di Carlo Picca
Osvaldo Capraro è nato a Losanna e oggi vive e insegna a Monopoli (Bari). Ha cominciato con un libro di racconti, Il pianeta delle isole rapite, pubblicato da Edizioni La Meridiana. Ha proseguito con due romanzi, Né padri né figli, per e/o editore e Nessun altro mondo, pubblicato da Stilo. In mezzo ci sono diversi racconti sparsi qua e là, tra i quali segnalo Quei binari davanti alla scuola, inserito nella raccolta Ogni maledetta domenica, curata da Alessandro Leogrande per minimum fax e Il sopra e il sotto, nella raccolta Meridione d’inchiostro, Stilo editore, curata da Giovanni Turi. Disponibilissimo, lo abbiamo incontrato per scambiare qualche battuta sulla sua vita e sulla sua attività di scrittura.
Osvalo Capraro, è faticoso fare il lavoro dello scrittore?
Dipende da quanta solitudine sei disposto ad accettare. Da quanta pazienza le persone a te più vicine sono disposte a concederti per le tue “assenze”. E da quanta capacità di concentrazione riesci a metterci malgrado il tran tran della vita quotidiana: la stragrande maggioranza degli scrittori italiani porta la pagnotta a casa grazie a un altro lavoro; se ti va bene, è un lavoro che aiuta nella scrittura, ma spesso è un’attività che assorbe parecchie energie. In questo caso, mettersi davanti a una tastiera per inventare personaggi, ambienti, trame e poi curare, cesellare, levigare frasi e periodi secondo la propria voce interiore, beh, può essere faticoso. Ma la fatica più grande, almeno per me, riguarda i costi umani della faccenda. La scrittura è un impegno esigente, richiede un rapporto continuo, quotidiano. Spesso mi trovo costretto a rifiutare inviti a pranzi, cene, feste con vecchi e nuovi amici; di conseguenza, mi sono reso conto che nel corso di questi anni mi sono privato di relazioni o, perlomeno, non le ho sviluppate quanto avrei voluto. Probabilmente qualche mio conoscente si sarà chiesto ma cos’avrò mai da tirarmela così tanto. È molto importante avere persone in famiglia che capiscano e ti lascino ai tuoi già ristretti tempi. Ed è importante la consapevolezza da parte tua che, quei tempi, li stai spesso sottraendo a loro. A me è andata bene: ho una famiglia che mi sostiene.
Perché hai cominciato a scrivere libri? Quando lo fai preferisci scrivere a penna o col computer?
Qualcuno un giorno ha detto: scrivo per capire perché scrivo. Neanche io sono sicuro di sapere bene perché ho cominciato e perché continui a farlo. Certamente ho iniziato quando mi sono accorto che finalmente potevo cancellare, riscrivere e ricancellare senza sprecare tonnellate di carta. Invidio gli scrittori che hanno già in mente la frase giusta, la scena perfetta a cui manca solo l’inchiostro perché prenda vita sulla pagina. Per me non è così: ci provo e ci riprovo per ore e giorni finché la frase, il ritmo e tutta la pagina non mi suona come dico io. Insomma sì, ho bisogno di una tastiera e di uno schermo. Non ci fosse stato il computer, probabilmente non avrei mai iniziato a scrivere.
I tuoi autori preferiti e perché…
L’elenco sarebbe lunghissimo, incompleto e un tantino ingiusto perché sicuramente dimenticherei qualcuno. Ma il mondo non è giusto, quindi vado con i primi che mi vengono in mente: Camus, il cui “mi rivolto dunque siamo” dovrebbe essere il punto di partenza di ogni opzione morale: volenti o nolenti, non possiamo non sentirci come stranieri in un mondo che, oggi più che mai, proprio non riesce a ribellarsi alla peste del momento. Ho amato molto autori come Goodis, Thompson, J. C. Izzo, J. P. Manchette, D. Raymond, insomma, il meglio del noir americano, inglese e francese della seconda metà del ventesimo secolo. Ho citato solo autori non viventi, me ne rendo conto; allora ne cito uno vivente: Cormack McCarthy, ogni suo libro mi lascia senza fiato.
