di Kasia Burney Gargiulo
Ad Antonello Gagini, scultore e architetto siciliano, forse il più prolifico degli artisti che hanno incarnato l’esperienza rinascimentale in Calabria – figlio del ticinese Domenico Gagini, a sua volta allievo del Brunelleschi e capostipite in Sicilia di un’intera famiglia di artisti – è toccato il compito di inaugurare il progetto Rinascimento D’Aspromonte. Finanziata dall’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e la Provincia di Vibo Valentia e dell’ufficio per i beni culturali dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria, l’iniziativa muove dal restauro del prezioso gruppo statuario dell’Annunciazione custodito nella chiesa di San Teodoro Martire a Bagaladi, piccolo borgo grecanico del reggino. Uno straordinario capolavoro, praticamente sconosciuto ai più. L’intervento è parte di una più ampia operazione di promozione territoriale e culturale incentrata sulle sculture dell’artista siciliano e sulle altre opere rinascimentali: sono infatti circa 30 le sculture mariane databili tra fine ‘400 e metà ‘500 conservate nei borghi che coronano la grande montagna calabrese. A tale scopo il restauro è integrato da attività divulgative che contemplano la realizzazione di pannelli didattici sul gruppo del Gagini, di un documentario ad esso dedicato e di una serie di puntate radiofoniche condotte dall’antropologa Patrizia Giancotti sugli aspetti etnografici del culto mariano in Aspromonte, il cui territorio sarà meta di itinerari turistici appositamente tracciati.
Dal silenzio dell’oblio e dell’indifferenza alla riscoperta dunque di un patrimonio che promette di riservare piacevoli sorprese agli amanti dell’arte, spesso ignari di quanto in questo estremo lembo di Calabria si conservi – come afferma lo scrittore seminarese Santo Gioffré – “un patrimonio scultoreo cinquecentesco fra i più cospicui, non soltanto all’interno della regione, vantando circa un centinaio di esemplari” ma che “nonostante l’avanzamento degli studi, è ancora in attesa di essere inserito all’interno di un programma organico di conservazione e valorizzazione”.
“ANNUNCIAZIONE” DEL GAGINI: FISIONOMIA DI UN CAPOLAVORO
Siamo dunque di fronte ad un provvidenziale cambiamento di rotta? Sembrerebbe di sì, ma intanto godiamoci la riscoperta di questo capolavoro giovanile del Gagini nel quale il dialogo fra Maria e l’Arcangelo Gabriele che le annuncia il concepimento e la nascita virginale di Gesù – svolto sotto lo sguardo amorevole di un Padre Eterno circondato da cherubini – appare totalmente interiorizzato nella solenne e distaccata ieraticità dei volti delle due figure scolpite a tutto tondo, collocate entrambe su scannello e separate da un leggio decorato con fregio a rilievo. Una solennità che sembra però improvvisamente attenuarsi se, cambiando punto di osservazione – da quello frontale a quello laterale destro – si osserva come il volto della Vergine passi da un’espressione austera a un’altra di estrema dolcezza. Potenza del talentuoso e raffinato scalpello di un artista la cui esperienza travalicò i confini della Sicilia raccogliendo in varie fasi le suggestioni di una Toscana in pieno fermento, dei suoi echi lombardi e di una Roma segnata dal genio michelangiolesco. Stabilitosi nella sua amata isola, questo “scultore rarissimo”, come lo definisce il Vasari, raggiunse un successo tale da aprire, dopo la sua prima bottega a Messina, ben altre due a Palermo, una presso il Duomo e l’altra presso quel Porto da cui numerosi capolavori sarebbero partiti per il resto della Sicilia e per la Calabria.
