età al momento della morte, un’idea della sua provenienza geografica, eventuali patologie, lo stato nutrizionale, demografia e altre caratteristiche della popolazione di appartenenza, contribuiranno a capirne lo status sociale.
Accanto alla prima sono installate altre due postazioni con microscopio elettronico, scanner 3d e altri strumenti tecnologici che consentiranno di effettuare le prime ricerche su tutti i campioni che si riterrà necessario prelevare. L’archeologa Donatella Novellis effettuerà invece le indagini paleobotaniche volte a rilevare tracce di elementi vegetali connessi ai rituali di sepoltura. Nello stesso contesto il restauratore Giuseppe Mantella e i suoi collaboratori procederanno al restauro della copertura della tomba e di tutti gli elementi di corredo che dovessero emergere dal microscavo, compresi ulteriori frammenti della laminetta o altri esemplari interi. Dall’indagine ci si aspetta inoltre di riuscire a raccogliere dati sugli eventuali residui di contenuto dei vasi di corredo, sulle terre di copertura, sulle materie prime utilizzate per la realizzazione degli oggetti in ceramica, sulla provenienza dell’oro impiegato per le laminette.
“All’ingresso dei laboratori – conclude Demma – una piccola mostra presenterà la parte di corredo già restaurato della tomba recuperata a Favella l’estate passata, ma anche la ricostruzione della copertura ed il corredo di una sepoltura più antica, che fu scavata poco distante negli anni ’90, e che è rimasta inedita. Una decina di chiari pannelli didattici, con testi brevissimi in italiano ed inglese, spiegheranno ai visitatori dove sono e cosa sta succedendo. Il laboratorio sarà aperto al pubblico tutti i giorni dalle 9:30 alle 18:30, sabato e domenica compresi, ad eccezione del giorno di Pasqua, mentre riaprirà per la Pasquetta. Le scuole del territorio hanno già prenotato le visite gratuite, offerte dal Parco, ma ancora resta qualche slot a disposizione. E così, per la prima volta, il pubblico di un Museo potrà assistere in diretta alla costruzione della storia, alla raccolta ed all’interpretazione dei dati, potrà capire i meccanismi che fanno funzionare la ricerca, entrarci dentro.”
L’IMPORTANZA DEL DIALOGO COL TERRITORIO
Alla conferenza stampa di presentazione dell’evento, trasmessa oggi in diretta streaming sui canali social del Parco di Sibari, erano presenti sindaci e altre autorità civili, militari e religiose, oltre naturalmente ad esperti del settore. Al tavolo dei relatori, oltre a Filippo Demma e Paola Aurino, erano seduti Vito D’Adamo, rappresentante del Ministero della Cultura oltre che membro del Consiglio di Amministrazione del Parco, Fabrizio Sudano, Direttore del Segretariato Regionale del Ministero della cultura per la Calabria, e Rosario Varì, assessore della Regione Calabria con deleghe allo sviluppo economico e agli attrattori culturali, in rappresentanza del Presidente Roberto Occhiuto. Uno tra gli interventi più interessanti è stato quello di Vito D’Adamo che ha inquadrato l’iniziativa di archeologia pubblica in una prospettiva più generale di attenzione rivolta al territorio della Sibaritide. In particolare ha ricordato come il Parco di Sibari, oggi istituto autonomo dei beni culturali con un suo consiglio di amministrazione, sia stata la sede nel 2019 di un comitato per l’ordine e la sicurezza affinché, forte dei tanti investimenti e in discontinuità con un discutibile passato – possa essere oggi un importante presidio in una zona dalle grandi potenzialità. Sul piano più specifico della sicurezza – ha spiegato D’Adamo – l’azione di presidio passerà attraverso l’uso di nuove tecnologie, ossia attraverso un sistema integrato di controllo del territorio con l’uso dell’intelligenza artificiale, dei satelliti, del monitoraggio di sito.
A ciò va ad aggiungersi l’importante percorso di interlocuzione col territorio avviato dal direttore Demma, in quanto “un museo non è un elemento inerte preposto solo a rappresentare lo Stato ma anche un soggetto promotore di sviluppo. Pertanto, oltre alla fondamentale azione di tutela che le autorità ministeriali sono chiamate a svolgere, e che è tanto più necessaria in un territorio difficile come questo, occorre promuovere il grande valore culturale di un’area che ha catalizzato massicci investimenti”. Il Museo di Sibari ha dunque assunto il ruolo di artefice di un progetto di sviluppo territoriale, e in tal senso è in corso anche una collaborazione con la Regione Calabria attraverso un previsto accesso ai Fondi di Sviluppo e Coesione, menzionati anche dall’assessore Varì nel suo intervento. In tutto questo – ha aggiunto D’Adamo – “ricerca e tutela dovranno andare di pari passo con la valorizzazione, ossia con la fruibilità dei monumenti”. Un cenno anche alla promozione del territorio, “che passa anche attraverso una collaborazione con la Calabria Film Commission e con Cinecittà, in considerazione dell’interesse manifestato da produzioni cinematografiche straniere verso un territorio come questo nel quale sono state riconosciute affinità con quello mediorientale difficilmente praticabile per note ragioni”. Altro strumento messo in campo – ha concluso – è “la creazione di una rete con i musei civici, i musei d’impresa – come ad es. il vicino Museo della Liquirizia Amarelli – e altri musei privati presenti sul territorio”.
Dopo la conferenza stampa i presenti hanno fatto visita ai laboratori di cui era prevista l’apertura al pubblico a partire dalle 14 mentre alle 17 si è tenuta la conferenza della Soprintendente Paola Aurino e del dott. Filippo Demma dal titolo: “Mnemosyne: la memoria e la salvezza. La produzione della conoscenza dagli scavi del territorio ai laboratori del Parco archeologico di Sibari”.
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