Viaggio alla scoperta di un rito millenario fra paganesimo e devozione cristiana. Salendo verso Accettura. Il trasporto del Maggio e della Cima
di Enzo Garofalo
Se pensavate che il rigoroso Senatus Consultus de Bacchanalibus del 186 a.C. avesse spazzato via i riti in onore del dio Doniso/Bacco, seppellendoli sotto la polvere dei secoli, vi sbagliate di grosso. Sia pure spogliato delle sue connotazioni orgiastiche più estreme – inconcepibili nella nostra epoca, in una manifestazione pubblica – e sia pure fuso con un culto cristiano basato su una intensa devozione popolare, uno rito per molti versi simile a quelli antichi permane da secoli in Lucania in una forma sincretica i cui intrecciati elementi risultano peraltro ben leggibili. Parliamo del rito del ‘Maggio’ di Accettura (Matera), uno degli ultimi culti arborei del Mediterrano, che si distingue per la ricchezza rituale e per il grado di partecipazione fisica ed emotiva che a fasi alterne, e per oltre un mese, coinvolge un’intera comunità, richiamando anche un alto numero di curiosi e appassionati da ogni parte del mondo.
LA POSSIBILE ORIGINE DEL RITO
Tutte affascinanti le ipotesi sulla origine e sul nome del rito di Accettura, notoriamente legato alle piante del cerro (una varietà di quercia) e dell’agrifoglio: non manca chi li riconduce al culto della dea Maja, antichissima divinità latina che personificava il rigermogliare della vegetazione e la fertilità della terra al ritorno della primavera. D’altro canto però non dimentichiamo che ci troviamo in area di influsso magno-greco, dove Dioniso mostra di frequente natura di divinità arborea, ha la quercia e l’agrifoglio fra i molteplici attributi vegetali dei suoi riti, oltre ad essere considerato il primo ad aver aggiogato i buoi all’aratro (e vedremo quanto spazio abbiano i buoi nel rito di Accettura), senza trascurare inoltre il largo impiego che il vino trova nella celebrazione, in forma di vere e proprie libagioni; ecco perchè il rapporto con questa divinità, i cui legami col ciclo vegetativo sono innegabili, ci sembra altrettanto plausibile. Un’ultima possibile interpretazione che ci sentiamo di evocare, si pone invece sulla scia dei comprovati contatti del sud Italia con la cultura celtica, soprattutto dopo la Guerra Gallica del IV sec. a.C. allorché una parte di barbari nordici scese al Sud mettendosi al servizio delle colonie greche: è noto, ad esempio, il caso di Dionigi I di Siracusa, che arruolò tra i mercenari molti Galli, creando anche degli insediamenti in Puglia e nel Salento. In tal senso sembrerebbero orientare le due piante impiegate nel rito di Accettura: la quercia e l’agrifoglio. Nella mitologia celtica si narra infatti di una lotta eterna fra due opposte divinità, il Re della Quercia e il Re dell’Agrifoglio, dove il primo rappresenta il Dio dell’anno crescente (cioè della metà dell’anno in cui la luce solare prevale sulle tenebre notturne) e il secondo raffigura il Dio dell’anno calante (la metà dell’anno in cui la notte prevale sul giorno); lotta che per qualche recondito motivo, forse legato al relativo equilibrio fra giorno e notte nel periodo del rito, si trasfigura in un ‘matrimonio’ fra gli alberi, affinchè lo ‘spirito’ fecondatore della vegetazione risvegliatosi con la primavera irrompa benefico nella vita degli uomini.
Ad ogni modo, qualunque sia la vera origine storica del rito, esso offre da sempre agli etno-antropologi una ghiotta occasione di studio della sedimentazione culturale plurisecolare tramite la religiosità del popolo e di analisi dei costumi locali; mentre per la gente comune, il ‘Maggio’ è un rivolgersi alle tradizioni e al folclore popolare per approfondire le proprie radici etnico–culturali. Con Fame di Sud – dopo il primo sopralluogo del mese scorso che certo ricorderete – abbiamo deciso di seguire da vicino questo rito ‘immergendoci’ nel cuore della festa che vede la sua fase più intensa tra la fine di maggio e i primi di giugno.