La sua Annunciazione, oltre ad essere una fra le opere scultoree più significative del patrimonio culturale calabrese, è considerato il primo esempio della carriera di architetto di Antonello Gagini: il gruppo, nella sua sede originaria all’interno della chiesa dell’Annunziata, distrutta dal terremoto del 1908, era infatti collocato in un’edicola il cui effetto spaziale, più ampio ed articolato di quello attuale, conferiva maggior risalto ai volumi delle sculture, come rivela una vecchia immagine fotografica reperita negli archivi vaticani. Realizzata nel 1504, l’opera fu commissionata dal chierico Jacopo Verduci, il cui nome è ancora leggibile nell’epigrafe (Hoc opus fecit fieri presbiter Iacopus D. Virducio ad Nunciatae Virginis honorem) che corre lungo il fregio dell’architrave sostenuto ai lati da una coppia di paraste secondo uno schema che ricorda analoghi modelli in terracotta policroma dei Della Robbia, nonchè l’Annunciazione di Bernardo Rossellino ad Empoli e quella di Donatello in Santa Croce a Firenze. Per il contesto culturale dell’Aspromonte meridionale l’arrivo di quest’opera fu una vera novità, perchè ‘rompeva’ con le forme astratte di matrice bizantina ancora in auge in un’area fortemente grecizzata nella lingua, nei costumi e anche nel gusto. Lo stesso committente era infatti un esponente del clero greco, la cui fortuna, derivante forse dal fiorente commercio della seta grezza, gli aveva permesso di acquistare un capolavoro dall’artista meridionale più famoso del tempo. Siamo negli anni in cui nel resto della Penisola operavano artisti del calibro di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, mentre il Regno di Napoli, poco tempo dopo la Battaglia di Seminara (1495), passava nelle mani del sovrano spagnolo Ferdinando il Cattolico che vi instaurava il Vicereame.
IL RESTAURO
Ormai da tre mesi l’Annunciazione del Gagini è oggetto di un delicatissimo intervento di restauro promosso dal Comune di Bagaladi (RC) e condotto dal restauratore e storico dell’arte Pasquale Faenza. L’intervento è stato preceduto da una attenta serie di indagini scientifiche finalizzate a vagliare le metodologie più indicate per la salvaguardia e la valorizzazione dell’opera. Le ha eseguite il Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto, centro di eccellenza del Mibact, riuscendo ad appurare la tecnica artistica utilizzata dalla bottega del Gagini per portare a termine l’opera. In particolare si è voluto comprendere la natura dei pigmenti e l’entità delle dorature che in origine impreziosivano la superfice marmorea, delineata oltre che dagli strumenti dello scultore anche dai rifessi dell’oro e dalle sfumature dei colori. Altre indagini hanno puntato a stabilire l’effettivo stato di conservazione dell’opera, mentre una scrupolosa ricerca storico-artistica ha portato non solo ad attribuire due corone in argento al corredo della splendida Madonna rinascimentale, ma anche a ritrovare preziose foto d’epoca che ritraggono il momumento nella sua chiesa di origine contribuendo ad accertare ulteriori e importanti aspetti. Il cantiere del restauro, ancora in corso di svolgimento, è rimasto aperto nei mesi di luglio e agosto alla visita di cittadini e turisti (riapre in via eccezionale il 22 settembre per le Giornate Europee del Patrimonio) grazie alla collaborazione tecnica dei tirocinanti dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila e del CESMA, ente piemontese di formazione specializzato nel campo dei Beni Culturali, introducendo i visitatori nel vivo delle operazioni di restauro ed offrendo, attraverso visite guidate curate della Cooperativa Grecale, tutte le informazioni sull’Autore e sull’opera.
L’ARTISTA E IL CONTESTO
L’attività divulgativa che accompagna il restauro consente fra l’altro di ripercorrere le vicissitudini del maestro siciliano in questa finis terrae del continente europeo, dove egli esercitò anche altre attività commerciali, come rivela un documento che lo vede impegnato nella compravendita di panni piemontesi da destinare ai mercati calabresi. E’ al tempo stesso un viaggio tra i feudatari più potenti del Regno, quali i Ruffo di Sinopoli e quelli del ramo di Palizzi e Brancaleone, a cui si deve, molto probabilmente, la committenza della Madonna dell’Alica della chiesa del Santo Spirito di Pietrapennata, un tempo posta sull’altare maggiore del vicino monastero basiliano ubicato sul crinale sovrastante Capo Spartivento, ultima propaggine meridionale d’Italia; così come la successiva Madonna del Pilerio, a Sinopoli Superiore, realizzata per volere del conte di Sinopoli, Giovanni Ruffo, poco prima che il Gagini lasciasse defnitivamente Messina alla volta di Palermo, dove insieme ai figli avviò il cantiere più imponente mai commissionatagli: la Tribuna della Cattedrale di Palermo. Sarà possibile più in generale seguire gli sviluppi artistici di Antonello, dalla giovanile Annunciazione di Bagaladi alla più matura Madonna della Grotta di Bombile, del 1509, dalla Madonna degli Angeli di Seminara, modello indiscusso per tutti i suoi seguaci, al celebre rilievo, dell’Incredulità di S. Tommaso, nella Cattedrale di Gerace, voluto nel 1531 dall’abate del cenobio agostiniano di Santa Maria “de’ Crochi”.
