In un dialogo sul futuro del libro (Non sperate di liberarvi dei libri, Milano, 2009), Jean-Claude Carrière e Umberto Eco hanno profilato scenari luminosi alternati a più cupe zone d’ombra, senza tuttavia riuscire a dissipare qualche residuo di dubbio che mi vede schierata di volta in volta nelle retroguardie degli apocalittici o degli integrati. In realtà sono precipitata in un labirinto, per usare la metafora borgesiana che allude all’essenza stessa del libro come manufatto e medium e alla sua collocazione nel tempo e nello spazio. Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta che li hai inventati non puoi fare di meglio, sostiene Eco, nel dichiarare che ciascun testo a stampa, così come lo conosciamo dal XV secolo, non ha rivali per la sua maneggevolezza, anche in previsione comparativa di un’evoluzione delle componenti estrinseche. L’e-book, d’altro canto, non ha rivali per il suo vantaggioso rapporto tra contenuto e supporto/dispositivo, proteso verso rapidissime accelerazioni delle microcomponenti intrinseche.
Diverso è il caso del libro antico, che, oltre al valore del suo contenuto testuale, racchiude in sé l’espressività specifica di testimone storico e artistico-artigianale. Ancor più se esso appartiene a fondi librari compatti e collezioni private, provenienti da lasciti e donazioni, sfuggiti all’irreparabile dispersione degli smembramenti, come agli scorpori e alle selezioni. Per quanto una collezione possa apparire eterogenea, ogni fondo è sempre organico e, nei casi più fortunati, se ne può ricostruire la storia, risalendo dagli ex-libris o dalle note di possesso alla provenienza, alle modalità di acquisizione e così via fino a ricostruire la composizione del patrimonio. E di patrimoni inesplorati il nostro paese è pieno, sostiene Gianni Palumbo, che ha saputo coniugare la sua formazione scientifica e naturalistica con un progetto di humanae litterae, il salvataggio di un ingente deposito archivistico del Comune di Pomarico (Matera), destinato alla perdita o alla dispersione. Un po’ di numeri: 650.000 i documenti e gli atti relativi alla comunità di Pomarico, non ancora ordinati secondo la dottrina archivistica in varie centinaia di faldoni, tre le sale del Palazzo Marchesale destinate a ospitare il Fondo archivistico, restituito alla consultazione degli studiosi, circa 20 tra volontari e archivisti impegnati nel certosino lavoro di pulitura, riordino e schedatura, nel corso di poco più di 1 anno.
Utopie meno fittizie quando a crederci e a operare concretamente c’è il nucleo fondatore dell’Associazione culturale “Giuseppe Camillo Giordano”, costituito da Gianni Palumbo, Patrizia Guerra e Francesco Nocco. A quest’ultimo, archivista dei Cappuccini di Puglia presso Santa Fara e collaboratore del DISUM dell’Università degli studi di Bari e della Scuola di Paleografia e di Archivistica dell’Archivio di Stato di Bari è affidata la conduzione del workshop residenziale Officina del Libro Antico (28-30 ottobre 2016), giunto alla quinta edizione. Bibliotecari, archivisti, bibliofili, operatori dei beni culturali, restauratori, artigiani del libro e della carta hanno avuto l’occasione di scoprire i segreti e studiare il libro antico, a contatto con gli originali provenienti dalla Biblioteca di S. Fara di Bari dei Cappuccini di Puglia, datati ai secoli XV-XVII. Ho partecipato durante una delle tre giornate, insieme al gruppo di giovani corsisti, di formazione umanistica o artistica, come tre intraprendenti allieve da Taranto, che hanno attivato un singolare laboratorio di serigrafia condivisa nella loro città. A ciascuno dei presenti il libro antico ha lasciato una emozionante suggestione, spesso tattile oltre che visiva, come le calcografie dei frontespizi e il loro linguaggio allegorico e criptico, le rilegature personalizzate su commissione dei proprietari, la sopravvivenza dei libri proibiti sfuggiti ai roghi.
L’archivio, una volta riorganizzato e reso fruibile, al di là della sua funzione ovvia di deposito del passato di atti privati e collettivi, è pronto ad aprirsi a nuova vita. Di questo si è discusso durante la giornata di studio “Meraviglie…di carta a Pomarico. Dal progetto Documenta Bradanica, itinerari di memoria” e della mostra documentaria “A carte scoperte: il DNA pomaricano tra passato e futuro” del 5 novembre 2016. Documenta Bradanica è il risultato del progetto integrato di recupero e valorizzazione del patrimonio archivistico dei comuni dell’area bradanica (Montescaglioso, Miglionico, Pomarico, Grottole, Irsina, Grassano), curato dalla società Hyperborea, ora confluito in una pubblicazione a stampa e su un ricco portale online.
Nel momento in cui le scansioni temporali del passato, del presente e del futuro si fondono, l’archivio rispecchia la dimensione multipla e performativa della nostra mente, che conosce transiti ma non barriere temporali. A ben osservare, infatti, in un archivio, a imitazione di alcune funzioni del nostro cervello, la compresenza dei piani temporali è la norma, anziché l’eccezione. Il pensiero creativo nasce proprio dai meccanismi velocissimi – sensitivi, esperienziali, logici, memoriali, simbolici, onirici – che attraversano le piste delle informazioni cerebrali. La riscoperta o la riorganizzazione di archivi, soprattutto il loro salvataggio dal deperimento e dall’oblio, acquista senso con la condivisione e la documentazione della memoria collettiva che si fa storia e fonte dei futuri racconti della storia.
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