L’INTERVISTA | «I miei quattro anni accanto ai Bronzi di Riace». Conversazione con il loro restauratore Nuccio Schepis

Nuccio Schepis at work

Nuccio Schepis, restauratore, al lavoro sulla testa del Bronzo di Riace “A” – Ph. Paula Kajzar – FdS: courtesy dell’Autrice

di Enzo Garofalo

Negli ultimi mesi hanno tenuto banco sulla scena culturale nazionale e internazionale a seguito del loro rientro nel Museo Archeologico di Reggio Calabria, sede abituale fin dal lontano 1980 quando vi approdarono dopo un lungo restauro a distanza di 8 anni dal ritrovamento nel mar Jonio calabrese. Parliamo dei celebri Bronzi di Riace, capolavori della statuaria greca del V° sec. a.C. la cui ultima recente uscita dal Museo è stata dettata dall’esigenza di un nuovo restauro volto a bloccare il naturale processo di deterioramento del metallo in parte causato dalla persistenza al loro interno delle originarie terre di fusione. L’operazione è durata 4 anni, durante i quali si è posto mano anche ad un completo restyling del Museo attualmente riaperto al pubblico solo nella sezione del pianterreno che fra l’altro ospita proprio la sala destinata ai due guerrieri.

In questo lasso di tempo le operazioni sono state spesso accompagnate da polemiche, non di rado infondate, come quella che voleva le due statue sottratte allo sguardo dei visitatori e “abbandonate in uno scantinato” (sic) con conseguenti provocatorie proposte da fuori regione quale quella dello storico Franco Cardini che ne chiedeva il trasferimento a Firenze a suo dire luogo “più consono” dove ospitarli, oppure quella che riteneva inutili il nuovo restauro e la relativa ingente spesa sulla base di presunte dichiarazioni di qualche custode del Museo (da quando in qua i custodi di un museo discettano in materia di restauro?). Non sono mancate polemiche anche dopo la proposta avanzata dal presidente della Fondazione Fiera di Milano, Benito Benedini, di inviare le due statue a Milano per l’Expo 2015, alla quale ha fatto seguito il “no” secco del Comitato per la Valorizzazione e la Tutela dei Bronzi di Riace e del Museo Nazionale della Magna Grecia.

Ora i Bronzi sono finalmente tornati al loro posto, splendidi sulle loro funzionali ed esteticamente gradevoli basi antisismiche in marmo di Carrara, riguadagnandosi la meritata attenzione di un pubblico che si spera diventi sempre più numeroso, grazie anche alla nuova campagna di immagine curata dal grande fotografo napoletano Mimmo Jodice. Si apre dunque una nuova stagione che ci si augura proietti ai quattro angoli del pianeta la conoscenza del valore artistico e culturale di questi due capolavori, oltre ad incrementare il loro fortissimo potenziale di attrattori turistici. Allontanatosi quindi il tempo delle discussioni inutili, e sovente pretestuose, abbiamo ritenuto opportuno ritornare sul tema del restauro dei Bronzi, volendo sfatare tante leggende metropolitane circolate in questi mesi e soprattutto tentare di comprendere il valore conoscitivo oltre che conservativo dell’operazione svolta. Per far questo ci siamo rivolti alla persona che ha passato gli ultimi 4 anni della sua vita a stretto contatto fisico con le due statue. Parliamo del restauratore reggino Nuccio Schepis, uno dei massimi esperti del settore, nonché persona di grande gentilezza e cordialità, che con la collega Paola Donati se ne è preso cura fin dal 2009 presso la Sala Monteleone di Palazzo Campanella, sede del Consiglio Regionale della Calabria.

Schepis, lei ha trascorso da restauratore gli ultimi quattro anni a stretto contatto con i celebri Bronzi di Riace ricoprendo un ruolo di grande responsabilità, cioè quello di rimuovere le cause del processo di alterazione della materia in cui sono stati realizzati i due capolavori. Ci spiega in cosa è consistito esattamente questo restauro e come vi siete divisi i compiti lei e la sua collega Paola Donati?

