di Redazione FdS
Il tema è stato sottoposto all’attenzione del grande pubblico appena pochi anni fa in una triplice mostra tenutasi in Basilicata a Matera, Melfi e Metaponto, in una cioè di quelle zone che oltre due millenni or sono conobbero lo sviluppo della civiltà magno-greca, figlia della madrepatria ellenica. Quella mostra si intitolava “Lo sguardo di Eros. Gesti, simboli e immagini della seduzione tra Grecia e Magna Grecia” e propose un percorso espositivo unitario volto ad indagare i simboli e i gesti legati ai temi del corteggiamento, della seduzione e del matrimonio nel mondo greco, magnogreco e indigeno attraverso una serie di opere riferibili ad un arco cronologico compreso tra il VI e il III secolo a.C. Ispirandoci liberamente a quella mostra, vi proponiamo una serie di immagini riferite a reperti archeologici capaci di comunicare con immediatezza questi aspetti del costume magno-greco, talora rivissuto nella rappresentazione artistica attraverso scene di reale vita quotidiana, altre volte attraverso una rileborazione del tema erotico in chiave mitologica, caso nel quale agli elementi di più immediata e facile lettura si sovrappone una serie di più complesse implicazioni simboliche che chiamano in causa filosofia e culti misteriosofici.
A dominare la scena è senza dubbio l’Eros pandemio (dal greco “che appartiene a tutti”), ossia quello ‘ispirato’ dal dio del desiderio sensuale e della seduzione, certamente il soggetto più privilegiato nelle rappresentazioni artistiche che l’antichità ci ha tramandato su questo tema. Da esse emerge l’immagine di una società caratterizzata da un trionfo estetico senza precedenti, votata ad un esercizio erotico scevro da inibizioni. Soprattutto i vari esempi di pittura vascolare, di produzione magno-greca o di importazione dalla madrepatria, sono dei mirabili esempi di tale dominante orientamento culturale.
La mancanza di inibizioni non significava però mancanza di regole: una scena ad es. come quella rappresentata nella splendida oinochoe (vaso utilizzato per il vino) proveniente da Locri e custodita all’Altes Museum di Berlino (foto a sin. e in alto) – raffigurante un giovane uomo e una giovane donna in procinto di congiungersi sessualmente – sarebbe stata impensabile al di fuori di un contesto che non fosse quello di un banchetto o di un bordello: la donna raffigurata è infatti una cortigiana (etèra) e non una rispettabile cittadina, normalmente estranea a tali ambiti.
Il rapporto omosessuale fra un uomo adulto ed un adolescente (pederastìa greca) assumeva invece senso in quanto ritualizzato e socialmente codificato quale modo riconosciuto di formazione delle élite sociali, probabilmente derivante dai riti di iniziazione all’età adulta di origine indoeuropea. L’adulto (erastes) educava il giovane (eromenos) alla vita e ai valori civici ricevendo in cambio l’amore [nella foto scena omoerotica tratta dall’affresco della Tomba del Tuffatore, Museo Archeologico Nazionale di Paestum (Salerno)]. Tale rapporto era regolato dalla morale e dalla legge: il giovane non doveva cedere subito alle lusinghe e al corteggiamento dell’adulto; doveva dimostrarsi degno di amore e cedere solo di fronte alla dimostrazione che le intenzioni dell’adulto erano serie e non solo sessuali. Una volta adulto il ragazzo doveva abbandonare il suo ruolo di eromenos, terminare la relazione in corso e diventare a sua volta amante di un ragazzo.
Più in generale comunque il rapporto erotico fra uomini (nella foto a sin. anfora da Capua Vetere (Caserta), Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Ph. Marie-Lan Nguyen | Public domain) non era nell’antica Grecia oggetto di una condanna sociale che fosse minimamente paragonabile a quella di epoche successive, non essendo l’erotismo e la sessualità considerati legati a vincoli di procreazione o limitati da precetti religiosi; la morale greca distingueva solo tra attivo e passivo e non tra eterosessuale e omosessuale. Il ruolo attivo era quello dell’uomo libero, colui che dovendo dominare ed educare non poteva farsi sottomettere; quello passivo invece riservato alle donne e ai ragazzi, e pertanto inadatto ad uomini maturi.
