di Domenico Puntillo*
Mai passione fu così travolgente nella mia vita come quella dei Licheni. Da quando li incontrai così copiosi sugli abeti e sulle rocce aspromontane, ormai più di trenta anni addietro, scoppiò così prorompente l’interesse verso questi misconosciuti e negletti organismi che tuttora occupano gran parte della mia giornata: nelle mie scorribande tra i boschi, i torrenti, le assolate argille joniche o le pareti scoscese del Pollino e dell’Aspromonte, oppure nel mio piccolo studio casalingo o nella mia stanza dell’Università dove cerco di carpirne i segreti attraverso gli obiettivi dei microscopi o attraverso i reagenti chimici che mi sono di ausilio per svelare, attraverso una reazione chimica, a quale genere o specie possa imputarli.
Ma perché tanto amore per i Licheni? Forse perché, per ricalcare la poesia di Camillo Sbarbaro, poeta e lichenologo del secolo passato, “il lichene è un enimma. Quando di lui si è detto che appartiene al regno vegetale, si è detto tutto ciò che sul suo conto si sa. Persino la parola “entità” adoperata per indicarlo è imprudente, se c’è chi considera il lichene null’altro che un fenomeno” [1]. E forse anche perché perfino il grande Linneo li considerò “rustici pauperrimi” (poverissimi bifolchi) collocandoli, fra l’altro, nelle alghe (algae) e quindi dar loro un nome è come aiutarli ad esistere. E’ necessario però, prima che si scriva sui licheni, fare una digressione sul Regno dei funghi a cui i licheni appartengono.
NEL REGNO DEI FUNGHI
I funghi (lat. fungus , pl. fungi ; gr. μύκης, mykes, miceti) sono organismi viventi appartenenti ad un regno a sé: appunto il Regno dei Funghi (Fungi). Gli altri regni sono quello delle delle Monera (Monera), dei Protisti (Protista), delle Piante (Plantae) e quello degli Animali (Animalia). Ma cosa c’è di spettacolare in questo Regno? Non avendo quello straordinario laboratorio che è la la fotosintesi clorofilliana, che hanno invece le alghe, le briofite (muschi ed epatiche) e le piante, i funghi non possono vivere autonomamente sicché la loro prima peculiarità è il modo di nutrirsi. Infatti, dal punto di vista della nutrizione (trofismo) essi vivono, come molti animali, a spese di altri organismi. Così distinguiamo i funghi parassiti che crescono su altri organismi vivi (per es. su piante arboree); i funghi saprofiti [dal greco σαπρός ( saprós ) “marcio” e φυτόν (phytón) “pianta”] che si nutrono, cioè, di materia organica morta o in decomposizione; i funghi micorrizici [dal greco μύκης (mico-) (attraverso il latino scientifico myco-), fungo, e da ῥ ίζα (-riza)] cioè che vivono in simbiosi con le piante (spesso arboree) e infine, quelli di cui stiamo trattando, i funghi lichenizzati ovvero funghi che formano licheni (Lichenes).
LICHENI, CREATURE DALLA DOPPIA NATURA
Quest’ultimi, dapprima allocati nel mondo delle alghe, dei muschi e infine sistemati nei funghi, sono stato oggetto di diatribe tra i botanici del Settecento e dell’Ottocento fin quando de Bary (1866) [2] non introdusse per primo il termine simbiosi [sym (σύν) = con, e biosis ( βιοσις) = vivere] definendola “ il vivere insieme di organismi dissimili ”. Ma alla fine, con l’aiuto dei più potenti microscopi appena costruiti, il botanico Schwendner [3], nel 1867, ipotizzò la “doppia natura” dei licheni. Schwendner considera il Lichene come l’associazione intima di un fungo e un’alga in un’unione organica dove però l’alga è parassitata dal fungo. Quindi Schwendner immagina i funghi dei licheni come padroni che schiavizzano le alghe facendole lavorare alacremente per produrre il cibo (le sostanze organiche) di cui si nutrono i funghi. Questa teoria egli stesso la chiama elotismo (dal greco εἱλώτης = servo). Quindi alghe schiave del fungo che vivono all’interno del fungo [4].