Si è trattato di un’operazione molto complessa che ha richiesto lo svolgimento di tutta una fase preliminare fatta di indagini fisiche e chimiche che la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria ha condotto in concerto con l’Istituto Superiore del Restauro. Un vero e proprio accuratissimo check-up svolto con tecniche sofisticate come ad esempio le gammagrafie eseguite dall’ingegnere Maurizio Salustri di Palermo, una speciale forma di radiografia usata soprattutto in metallurgia e in alcuni settori, appunto, della tecnica del restauro di opere d’arte. Sulla base di questo lavoro preliminare è stato possibile compiere una “mappatura” millimetro per millimetro all’interno e all’esterno delle due statue, in modo da rilevare i punti di corrosione del metallo e le terre di fusione ancora presenti e di conseguenza intervenire attraverso una vera e propria operazione di “microchirurgia” condotta con l’aiuto di un video-endoscopio, operazione quest’ultima che ha visto me e la collega Paola Donati alternarci sulle due statue in un rapporto di grande intesa e sinergia.

Nuccio Schepis at work 2

Nuccio Schepis al lavoro sui Bronzi di Riace – Ph. Paula Kajzar – FdS: courtesy dell’Autrice

Può dirci se e quali nuove informazioni ha permesso di acquisire sulle due statue questo lungo periodo di restauro?

Alla sua domanda posso rispondere per la parte più strettamente tecnica legata al restauro e in tal senso, come dicevo prima, esso ci ha permesso di rilevare i “punti deboli” delle due statue dovuti al trascorrere dei millenni e all’azione degli agenti atmosferici, permettendoci quindi di intervenire a porvi riparo nel modo scientificamente più adeguato. Se invece lei intende riferirsi alla acquisizione di informazioni di carattere più specificamente archeologico preferisco che a rispondere siano le future dichiarazioni che la nostra Sovrintendente, la dott.ssa Simonetta Bonomi, ha sicuramente in programma di fare non appena saranno stati elaborati tutti i dati emersi dall’intera operazione di restauro.

Com’è stato il rapporto del pubblico con le due sculture durante la loro “degenza” a Palazzo Campanella? Ricordiamo ai lettori che esse erano fruibili da dietro un pannello di vetro mentre giacevano distese sotto l’azione di voi restauratori…

Devo dire che è stato un rapporto fantastico. Entusiasmante da un punto di vista professionale e umano, avendomi coinvolto in prima persona per il ruolo che mi sono trovato a svolgere. La mia presenza accanto alle statue, visibili nella sala di Palazzo Campanella da dietro un vetro accuratamente lucidato ogni giorno, mi ha messo in condizioni di fare da “mediatore” fra il pubblico e i Bronzi. Ovviamente, essendo impegnato in un lavoro di grande concentrazione, non sempre ho avuto modo di interagire con le persone, ma appena qualche pausa me lo consentiva ho cercato di esaudire tutte le loro curiosità. Le posso garantire che per certi versi l’inusuale situazione in cui opere e pubblico si sono venuti a trovare, piuttosto che penalizzare la fruizione delle statue, ha addirittura acuito l’interesse nei loro confronti, perché al godimento estetico si è aggiunta la grande curiosità nel volerne comprendere anche aspetti, diciamo così, più “tecnici” legati alla loro struttura materiale.

Forse non ci crederà ma ho visto gente entrare in sala alle 9.00 del mattino e andar via la sera, restando lì ad osservare tutto il tempo noi che lavoravamo. Questo è stato agevolato soprattutto dal fatto che io ho eseguito il mio lavoro evitando di dare le spalle al pubblico, il che ha permesso di instaurare un rapporto di grande confidenza, a volte vissuto in modo diretto, altre volte mediato dai custodi che mi comunicavano le domande dei visitatori alle quali rispondevo appena possibile. Aggiungo poi che durante tutto il periodo di lavoro sui Bronzi ho avuto modo di interagire con persone di tutti i tipi: giornalisti di vari paesi, docenti universitari italiani e stranieri, architetti, prelati, politici, ma soprattutto tanta gente comune.