In altri oggetti giunti fino a noi compare poi spesso il tema della prostituzione (femminile e maschile), così come quelli del corteggiamento, dell’amore sentimentale e del matrimonio (nella foto a destra statuetta fittile con scena di amore coniugale, Museo di Medma, Rosarno – Ph. Ferruccio Cornicello); quest’ultimo, in particolare, era soprattutto espressione di un vincolo e di una norma sociale, sebbene non fosse necessariamente disgiunto dall’erotismo e da una affettività autentica. Certo è che tradizionalmente nell’antica Grecia, piacere sessuale e relazioni affettive trovavano il loro privilegiato terreno di coltura fuori dalle mura domestiche (nella foto seguente, vaso apulo con scena erotica eterosessuale).
Il multiforme panorama di manifestazioni erotiche che ha caratterizzato la civiltà greca ha trovato infine un’espressione simbolica nei miti, nei quali ogni comportamento sessuale assunto dagli uomini, trovava riscontro nelle innumerevoli storie di dei e dee dell’Olimpo. In tal caso però mutano le chiavi di lettura di quanto rappresentato perchè si entra nel complesso regno delle allegorie e dei simboli.
Sebbene nella cultura greca l’erotismo abbia avuto uno spazio così rilevante, va ricordato come non fosse visto di buon occhio il lasciarsi sopraffare dai sensi – che fosse per una donna o per un ragazzo – in quanto ciò era considerato espressione di un amore volgare, perseguito solo per soddisfare le proprie pulsioni tramite l’atto sessuale: non a caso i greci definivano virtuoso chi sapeva resistere alle tentazioni.
Ma la rilevanza attribuita all’aspetto più profano dell’amore – quello legato alla seduzione dei sensi – non deve farci dimenticare come il rapporto dei greci con Eros sia stato al tempo stesso ‘laico’ e sacrale, per cui la rappresentazione dell’erotismo non segue mai un’unica direzione. Del resto doppia risulta la natura di questo dio/dèmone: innanzi tutto troviamo un Eros che nato dall’uovo di Chronos (il Tempo) irrompe nella sfera umana condannando gli individui ad una perpetua ricerca di possessione. Questo almeno emerge da un primo grado di lettura del platonico Mito dell’Androgino, fatto raccontare da Aristofane nel celebre dialogo del Simposio, che tratta appunto l’immortale tema dell’amore. In principio – spiega il celebre commediografo – non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il maschile e il femminile), bensì tre, perchè c’era anche il sesso androgino, proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili. Inoltre in quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali ed erano tondi. Per via della loro potenza, gli esseri umani erano superbi e tentarono la scalata all’Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire e, a colpi di saetta, divise in due parti gli aggressori. Gli esseri umani così divisi, s’indebolirono.
La divisione imposta da Zeus ha fatto nascere negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità e forza che possono ritrovare soltanto unendosi fra loro. Zeus infatti, per evitare che gli uomini si estinguessero, ha inviato nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi potessero ricostruire l’unità perduta, così da provare piacere, riprodursi e potersi poi dedicare alle loro altre incombenze. «Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore», scrive Platone nel suo Dialogo. Siccome i sessi erano tre, due sono le tipologie d’amore che ne sono derivate: quello omosessuale (se i due partner facevano parte in principio di un essere umano completamente maschile o completamente femminile) e quello eterosessuale (se i due facevano parte di un essere androgino).
Questa è l’interpretazione più immediata del mito, il quale però si offre ad ulteriori e più profonde decifrazioni se solo ci si sposta dalla sfera strettamente fisico-sessuale a quella spirituale, nella quale la ricerca dell’Unità originaria altro non simboleggia che l’aspirazione del singolo individuo alla perfetta integrazione nella totalità delle sue molteplici e più profonde qualità naturali, alla sua unità col divino che è condizione primordiale della stessa anima umana. Ecco che allora da dio dell’amore fisico e del desiderio – amato o odiato dagli uomini di ogni tempo – Eros assurge al ruolo di principio divino che spinge verso la Bellezza e l’Unità, al perseguimento dell’equilibrio fra gli opposti, tutte qualità essenziali del divino stesso. E’ questo l’Eros dei filosofi, inteso come forza che tiene uniti elementi diversi e talora contrastanti senza arrivare ad annullarli, e che dalla sfera spirituale – nella quale incarna la forza vitale che muove il pensiero e la filosofia stessa, fungendo da tramite fra la dimensione terrena e quella sovrasensibile – approda anche nelle relazioni sociali facendosi fondamento di rapporti ritenuti fondamentali dai Greci come l’amicizia, la pedagogia e la politica.
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