DA BARI VERSO MATERA
Come di consueto, il racconto di un luogo o di una situazione dei quali siamo stati spettatori è per noi il culmine di un viaggio che ci piace ripercorrere fin dall’inizio con immagini e parole affinché possa magari diventare un itinerario di scoperta per i nostri lettori. In questa occasione io e il fotografo Ferruccio Cornicello, testimone e interprete dei luoghi con le sue preziose immagini, siamo partiti da Bari percorrendo la più suggestiva fra le strade che portano a Matera, quella che ha in Santeramo in Colle una delle sue tappe intermedie. Verdi campagne a perdita d’occhio punteggiate di papaveri e di tutte le altre fioriture tipiche della primavera inoltrata; una ricca tavolozza di colori resa ancora più affascinante dalla saltuaria presenza di antiche masserie, già microcosmi autosufficienti di un mondo agrario ormai estinto. A colpirci in particolare, spingendoci a fare una breve sosta, è stata la Masseria De Laurentiis con la sua più che imponente architettura ottocentesca, da palazzo padronale di campagna; è una elegante struttura in locale pietra calcarea voluta nel 1822 da Luigi De Laurentis e destinata alla produzione e conservazione dei vini. Parte del patrimonio attuale di un’azienda agricola di Santeramo, si offre alla vista lungo una serie di curve che costeggiano la tenuta collocata in posizione mediana tra la pietrosa Murgia a nord ed il Vallone della Silica a sud. Un’atmosfera come di sospensione spazio-temporale ci ha accolti davanti al cancello aperto della masseria immersa nell’aura luminosa e dorata del mattino fra il canto degli uccelli sui mandorli e il volo verde-metallizzato di una miriade di maggiolini.
DA MATERA AD ACCETTURA
L’ingresso, di lì a un’ora, nel territorio materano è stato salutato come di consueto dall’elegantissimo volo di alcuni falchi grillai e nibbi reali, mentre la ‘identity car’ di Ferruccio sfrecciava lungo la Statale 7 che costeggia un altro bellissimo luogo della Lucania di cui vi abbiamo già parlato e cioè l’oasi WWF del Lago di San Giuliano, un nome che subito evoca Accettura essendo questo santo il patrono del paese del ‘Maggio’. Abbiamo proseguito il nostro viaggio fra verdi colline e vallate fino a imboccare all’altezza di Ferrandina la statale 407, nota come Basentana, in direzione Potenza. Dopo non molti chilometri siamo usciti per Garaguso, Oliveto Lucano e appunto, Accettura. Preso possesso della nostra camera all’Hotel 407 di Garaguso Scalo, un gradevole albergo ‘’on the road’’ gestito dal gentilissimo patron Mimmo Di Corleto (i pochi alberghi di Accettura erano già prenotati da mesi), abbiamo proseguito per una ventina di chilometri l’arrampicata verso la meta, nel cuore dello splendido Parco Naturale di Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti Lucane, uno degli ambienti più incontaminati e ricchi di risorse naturalistiche esistenti in Italia. Lungo le curve che conducono al borgo è stato tutto un attraversare paesaggi di una perfezione tale che, se ci si consente una citazione letteraria, oseremmo paragonare alla Contea degli Hobbit raccontata ne ‘Il Signore degli anelli’ di Tolkien.
Accettura ci appare d’improvviso dall’alto dei suoi 770 m. svettante fra il verde della montagna come un nido di rapace, quello stesso ‘Accipiter’ da cui molto probabilmente deriva il suo nome. E’ quasi ora di pranzo per cui, arrivati nella centrale P.zza del Popolo, è per noi d’obbligo una capatina da ‘Bontà Lucane’, lo sfiziosissimo negozietto di prodotti tipici gestito dalla cordialissima Filomena De Angelis, di solito intenta a sfornare meravigliose focacce e calzoni o a illustrare ai clienti vini e formaggi; questa volta ad accoglierci troviamo la giovane figlia che con la nonna sta approntando in gran quantità dolci tipici del giorno di festa: sono degli ottimi ‘calzoncelli’ a pasta dolce ripieni di ricotta e curiosamente aromatizzati al prezzemolo. Ce ne mostra due vassoi pieni ed è inutile dirvi che è stato impossibile resistere alla tentazione, non prima però di aver assaporato alcune fette di strepitosa focaccia alle verdure di campo.