Nei miei momenti di pausa ho cercato di dialogare un po’ con tutti, ma a colpirmi sono stati soprattutto i bambini con le loro numerose e intelligenti domande. Un bellissimo contatto è stato poi anche quello intercorso con un gruppo di universitari statunitensi, un docente e i suoi studenti della Pennsylvania State University. Da loro continuo ancora a ricevere email in cui esprimono l’entusiasmo per l’esperienza vissuta sul campo, al punto da aver formato nel loro college una specie di fan club dedicato ai Bronzi. Il professore è tornato a farci visita a Natale ed ha espresso l’intenzione di riportare a Reggio tutto il gruppo per una più accurata visita del Museo oltre che di invitarmi a tenere una conferenza presso la loro università. Tutto questo credo che la dica lunga sul potere dell’arte nell’avvicinare le persone, e soprattutto – riferendomi alla gente comune – sta lì a dimostrare quanto essa ami sentirsi raccontare storie che affascinano, soprattutto se a raccontarle sono persone che amano il proprio lavoro, perché questo amore passa sul piano umano lasciando una traccia innegabile.

Dopo questo lungo intervento di restauro, quali accorgimenti sono stati messi in opera per la futura conservazione delle due opere?

Diciamo pure che il principale accorgimento conservativo è stato già messo in atto in sede finale di restauro e cioè l’applicazione del benzotriazolo, uno speciale stabilizzatore dei processi di corrosione applicato a pennello all’interno dei Bronzi con l’aiuto del video-endoscopio. L’altro importantissimo accorgimento è la microclimatizzazione, ossia il mantenimento dell’ambiente circostante in particolari condizioni di temperatura e di umidità, criterio applicato in sede di restauro, di trasporto dal Palazzo Campanella al Museo, ed ora anche nella sala che li ospita in via definitiva, la quale appunto garantisce il mantenimento di un microclima stabile. Il posizionamento sulle basi antisismiche è stato accompagnato da un nuovo check-up, mentre prima dell’apertura al pubblico sono state dettate le regole da rispettare durante le visite, finalizzate appunto a garantire la non alterazione del microclima della sala. Si entra in gruppi di non più di 20 persone alla volta dopo essere passati in una sala cosiddetta pre-filtro dove per 16-18 minuti si assiste gradevolmente alla proiezione di un video dedicato alla storia dei Bronzi, dopodiché sia passa per 3-4 minuti nella sala filtro, un apposito ambiente “decontaminante”, e quindi ha luogo la visita alle statue che dura una ventina di minuti circa.

Per i Bronzi di Riace questo restauro ha rappresentato oltre che una necessità anche l’occasione per una nuova stagione di attenzione da parte del pubblico, che però richiede di essere consolidata nel tempo. A tal proposito, e tenuto conto anche delle polemiche in merito alla opportunità o meno di prestare ad altri musei le due opere, le chiedo di dirci – da addetto ai lavori e da reggino – qual è a suo avviso il tipo di scelte da adottare per valorizzarle al meglio…