Per una più facile comprensione diremo che i licheni sono costituiti dall’associazione simbiotica di due o più organismi, normalmente un fungo ed un’alga che si scambiano tra loro delle sostanze. L’alga cede al fungo i prodotti della fotosintesi e il fungo cede sali minerali che prende dal substrato. L’alga ne trae vantaggio perchè mentre in natura cresce solo in ambiente acquatico, all’interno del fungo protetta dall’irraggiamento solare o dal freddo eccessivo può girovagare per il mondo. Non vi è un luogo nel mondo, infatti, tranne sulle superfici coperte dalla neve, dove non cresca un lichene: il lichene prospera dalla regione delle nubi agli scogli sommersi o spruzzati dal mare. Scala le vette dove nessun altro vegetale arriva. Non lo scoraggia il deserto; non lo sfratta il ghiacciaio; non i tropici o il circolo polare. Sfida il buio della caverna e s’arrischia nel cratere del vulcano. Teme solo la vicinanza dell ’uomo . Ce lo ricorda sempre il poeta Camillo Sbarbaro. Senza voler approfondire su questa intima unione su cui hanno lavorato alacremente una moltitudine di studiosi vediamo come sono fatti questi organismi
CARATTERISTICHE E USI DI UN GRANDE “COLONIZZATORE”
Normalmente tutte le macchie delle rocce e degli alberi sono chiamate licheni. Si tratta, infatti, di licheni crostosi ovvero di licheni che formano un tutt’uno con il substrato e quindi impossibile ad asportarli se non con lo stesso substrato (scorza, roccia, terreno ecc.). Ma ve ne sono ancora di più semplici: sono i licheni leprosi costituiti da una polverina ora grigia, ora verdastra, ora gialla o zolfina. Continuando vi sono anche licheni più esuberanti come quelli foliosi giusto per paragonarli alle foglie delle piante visto il loro accrescimento dorsiventrale (larghezza, lunghezza). Tra questi si distinguono i licheni umbilicati ovvero foliosi ma ancorati al substrato solo da un punto centrale della pagina inferiore con delle rizine, sorta di radichette paragonabili vagamente alle radici delle piante. Tra questi ve ne sono alcuni mangerecci. Sono le tripe de roche (rock tripe) degli indiani Huron dell’America del Nordest . La rock tripe (Umbilicaria esculenta) viene anche venduta e consumata in Giappone sotto il nome di Iwatake. Antiche immagini nipponiche mostrano uomini che scalano pareti a picco per accaparrarsi questa leccornìa.
Vi sono anche licheni fruticosi cioè che somigliano a dei piccoli cespugli e che hanno un accrescimento su tre piani (larghezza, lunghezza e altezza). Le famose barbe di bosco (Usnea sp.) sono annoverate tra questi. I loro festoni penduli abbelliscono gli alberi di alto fusto (Abeti, Faggi) dove si rifugiano nei rami più alti. Si tratta di licheni che esigono aria pura e molto umida (nebbie). Per curiosità citiamo l’Usnea longissima che in Italia vive in pochi siti alpini e che raggiunge una lunghezza di alcuni metri ovvero dalla volta del bosco pende sino a raggiungere talora quasi il suolo [5]. Che dire dei pini silani e aspromontani rifugio di altre specie di licheni fruticosi come l’Evernia prunastri e la Pseudevernia furfuracea che colonizzano la scorza di tutto il fusto dal basso verso l’alto o sui rami secchi in boschi ormai adugiati. Sono due licheni i cui estratti vengono usati in profumeria come fissativi di profumi, impediscono cioè agli olii eterei di disperdersi velocemente. L’estratto di Evernia prunastri è noto come Muschio quercino o anche Mosco arboreo.
E che dire dei licheni epilitici che ricoprono le rocce ora silicee ora calcaree e che fanno ressa sui substrati per contendersi i pochi spazi liberi a loro disposizione. Il Rhizocarpon geographicum, variopinto lichene epilitico, viene utilizzato in lichenometria sorta di scienza che studia l’accrescimento di questi organismi. Il metodo è nato osservando i licheni presenti sulle tombe datate di alcuni cimiteri storici. Conoscendo la data della morte del sepolto sono stati misurati i talli di Rhizocarpon presenti sulle lapidi ed è stato stabilito l’accrescimento annuale del lichene. Conoscendo quindi l’accrescimento annuale si possono datare, per es., le morene glaciali cioè stabilire da quando tempo il ghiacciaio si è ritirato attraverso la larghezza dei talli che ricoprono i massi. Straordinario come facciano alcuni ad insediarsi all’interno della roccia. Si tratta dei licheni endolitici, licheni cioè presenti all’interno del substrato roccioso. Il loro passaggio, talora, è testimoniato da piccoli fori (pitting) dove erano riposti i corpi fruttiferi che dopo la morte del lichene lasciano aperti piccoli crateri di appena un millimetro o anche meno.