Qui facciamo conoscenza anche con Antonio Loscalzo un giovanissimo attivista per la difesa delle tradizioni di Accettura che ci parla dell’associazione Accipiter di cui è membro e con entusiasmo ci illustra il motto del sodalizio di cui fa parte: “L’uomo migliore è colui che potrebbe vivere in qualsiasi parte del mondo, ma sceglie di farlo qui: tra i suoi cari, con le sue radici, nel suo paese…”. Un proclama di orgoglio identitario e di voglia di costruire un futuro migliore nella propria terra che ci ha sorpresi in un giovane di circa vent’anni e che fa ben sperare in una rinata coscienza sociale e civile da parte delle nuove generazioni. Lo seguiamo nella sede dell’associazione dove ci mostra una esposizione di disegni dei bambini di Accettura dedicati alla festa del ‘Maggio’ – altro segno inequivocabile di quanto intensamente sia sentito questo rito. Prima di andar via notiamo quanto Antonio sia in fermento perché l’indomani sarà fra i ‘cimaioli’, il gioioso, scalmanato e giovanissimo gruppo di coloro che – muniti di colorate e goliardiche magliette – andranno nel bosco di Gallipoli a prelevare la ‘sposa’, il grande agrifoglio.
IL MAGGIO E LA CIMA
Il tutto inizia ai primi di aprile con la scelta del Maggio, l’altissimo e dritto esemplare di cerro, seguita dalla scelta della Cima – un enorme arbusto di agrifoglio, elemento ‘femminile’ della coppia arborea – e infine dal taglio del Maggio. I momenti centrali del rito rimangono però il suo trasporto la domenica di Pentecoste, giornata anche del taglio e del trasporto della Cima, l’innalzamento della ‘coppia’ il martedì successivo e l’abbattimento nel giorno del Corpus Domini. Noi siamo arrivati ad Accettura il 18 per cui ci informiamo subito di come procedano i preparativi ed apprendiamo che fin dal mattino nel vicino Bosco di Montepiano sono iniziate le operazioni di esbosco dell’enorme tronco di cerro, una varietà di quercia molto diffusa nella zona, che poco dopo andrà a ‘sposare’ la grande ‘cima’ di agrifoglio proveniente dal Bosco di Gallipoli, sito nel lato opposto del paese. Cominciano così a delinearsi i tratti tipici di questo rito chiaramente improntato a propiziare la fertilità della terra e degli uomini che la abitano, secondo elementi comuni a riti analoghi presenti anche in altre tradizioni europee, ma qui connotato in modo unico da intensi e coinvolgenti elementi di coralità e partecipazione.
Apprendiamo così che un tempo, a memoria dei cittadini più anziani, l’individuazione, il taglio e l’unione delle due piante, erano operazioni svolte sotto l’egida delle nobili famiglie di latifondisti del paese, che promuovevano l’azione popolare. Successivamente un calo di interesse da parte della classe dominante ha fatto sì che il testimone del ‘Maggio’ passasse nelle mani del ceto pastorale e contadino, con episodi anche di accese rivalità nella gestione dei ruoli nel corso della festa, e da allora è rimasto pressoché immutato.
Sulla chiara matrice pagana, la festa del ‘Maggio’ ha visto sovrapporsi, a partire dal XVIII secolo, la celebrazione liturgica in onore di San Giuliano martire, figura che ha finito col ritagliarsi un ruolo non secondario all’interno del rito. E’ stato tuttavia l’estremo fascino della componente più antica ad orientare le modalità della nostra partecipazione alla festa. Saltata il sabato la fase dell’esbosco in cui il cerro fa già un suo primo tratto di strada verso il paese, abbiamo rinviato all’indomani la partecipazione alla parte più lunga del trasporto sfruttando nel frattempo il pomeriggio per recarci a visitare il Bosco di Gallipoli, a circa 15 km da Accettura, luogo prescelto per il taglio e il trasporto a piedi della ‘cima’ di agrifoglio in programma per l’indomani mattina, quando noi ci saremmo trovati dalla parte opposta. Il territorio di Gallipoli è stata una vera scoperta, una visione di assoluto splendore naturalistico che ci ha svelato un angolo di Lucania sufficiente, da solo, a giustificare un viaggio in queste contrade. Distese di gialle ginestre in fiore a perdita d’occhio, alternate a grandi cespugli di rosa canina, entrambi in incantevole contrasto col verde scuro dei querceti, ombrose oasi per le mucche podoliche dalle lunghe corna che nella zona hanno il loro regno incontrastato e producono profumato latte per formaggi di eccelsa qualità.