Comincio col risponderle a proposito del prestito ad altri musei. Premetto di non avere nulla in contrario alle trasferte di opere d’arte in occasioni di mostre temporanee, ma farei un distinguo fra caso e caso. Nel’ipotesi ad es. della Testa del Filosofo o della Testa di Basilea, entrambe bronzee, non vi è stata opposizione alcuna alle richieste di prestito fuori regione. Hanno viaggiato fino in Germania perché erano in condizione di viaggiare. Ma ci sono altre opere come i Bronzi di Riace per le quali occorre fare un discorso conservativo più rigoroso essendoci un rischio troppo elevato in una loro operazione di spostamento. Nel caso di specie, a parte la non facile maneggevolezza di sculture che raggiungono i 2 m. di altezza, c’è il delicato problema della presenza di microfratture che le rendono vulnerabili alle vibrazioni. Quindi io direi, lasciamole pure lì dove sono. E lo dico non per ottuse ragioni di campanilismo, ma per un principio di cautela che applicherei anche nell’ipotesi in cui la loro sede fosse Londra o New York. Il pubblico probabilmente non immagina neppure quanto sia stato delicato il recente spostamento da Palazzo Campanella al Museo Archeologico. Tutti noi, compreso il Ministro Bray, persona di straordinaria sensibilità, abbiamo vissuto l’operazione con grande apprensione e la tensione è stata altissima fino a che non sono giunte a destinazione. Stessa apprensione è stata condivisa anche dall’assessore regionale alla cultura Mario Caligiuri, dal governatore Scopelliti e dal presidente del Consiglio regionale Talarico, attenti ad ogni passaggio di questa complessa esperienza che è stato il restauro dei Bronzi di Riace. Per quanto concerne poi la valorizzazione di questi come di tutti gli altri straordinari tesori storico-artistici di cui è ricco il nostro Museo e la nostra regione, credo che si debba agire soprattutto sul piano della creazione di infrastrutture che agevolino gli spostamenti e la fruibilità, e poi ancora attraverso un serio lavoro di marketing territoriale, da condurre soprattutto all’estero, oltre a una maggiore cura della città di Reggio e dei suoi servizi. La nostra città, per la sua posizione naturale ha punti di osservazione invidiabili sull’incanto dello Stretto di Messina. Ciò si può constatare già dal nostro splendido Lungomare Falcomatà e ancor più lo si apprezzerà quando verrà aperto il punto ristoro sulla sommità del palazzo in cui ha sede il Museo, dotato di una vista mozzafiato.

Lei, Schepis, non è nuovo al restauro di opere conservate al Museo di Reggio. Di quali altri capolavori ha avuto modo di occuparsi?

Due interventi di restauro particolarmente importanti sono stati quelli sulla Testa del Filosofo e sulla Testa di Basilea, anch’essi splendidi capolavori d’arte antica che oggi condividono lo stesso spazio espositivo con i Bronzi di Riace.

Dopo la lunga esperienza sui Bronzi c’è già qualche altro progetto al quale dovrà dedicarsi prossimamente?

Diciamo pure che si tratterà di un impegno a largo raggio che mi vedrà coinvolto innanzitutto nella fase di riallestimento del Museo, laddove ci fosse la necessità di passare al vaglio le condizioni di altre opere fra quelle in attesa di sistemazione. Poi sto lavorando al riordino di tutta l’opera di documentazione emersa dalle operazioni di restauro, oltre all’impegno quotidiano di controllo del microclima all’interno dello spazio che ospita le due statue.

Lei, Schepis, oltre che restauratore è anche artista. Ci parli un po’ di questo aspetto del suo lavoro, forse un po’ meno noto al grande pubblico.

Posso dire che il restauro e l’attività artistica in senso stretto vanno di pari passo nella mia vita, essendo entrambe frutto del mio percorso formativo. Come artista provengo dagli studi di scultura all’Accademia delle Belle Arti, sebbene rientrino nella sfera dei miei interessi anche tecniche diverse come l’incisione e la pittura. In poche parole mi interessa tutto ciò che è espressione. Mi capita spesso di allestire mie mostre personali come quella che ho attualmente in programma a Chicago, negli Stati Uniti.

 

Un commento

  1. rosanna andreoni

    INTERESSANTE AVERE NOTIZIE DI TANTA VITALITA’ CHE SPERO CONTINUI…COMPLIMENTI…GRAZIE DA UNA…….REGGINA DI ROMA………………..

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