Quali sono gli ingredienti per costruire una storia?
Per essere bravi oratori, disse Winston Churchill durante un’intervista, sono necessari tre ingredienti: avere qualcosa da dire. Dirla. Tacere dopo averla detta. Lo stesso vale per chi scrive storie. Non crei una storia interessante se non hai qualcosa da dire. E le persone che hanno qualcosa da dire, in genere, hanno una certa esperienza della vita, un certo sguardo sul mondo e, infine, se parliamo di scrittori, un discreto numero di libri già letti, diverse centinaia, meglio se migliaia. Non è questione di essere giovani o anziani, borghesi, aristocratici o sottoproletari, ma di aver acquisito una visione personale della vita e del mondo, cioè quel quid che ti appartiene e che nessun altro può dire a parte te. Puoi frequentare tutti i corsi di scrittura che ti pare, possedere tutte le tecniche di questo mondo, ma senza quello sguardo personale e quella libertà interiore rispetto alla cultura del tempo, sei condannato a non scrivere nulla di originale. Il che spesso, va detto, può anche bastare e avanzare per pubblicare, vendere e, con una buona macchina organizzativa alle spalle, guadagnare tanti soldi. Ma, in questo caso, sarai uno che scrive, uno scrivente. Non uno scrittore. Scrittore è altra cosa.
Presenta ai nostri lettori il tuo ultimo libro edito da Stilo “Nessun altro mondo”…
È la storia del rapporto tra un uomo e un cane sullo sfondo di un mondo, quello attuale, dove gli umani non comunicano e, quando dicono di farlo, in realtà manipolano. Lina (cagna meticcia) e Michele Pellegrino non hanno bisogno di parlare: bastano gli sguardi, gli abbracci, qualche carezza. Grazie alla malattia di Lina, Pellegrino riscopre che la propria esistenza non può esaurirsi nel ruolo di malavitoso al servizio di un alto esponente dei servizi segreti. Il dolore e la malattia della propria cagna gli apriranno in qualche modo gli occhi. Non è un “buono”, non è in grado di esserlo e non lo sarà mai. Però, man mano che impara a “prendersi cura”, sviluppa un atteggiamento protettivo nei confronti di una sua giovanissima vicina, Erika, ragazza sola e border line, molto rompiscatole, coinvolta in pasticci che potrebbero portarla a una brutta fine se qualcuno non interverrà in tempo e in maniera brusca. In tutto questo, è fondamentale il ruolo di Lochiaro, l’ufficiale dei servizi segreti che manipola Pellegrino. Non sottraggo al lettore il gusto della scoperta se dico che si tratta di un personaggio coinvolto in alcuni misteri irrisolti della nostra storia, da piazza Fontana a Capaci. Personaggi così sono realmente esistiti (ripensiamo all’Italia nel periodo fra le due stragi) e hanno sensibilmente interferito sulle vicende italiane. Tornando alla tua domanda, più che un messaggio, Nessun altro mondo mi sembra ponga un interrogativo: perché siamo diventati quel che siamo?
Perche un lettore dovrebbe leggere il tuo “Nessun altro mondo”?
L’importante è che si leggano libri belli. Poi, al lettore accorto basteranno poche pagine per rendersi conto se Nessun altro mondo valga la pena di essere letto.
Quali i progetti per il futuro?
Quanto ai progetti per il futuro, sto ovviamente lavorando a qualcosa, ma essendo scaramantico (non ho detto superstizioso…) preferisco parlarne fra qualche mese.
Il complimento più bello e la critica che più ti hanno colpito fra quelli che hai ricevuto…
Estate 2005, mattina di sole, una persona comincia a leggere Né padri né figli. Continua a leggerlo, fra la sorpresa dei familiari, saltando il pranzo, per tutto il pomeriggio, e se ne distacca solo a sera, dopo averlo terminato. Non è esattamente il prototipo del lettore forte: non aveva mai letto prima un romanzo. Questa storia me l’ha raccontata un suo parente e la considero molto più di un complimento. Riguardo la critica, invece, non so rispondere. Il giorno in cui perderanno tempo a criticarmi sarà un bel giorno: vorrà dire che sono diventato uno scrittore importante.
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