La visita a Gallipoli si è quindi protratta presso la sede del Parco, un complesso monastico del XII sec. detto ‘il Palazzo’ scelto come eremitaggio da S. Guglielmo da Vercelli nel 1123, poi passato alle Clarisse, e dal 1867 appartenente al demanio. Adiacenti all’annessa chiesa di S. Chiara i locali di un piccolo museo naturalistico con in bella mostra – fra uccelli e mammiferi – alcuni esemplari della ricca fauna del posto. Presenti anche alcuni reperti litici di epoca preistorica testimonianti l’antichità degli insediamenti umani in quest’area oltre ad alcuni reperti archeologici d’influsso magno-greco risalenti al IV sec. a.C. Nello stesso luogo si trovano anche la sede locale della Forestale, un interessante Museo dei Culti Arborei tipici di pochissime altre località del Mediterraneo oltre ad Accettura, un giardino delle piante aromatiche e un orto botanico ospitante le varietà vegetali più comuni della zona. La sede del Parco funge anche da Centro di Educazione Ambientale per la Sostenibilità la cui gestione è affidata ad un’attivissima cooperativa di giovani, la Nuova Atlantide, la cui azione mira alla valorizzazione turistico-ambientale di una delle aree più interne della Lucania attraverso laboratori didattici, itinerari guidati ed escursioni a piedi, in mountain bike e a cavallo. Nelle vicinanze è possibile visitare liberamente anche un’oasi faunistica che ospita diversi esemplari di daini, mentre un’oasi dedicata al lupo è visitabile previa prenotazione.
IL TRASPORTO DEL ‘MAGGIO’
Giungiamo al bosco di Montepiano la mattina della domenica di Pentecoste accompagnati in auto da un gentile accetturese, cosa che ci permette di seguire a piedi il trasporto del cerro fino al centro del paese senza avere la seccatura di dover poi recuperare il nostro veicolo. La scena che si para davanti ai nostri occhi ha l’armonia antica di un mito arcadico. Sullo sfondo di alcune cime montuose, in una radura costellata di alte querce e circondata da prati rigogliosi di erbe e fiori primaverili, stazionano nella brillante luce del mattino diversi esemplari di bianchi buoi accoppiati sotto il classico giogo da aratro. Fra le lunghe corna hanno vezzose coroncine di rose rosse miste a mazzetti di gialle ginestre disposte a ventaglio sulla fronte dove non di rado campeggia l’effigie protettiva di S. Giuliano. Accanto ad essi, pastori giovani e meno giovani stanno fermi, appoggiati ai loro tipici bastoni in spontanea attitudine plastica quasi posassero per uno scultore. Nell’aria c’è una densa atmosfera di attesa. Dalla ripida scarpata che scorgiamo sul fondo della radura stanno per arrivare i buoi che trascinano il ‘Maggio’, il tronco di cerro lungo più di trenta metri che unito alla ‘Cima’ di agrifoglio, sarà poi innalzato nel centro del paese.
Improvvisamente un brusio, poi urla di incitamento e strepito di zoccoli…ed eccoli, sferzati da solerti bovari imboccare la discesa a tutta velocità…Sono bianchi, enormi, bellissimi. Fra gli altri, ne spicca uno nero…è il più ritroso, ma alla fine riuscirà a tenere il passo. Accanto agli adulti, alcuni piccoli bovari di circa 10 anni, lo sguardo serio di chi sa di partecipare a qualcosa di importante, posti in equilibrio instabile sul tronco del cerro, si lasciano trascinare a valle dai buoi mentre la folla degli spettatori si divide in due ali lasciando libero il passaggio all’omerico corteo che dopo una breve sosta allietata dalla distribuzione di ciambelle fritte e fette di ottimi latticini artigianali, imbocca un sentiero fra le querce. Ci dicono che quest’anno il corteo sia composto da 65 coppie di buoi, contro le 50 degli altri anni. In ogni caso si tratta di animali allevati appositamente per la festa e totalmente a spese delle famiglie dei ‘maggiaioli’. Per un po’, io e Ferruccio seguiamo la colonna in movimento mantenendoci negli avamposti, poi decidiamo di trasferirci nelle posizioni mediane, collocandoci sui terrapieni che costeggiano il sentiero, posizione dalla visuale perfetta oltre che raccomandabile per quanti non vogliano incorrere nel rischio di essere investiti. La marcia è a passo sostenuto, ma le fermate sono tante, anche perché si deve evitare di arrivare in paese troppo in anticipo sui ‘cimaioli’. Ci si ferma ad esempio per ascoltare alcuni bovari intonare a voce spiegata canti di lavoro e di passione che hanno la forza dirompente di qualcosa di ancestrale. Oppure per lasciarsi trascinare da una tammurriata – ed allora lo spirito dionisiaco dell’evento prende pienamente corpo – oppure ancora per ascoltare una suonata di zampogna o d’organetto, il tipico strumento che ad Accettura sanno suonare tutti, dai vecchi ai bambini.