Abbiamo già accennato solo a pochi substrati che colonizzano questi organismi pionieri: la scorza degli alberi, il suolo, la roccia. In pratica non v’è un substrato che non sia colonizzato dai licheni. Si vedono manufatti come vetri, plastiche, gomme, eternit, tegole, ossa di animali, indumenti e tanti altri substrati ricoperti da questi organismi. Dimenticavo i licheni epifilli (= foliicoli). Sono quelli che ho scovato, in Italia, vivere sulle foglie sempreverdi di alcune piante (Laurus nobilis , Buxus sempervirens , Ruscus aculeatus) in forre molte umide che simulano le foreste pluviali [6]. E poi licheni dulciacquicoli, che vivono quindi su sassi immersi nei letti fluviali. E ce ne sono che colonizzano la roccia bagnata dalle maree e altri che crescono nell’acqua marina sui Balani [7] che a loro volta si fissano sulla roccia. Lo Stereocaulon vesuvianum, lo dice il nome, risiede sulle rocce vulcaniche: il loro candido colore ravviva le vecchie e nerastre colate.
Incredibilmente vi sono licheni senza fissa dimora. Si tratta dei licheni vaganti: sono licheni erratici che arrotolati su se stessi vengono sballottati dal vento e vagano nei deserti e nelle steppe. Come la Xanthoparmelia vagans delle Ande venezuelane o come la Xantomaculina convoluta del deserto della Nabibia. In questo ultimo luogo il mattino la nebbia che arriva, per pochi minuti, sul deserto consente a questo lichene di srotolarsi e idratarsi permettendo alle alghe di attivare la fotosintesi clorofilliana. Con l’alzarsi delle nebbia il lichene continua la sua corsa errabonda.
LICHENI: UN CALEIDOSCOPIO DI COLORI
I licheni esibiscono, inoltre, una varietà di colori che neanche una tavolozza di un pittore riesce a contenere: “Il lichene è il più policromo dei vegetali. La sua gamma che va dal bianco-latte al buio-stigio attinge tutti gli acuti, attraverso una orchestrazione di toni e sfumature da dar fondo al più ricco repertorio coloristico (…) [8]. Abbiamo accennato a qualche uso dei licheni come quello mangereccio. Ma ve ne sono che vengono utilizzati come coloranti. Così da alcune specie del genere Roccella , Parmelia e Lecanora si possono estrarre sostanze coloranti denominate Laccamuffa, Oricello e Tornasole. Nel 1.300 un noto mercante fiorentino, della famiglia che poi si sarebbe chiamata dei Roccellai, si arricchì con la vendita di un colorante estratto proprio da questi Licheni. E pensare che il capostipite della famiglia si accorse della capacità tintoria di questo lichene (quella che poi si sarebbe chiamata Roccella tinctoria) perché appartatosi in luogo, si accorse che le sue urine, meglio l’urea contenuta in esse, reagiva con il lichene facendolo arrossare. Da quel momento anche le urine diventeranno preziose per la colorazione dei tessuti.
LICHENI IN MEDICINA
E’ noto anche l’uso medicinale di alcuni licheni. I primi ad accorgersene furono gli Egizi. Nel papiro di Ebers ve n’è menzione. Recentemente è stato scoperto un campione di Pseudevernia furfuracea (L.) Zopf, di oltre 2.500 anni che fa parte della collezione del Farlow Herbarium (FH- TUCK) presso l’Università di Harvard e che fu trovato in una mummia egizia di Tebe dalla quale era stato estratto dalla Montreal Natural History Society nel 1859. Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) riporta nella “Historia naturalis” le proprietà medicamentose dell’Evernia prunastri. Per non annoiare giungiamo al XX secolo. Nel 1949 Klosa [9] annuncia di aver ottenuto, estraendo acido usnico da alcune Usneaceae e Parmeliaceae, la prima preparazione antibiotica a base di Licheni utile contro gli stafilococchi e gli streptococchi: l’Evosin utilizzato contro il Lupus , l’impetigine, le micosi cutanee, gli eczemi. Paradosso dei paradossi gli estratti del lichene serveno anche a curare tante malattie cutanee chiamate Lichen (per es. lichen planus o il lichen scleroatrofico o sclerosus). Nel 1954 Sato [10] annuncia un preparato antibiotico ottenuto da Licheni che chiamarono Usnin. Il preparato viene applicato nei trattamenti dell’actinomicosi e di altre malattie cutanee .