GLI ASPETTI ETNOGRAFICI
Questo itinerario nei luoghi e nella storia non trascura neppure le suggestioni delle tante feste mariane celebrate in quasi tutti i borghi aspromontani, dove processioni, veglie e preghiere si svolgono al cospetto di “Vergini” austere, come la Madonna del Leandro, a Motta San Giovanni, o quella del Pilerio della chiesa madre di San Lorenzo, nel reggino jonico, provenienti dalla bottega di Giovanbattista Mazzolo, prolifico scultore gaginesco, la cui fortuna si deve proprio al trasferimento a Palermo di Antonello, la raffinatezza del cui scalpello rivive anche nelle tarde opere di Rinaldo Bonanno, come la Madonna dell’Isodia a Bova, del 1584, e forse anche l’enigmatico S. Giovanni Evangelista della chiesa dell’Annunciata di Motta S. Giovanni, il quale ancora oggi continua a dividere gli studiosi tra chi vi riconosce un seguace del Gagini, chi vi intravede la mano dello spagnolo Diego de Siloe, e chi lo considera invece opera di Martino Montanini, giunto a Messina nel 1547 al seguito di Giovanni Angelo Montorsoli.
L’Aspromonte dunque aspetta chiunque voglia scoprirne i tesori nascosti e lo fa offrendo itinerari fra arte e natura pieni di storie, aneddoti e prove di fede come il pellegrinaggio settembrino al Santuario di Polsi in cui si venera la Madonna della Montagna, titolo con cui i calabresi sono soliti indicare quella che per loro è la “montagna” per antonomasia. È infatti qui, più che altrove, che il culto della Vergine si intreccia con la venerazione dell’Aspromonte, da sempre fonte di vita e di sussistenza. Il forte legame instauratosi in questi luoghi fra arte, devozione e vita quotidiana lascia infatti emergere un aspetto importante su cui si è soffermato lo scrittore calabrese Santo Gioffré e cioè “quello che queste opere continuano a rappresentare per la comunità che le custodisce, ancora rapita dal fascino arcano che promana dalla dura, levigata materia miracolosamente domata dagli strumenti dell’artefice”. Sembra ancora persistere – spiega – lo stupore che “il prodigio estetico” di tali immagini sacre generò nel momento del loro irrompere nella vita quotidiana degli umili fedeli, inducendoli spesso a creare la mai tramontata leggenda della statua che giunta dal mare, o ritrovata per caso, sceglie di radicarsi in quella determinata comunità e là resta contro ogni contraria volontà umana. Ecco che in un tale contesto – conclude lo scrittore – “il ruolo dell’originario committente passa, così, in secondo piano fino a svanire completamente dalla memoria collettiva che, semplicemente, individua nell’opera un dono del cielo, il segno indelebile di un legame privilegiato con il Divino”.
RIFLETTORI ACCESI SUL RINASCIMENTO IN CALABRIA
Negli ultimi anni in Calabria si è aperta una interessante riflessione fra storici, filologi, storici dell’arte, archeologi, storici dell’architettura, intorno ai caratteri che in questa regione ha assunto l’esperienza culturale e artistica del Rinascimento. Ciò che qui può dirsi in estrema sintesi è che in Calabria, in quel momento cruciale per il pensiero e le arti occidentali, non è mancato un dialogo con quanto avveniva a Napoli, a Roma, in Toscana e in altri luoghi: nel campo delle lettere e del pensiero filosofico, a condurre quel dialogo troviamo figure autoctone di grande rilievo come l’umanista Aulo Giano Parrasio fondatore dell’Accademia Cosentina, una delle primissime nate in Europa, o il filosofo Bernardino Telesio, considerato l’iniziatore della scienza moderna, precursore di Bacone e Galileo. Ma risalendo ancor prima alle fonti stesse della cultura umanistica che del Rinascimento ha rappresentato l’humus filosofico-letterario, non si può non ricordare l’attività di conservazione e copiatura dei testi classici compiuta presso gli scriptoria delle locali comunità monastiche, che hanno permesso alla Calabria – per secoli depositaria della cultura antica, soprattutto greca – di contribuire in modo rilevante all’attività di recupero, studio filologico e pubblicazione di quei testi, così come di creazione letteraria, filosofica e artistica che Umanesimo e Rinascimento improntarono ai principi di centralità dell’Uomo e della Natura propri del pensiero antico. Non è infatti un caso che figure di spicco di quella temperie culturale come il Petrarca e il Boccaccio abbiano riconosciuto il loro “debito” verso una terra che a suo tempo ha guardato alle locali memorie magnogreche, e talora anche pre-greche, come ad elementi basilari della propria identità (il maestro di greco del Petrarca fu il calabrese Barlaam di Seminara, mentre il suo concittadino Leonzio Pilato fece conoscere al Boccaccio la prima traduzione in latino dei poemi omerici).