La fermata più lunga ha luogo però verso le 13.30 allorchè, dopo la messa officiata nel bosco dal vivacissimo parroco don Peppe Filardi, colto archivio vivente del Maggio, si pone mano alle ceste del cibo per un pranzo all’aperto che definire lauto sarebbe riduttivo. Vediamo spuntare tutto il meglio della tradizione culinaria del posto, da timballi di pasta al forno a salsicce, soppressate, ricotte, caciocavalli e vino rosso a fiumi. Una famiglia ha addirittura approntato sul posto un paiolo sul fuoco nel quale si vede ribollire la ‘pastorale’, carne di pecora in cottura con verdure e spezie di vario genere. Nel frattempo le coppie di buoi, sollevate dalla fatica del trasporto del cerro e degli altri sei tronchi che serviranno per costruire le ‘crocce’, ossia le strutture che supporteranno gli argani per il sollevamento del ‘Maggio’, ne approfittano per riposarsi, alcuni accovacciandosi esausti, altri brucando fra i rami di quercia in cerca di tenere foglie.
Il tutto dura qualche ora prima della ripresa del cammino verso il paese dove arriviamo, stanchi ma allegri, nel tardo pomeriggio. Qui i due cortei festosi si incontrano e – come scopriremo di lì a poco – inizia la grande e travolgente festa di popolo lungo il corso centrale di Accettura. Quella della domenica sera la si potrebbe definire una sorta di ‘promessa’ di matrimonio fra Maggio e Cima, perché la vera congiunzione – un incastro perfetto fra le due piante – ha luogo il lunedì mattina dopo una adeguata lavorazione a colpi di accetta e motosega. A noi che seguivamo la festa per la prima volta, dispersi fra la folla ormai scomposta, ci era parso che per quel giorno fosse tutto terminato. E invece no…
Ecco improvvisamente comparire sul corso principale del paese il festante gruppo dei ‘cimaioli’ che fra le musiche della banda, canti a squarciagola e a passo ritmato di danza trasportano la ‘sposa’ vegetale innalzandola infine lungo il lato di un palazzo nel tratto centrale del corso. Fissata alla ringhiera di un balcone con strette funi, scopriamo che la scelta del luogo non è casuale: pare che proprio in quel punto esistesse in passato una taverna dove i cimaioli facevano la loro fermata di ritorno dal bosco di Gallipoli, rifocillandosi con fiumi di vino. Ma le sorprese non sono finite. Dall’estremità destra del corso vediamo ricomparire le pariglie di buoi, finalmente privi del pesante carico, sempre più adornati di fiori e stavolta cavalcati dai bovari che innalzando affusolati barilotti in legno di quercia tracannano vino a più non posso. Ad un certo punto una signora di mezza età s’avanza fra la folla recando una grande brocca di ceramica e, novella Ebe, mesce vino direttamente nella bocca di chiunque voglia aderire all’allettante invito. Osservare queste memorabili scene e pensare all’affresco pompeiano del Trionfo di Bacco nella casa di Marco Lucrezio Frontone è stato un tutt’uno.
(FINE Parte I – Continua)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
GUARDA LE PHOTO GALLERIES 1 | 2| 3
Leggi anche:
Maggio di Accettura: la lavorazione del tronco e la costruzione delle ‘crocce’
Maggio di Accettura: l’innalzamento e la scalata del grande albero rituale
Deep Accettura: nel cuore del rito con le immagini di Francesco La Centra
Maggio di Accettura ultimo atto: l’abbattimento del grande albero rituale
Salve, vi scrivo dal sito http://www.ilmaggiodiaccettura.it per chiedervi se fosse possibile utilizzare parte di questo bellissimo articolo per la descrizione della domenica del Maggio.
Vi ringrazio anticipatamente!
Certamente può utilizzare parte dell’articolo, ma a condizione che metta il testo fra virgolette, indicando che si tratta di un estratto dell’articolo “L’Arcadia esiste: è ad Accettura, paese del Maggio (Parte Ia)” e segnalando il nome dell’autore del pezzo e la fonte da cui proviene, ossia la rivista FamediSud (www.famedisud.it).
Ditemi se va bene in questo modo: in alto a destra c’è la fonte, con il link a sito ed articolo
http://www.ilmaggiodiaccettura.it/-Pag-115p-l-113l-Domenica%20-%20il%20Maggio
Vi ringrazio ancora!