di Enzo Garofalo
Voluttuose e serenamente sensuali, le sue donne hanno il potere seduttivo e la raffinata allure di certe creature iconiche dei pittori-illustratori preraffaelliti o l’aurea venustas delle donne-gioiello di Gustav Klimt, ma vibrano di una tacita consapevolezza di sè che è insieme contemporanea e fuori dal tempo. Se infatti come quei maestri anche l’artista calabrese Costantino Di Ciancio ne ha declinato i corpi in magnifiche linee ornamentali, tra vesti lussureggianti e gioielli sfavillanti, lo ha fatto nell’ambito di una ricerca pittorica che, con esiti personalissimi, trasfigura il reale trasportando l’osservatore nel regno affascinante e misterioso dei simboli, per loro natura preposti a intercettare i significati più profondi della realtà.
E il simbolo dominante nell’arte di Di Ciancio è senza dubbio la femminilità, che vi appare rappresentata nella sua essenza immutabile di catalizzatrice di energie vitali, di occulto tramite fra questo mondo e il principio trascendente che domina e plasma la materia inferiore, di elemento costitutivo dell’anima umana che ciascuno di noi ha perduto e dimenticato; e, non ultima, di incarnazione della Bellezza – quella della Natura, della Musica, della Letteratura, dell’Arte, amate con passione dall’artista – così come dei sentimenti, nel bene e nel male vero motore dell’esistenza. A suggerirlo sono anche quei ritagli di giornale che – simbolico trait d’union fra le allegorie dell’arte e la realtà – occupano uno spazio non secondario in molte opere di Di Ciancio e rimandano via via a titoli di opere liriche e letterarie, nomi di personaggi e citazioni di varia origine, trasformando ciascun dipinto in una sorta di raffinato rebus che l’osservatore prova a sciogliere, rapito dal sorriso ancestrale di quelle veneri magno-greche o amerinde immerse nei colori brillanti e nelle atmosfere oniriche della tela.
Ma se nelle opere di Di Ciancio dominano le figure femminili – per le quali, racconta la figlia Graziella, l’artista ebbe come musa ispiratrice soprattutto l’amatissima moglie – numerosi sono i richiami ai luoghi, ai viaggi, alle culture, sperimentati nel corso di un’esistenza divisa fra la concreta difficoltà di trovare un’occupazione – forzatamente cercata oltreoceano, in Brasile, lasciando il borgo arbëreshë di S. Benedetto Ullano (Cosenza) dove era nato nel 1930 – e le suggestioni dell’arte, per le quali ebbe un’innata propensione. Dopo un primo lavoro da intagliatore del legno, passò infatti a frequentare l’Accademia di Disegno ‘Oberg’ a Rio de Janeiro, scelta che gli permise di intraprendere a San Paolo l’attività di grafico e illustratore. Trascorsi 13 anni in Brasile – terra il cui fascino e le cui atmosfere da torrido sud del mondo riecheggiano nelle sue opere fondendosi con quelle mediterranee – Costantino Di Ciancio rientra in Italia e approda a Milano, dove lavora per una importante agenzia pubblicitaria prima di intraprendere la professione di illustratore freelance che lo ha visto collaborare con il mondo dell’industria e dell’editoria (ha realizzato progetti grafici per le riviste Epoca, Espansione, e per varie pubblicazioni della Mondadori). Negli stessi anni inizia a dedicarsi alla pittura, presentando con grande successo la sua prima personale nel 1974 alla Galleria Treves, seguita da numerose altre e dalla partecipazione a innumerevoli collettive sia in Italia che all’estero.
Il richiamo della propria terra risulta però irresistibile e nel 1981 Costantino Di Ciancio decide di tornare in Calabria, nel suo borgo di S. Benedetto Ullano (che vediamo adombrato in una sorta di paesaggio onirico, con le sue case abbarbicate al pendìo del monte), e di dedicarsi completamente alla pittura, cosa che fa fino alla morte, sopraggiunta nel 2012. Immancabili nella sua arte gli stimoli di una natura generosa, quella dell’Appennino Paolano, e di una cultura, quella arbëreshë, risalente agli insediamenti albanesi di fine ‘400, epoca alla quale vanno ricondotte anche le evidenti suggestioni rinascimentali, a lui molto care. Del mondo arbëreshë, si coglie traccia soprattutto nei rigogliosi gioielli indossati dalle sue donne-dee, ma anche nelle tante nature morte in cui spiccano oggetti, frutti e altri alimenti tipici della sua terra.
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