LICHENI: INDICATORI AMBIENTALI
Vogliamo, ora, aprire una parentesi sull’uso dei licheni come biomonitors o come bioaccumulatori. Come tanti altri organismi, i licheni sono molto sensibili alle sostanze inquinanti. Questa loro peculiarità ne ha permesso l’uso nel monitoraggio ambientale. Infatti vengono usati, utilizzando particolari metodologie, per testare la qualità dell’aria. La loro copiosa presenza indica siti incontaminati e viceversa, la loro assenza, indica siti estremamente inquinati. Senza troppe divagazioni c’è da aggiungere che alcuni licheni sono anche indicatori di lunga continuità ecologica dei boschi. Si tratta, per es., delle grandi Lobarie (L. amplissima, L. pulmonaria, L. scrobiculata, L. virens) che ricoprono gli alberi più vetusti dei nostri boschi. Essi testimoniano che quel bosco dove sono presenti è naturale o seminaturale ovvero che non hanno subito grosse modificazioni nella loro composizione attraverso i secoli. Infatti, alcune attività silvocolturali snaturano il bosco facendo scomparire questi licheni così sensibili alla minima variazione delle componenti biotiche ed abiotiche.
LICHENI: UN MICRO ECOSISTEMA
Ma ritorniamo alla domanda: che cosa c’è di spettacolare nei licheni. Ebbene c’è che il lichene basta a se stesso. Il lichene è un micro ecosistema in cui, come tutti gli ecosistemi, vi sono produttori primari, le alghe o i cianobatteri, e i consumatori, i funghi. Bisogna, però, tener presente che all’interno di questo micro cosmo vivono altri organismi che qui trovano un’ideale nicchia. Si tratta di funghi lichenicoli, saprofiti o parassiti, che in parte danneggiano l’ospite, ma anche di funghi neri (black fungi) che non producono sintomi evidenti di danneggiamento del tallo lichenico che vivono ospiti all’interno del tallo. Partecipano inoltre a questo banchetto anche altri organismi come i batteri ed altre alghe accessori. Ci troviamo, insomma, davanti alla compresenza di una moltitudine di organismi che formano un vero e proprio consorzio.
Ed infine un’annotazione: i licheni, a volte, così abbondanti sui varisubstrati dove si insediano si servono di questi solo come ancoraggio sicché il pensiero comune che i tronchi degli alberi invasi da questi organismi siano malati è del tutto privo di fondamento scientifico. Essi, abbiamo già scritto, sono autosufficienti. Infatti dal substrato su cui vive il fungo del lichene preleva esclusivamente acqua, quando non la preleva dall’atmosfera sotto forma di vapore, e qualche sale minerale. Ecco in sintesi perchè questo mondo mi affascina. Abbiamo appena accennato ad un micro ecosistema ma forse è meglio scrivere un microcosmo seducente, intricato ed intricante che racchiude un campionario di forme e di colori che abbraccia circa 17 mila specie sinora note nel mondo – di cui più di 2.400 vivono in italia e almeno un migliaio in Calabria – che colonizzano tutte le regioni del pianeta. Un’ultima annotazione. E’ stupefacente come i licheni riescano ad andare in “quiescenza” in condizioni ecologiche avverse ovvero arrestando la propria attività metabolica e riprendendola (reviviscenza) in condizioni propizie, cioè con l’idratazione del tallo e in condizioni di illuminazione a loro congeniale (natura poicheloidrica dei licheni). Perfino licheni conservati in erbario per anni e rimessi in natura sul loro substrato possono ritornare in vita. Ecco spiegato perché di tanto amore per i licheni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA