“[E’] forse la cosa più bella che abbiamo visto finora. La testa del ragazzo con i capelli intrecciati, che le guide definiscono vagamente arcaico. Ma la bocca sembrava fosse stata scolpita solo quel mattino, con le sue linee morbide e delicate. Un momento, però: la pietra era anche immortale. Le belle statue hanno uno sguardo mai visto sul volto dei vivi, o forse solo di rado, come di serena immutabilità; ecco un modello durevole come la terra, o meglio che sopravviverà a tutte le cose tangibili, perché una tale bellezza ha un’essenza immortale. E questa espressione su un volto che per il resto è giovane e morbido ti fa respirare un’aria più leggera: è come il bacio dell’alba.”
Virginia Woolf, Diari di viaggio
di Alessandro Novoli
Sebbene Virginia Woolf abbia rivolto tali parole di commosso stupore all’Efebo di Crizio, uno degli emblemi scultorei del cosiddetto stile severo, a cavallo fra l’arcaico maturo e l’ideale perfezione formale del classicismo, l’emozione in esse racchiusa ben potrebbe adattarsi ad alcuni esemplari del modello più antico di cui quella statua, vista ad Atene nel 1906, è la naturale evoluzione. Parliamo del kouros (dal greco, ragazzo), ossia la raffigurazione ideale di un giovane nel pieno del fulgore intellettuale e fisico. Un’immagine che ha caratterizzato la statuaria greca arcaica (VII- fine V sec. a.C.) ed ha, via via, assolto a diverse funzioni – dalla rappresentazione di un dio, a quella di un atleta, a quella votiva di un offerente o commemorativa di un defunto – ma pur sempre volta a trasmettere un senso di ordine, equilibrio, immutabilità, incorruttibilità. Il giovane appare sempre in posizione stante, con un accenno di movimento nella gamba sinistra leggermente avanzata, le braccia distese lungo un corpo atletico dalle linee divenute col tempo più definite, i pugni serrati e la testa eretta con un volto dal sorriso enigmatico.
Plasmato da una mano raffinata e sensibile, uno straordinario esemplare tardo-arcaico (530-490 a.C.) è custodito in Sicilia: è il Kouros di Lentini, visibile fino al prossimo 13 gennaio 2019 presso il Palazzo Branciforte di Palermo, nell’ambito della mostra “Il kouros ritrovato” allestita a seguito del restauro che ha riunito i due frammenti in cui era diviso: il torso – ritrovato nel Settecento a Lentini (Siracusa), l’antica Lentinoi, una delle più antiche colonie greche di Sicilia, e custodito al Museo Archeologico ‘Paolo Orsi’ di Siracusa – e la testa, rinvenuta agli inizi del ‘900 nello stesso luogo ed esposta al Museo Civico di Catania fra i reperti dell’ex collezione del Principe Ignazio Biscari.
La mostra è stata promossa e curata dall’Assessore Regionale alla Cultura della Regione Sicilia, l’archeologo Sebastiano Tusa, che ha fatto propria l’idea di ricomporre questo capolavoro dell’arte greca, lanciata nel 2017 dal critico d’arte Vittorio Sgarbi e dal Comune di Catania. Del resto, che i due frammenti appartenessero alla stessa statua lo aveva già affermato nel 1927 l’archeologo siciliano Guido Libertini, in quegli anni docente di Archeologia all’Università di Catania. L’operazione di restauro conservativo, finanziata dalla Fondazione Sicilia e coordinata dall’arch. Francesco Mannuccia, è stata affidata a un team multidisciplinare di esperti che l’hanno condotta presso i laboratori del Centro Regionale Progettazione e Restauro della Regione Sicilia. Alla riunificazione dei due pezzi ha fatto seguito il montaggio su un basamento in marmo grigio del palermitano Monte Billiemi, opera dello scultore Giacomo Rizzo.
Uno dei primi atti di questo recupero è stato la progettazione di un elemento di raccordo fra la testa e il busto del kouros. Ciò ha richiesto “un apposito studio preliminare che – ha spiegato Fabrizio Agnello, docente di disegno al Dipartimento di Architettura Università di Palermo – “è stato condotto sulla base di una scansione 3D dei due reperti ad elevata risoluzione”. L’operazione ha permesso di definire la posizione esatta dei due frammenti e la realizzazione di un raccordo, che rende l’assemblaggio reversibile. Varie le analisi condotte sul marmo delle due parti anatomiche: da quelle che hanno accertato trattarsi di calcite (carbonato di calcio) particolarmente pura, a quelle petrografiche e geochimiche che – come ha spiegato Lorenzo Lazzarini, docente di petrografia applicata all’Università IUAV di Venezia – hanno permesso di identificare nelle celebri cave di Lakkoi, sull’isola greca di Paros, il probabile luogo di origine del marmo utilizzato; materiale che, stando all’identico dato isotopico, risulta ricavato da uno stesso blocco.
“Le conoscenze scientifiche di livello internazionale messe in campo – ha commentato Sebastiano Tusa – hanno permesso di accertare l’appartenenza dei due frammenti alla stessa statua e consentito di raggiungere un risultato straordinario, paragonabile a un vero e proprio nuovo ritrovamento archeologico che va ad arricchire il patrimonio culturale della Sicilia”.
Dopo la mostra di Palermo, città che chiude così in grande stile il suo anno da capitale italiana della Cultura, il Kouros sarà esposto da febbraio 2019 al Museo civico di Catania per poi approdare al Museo archeologico ‘Paolo Orsi’ di Siracusa, dove avrà luogo un convegno internazionale dedicato all’assemblaggio di quest’opera straordinaria che, in futuro – ha dichiarato Tusa – sarà esposta a turno nei due musei di Catania e Siracusa.
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Museo di Palazzo Branciforte, Palermo
Sala della Cavallerizza (sede della collezione archeologica della Fondazione Sicilia)
Via Bara all’Olivella 2
Info: 091.8887767