Dal punto di vista delle arti figurative e dell’architettura, non sono mancati in Calabria contatti e scambi fra artisti e committenti – favoriti soprattutto dagli stretti rapporti con la Sicilia, Napoli e la Spagna – consentendo al Rinascimento di lasciare una significativa impronta di sè in una regione che specie nella prima fase del XVI° secolo ha attraversato un periodo di rilevante crescita economica demografica e culturale, con una classe feudale tutt’altro che restia a celebrare attraverso l’arte il proprio status o la propria devozione religiosa. Ma se in Calabria, non meno che altrove, le arti si sono abbeverate alle fonti rinascimentali toscana e lombarda, il loro linguaggio si è aperto a molteplici influenze provenienti da diversi luoghi dell’Europa occidentale rielaborate alla luce della locale convivenza fra cultura occidentale e cultura orientale, fra tradizione gotico-catalana e quel linguaggio classico maturato appunto sulla lezione dell’Umanesimo. Tale ricco patrimonio fu purtroppo progressivamente e fortemente ridimensionato dai terremoti e dalla sconsiderata incuria degli uomini, circostanze che ne hanno ostacolato anche lo studio. Oggi le opere riemergono a volte – come ha scritto Santo Gioffré, riferendosi in particolare a quelle del reggino – “da contesti talmente degradati, violati, deturpati – e non solo dalle calamità naturali – da lasciare perplessi gli stessi studiosi”. Eppure, “al di là del valore artistico, a volte davvero considerevole”, esse sono “…un referente imprescindibile per comprendere le complesse sfaccettature di un’epoca… fattori quali l’orientamento del gusto, la natura e il peso della committenza, le valenze auto-rappresentative celate dietro l’impegno economico, ma anche la fitta trama di rapporti culturali…”.
Dalle prime esplorazioni di Alfonso Frangipane nella prima metà del secolo scorso agli studi degli ultimi decenni, la fisionomia di quella esperienza artistica sta andando però via via emergendo dissipando il pregiudizio storiografico secondo il quale la Calabria possedeva scarse tracce di una fase storico-artistica che altrove aveva lasciato un numero immenso di capolavori. E ciò sta accadendo attraverso la ‘riscoperta’ di opere di grande valore come – solo per citarne alcune – l’altare commissionato al fiorentino Benedetto da Maiano per la cappella gentilizia dei Correale nella chiesa maggiore di Terranova, le tavolette di Antonello da Messina custodite nella Pinacoteca Comunale di Reggio Calabria o la lunga serie di eccellenti lavori che Antonello Gagini ha inviato da Messina e da Palermo in Calabria fino alla sua morte: dal gruppo dell’Annunciazione nella chiesa di S. Teodoro Martire a Bagaladi (1504), alla Madonna degli Angeli di Seminara (1508); dal Sepolcro di Jacopo Carafa a Caulonia (1514-1520), alla Madonna dell’Alica di Pietrapennata (1506 ca.), alla Madonna della Grotta di Bombile ad Ardore (1509 ca.) e diverse altre. Rilevanti anche le opere che lo scultore siciliano Rinaldo Bonanno inviò in località come Seminara, Bova, Radicena, Vito Inferiore, ecc., senza contare tutti quei lavori a cui gli studiosi riconoscono elevatissime qualità stilistiche ma di ancora difficile attribuzione.
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Bibliografia:AA.VV. (a cura di Alessandra Anselmi), La Calabria del viceregno spagnolo: storia, arte, architettura e urbanistica, Gangemi editore, Roma 2009, 848 pp.
AA.VV. Scultura del Rinascimento a Reggio Calabria: storia e conservazione, Centro Studi Esperide Onlus, Pizzo Calabro 2010, 139 pp.
Maria Pia di Dario Guida, La cultura artistica in Calabria. Dall’Alto Medioevo all’età aragonese, Gangemi editore, Roma 2014, 125 pp.
Augusto Placanica, Storia della Calabria, dall’antichità ai giorni nostri, Donzelli editore, Roma 1999, 412 pp.