di Kasia Burney Gargiulo
Se è vero che la fede autentica non ha bisogno di reliquie nè di miracoli, è anche vero che la loro presenza, comprovata o presunta che sia, è per molte persone ragione di forte coinvolgimento interiore, propulsore di più intensi aneliti spirituali. Di reliquie, in particolare, il mondo cristiano è stracolmo: ve ne sono di autentiche, riconducibili ad alcune delle numerose persone salite nel tempo agli onori degli altari, ma non mancano quelle fittizie messe in circolazione fin dall’antichità per speculare spregiudicatamente sull’atavica ricerca da parte dell’uomo di un contatto ‘materiale’ col Sacro. Speculazione che ha prodotto il moltiplicarsi di ossa di santi, sacri prepuzi, veli della Vergine, sacre spine, sacri calici, frammenti della Croce, e via dicendo, col paradosso non raro di ritrovare nei luoghi più disparati la stessa reliquia.
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In questo universo a tratti inestricabile vi sono però ‘sacri resti’ che godono di particolare considerazione, perchè nei secoli sono riusciti ad attrarre più di altri la devozione generale o perchè la loro presenza nella Storia costituisce una vera e propria sfida alla più inflessibile razionalità. Un esempio celebre è quello della Sacra Sindone, il veneratissimo lenzuolo di lino custodito nel Duomo di Torino su cui campeggia l’immagine di un uomo con segni fisici compatibili con quelli descritti nella passione di Gesù. Una sfida alla scienza, una reliquia controversa, che ancora non riesce a mettere d’accordo quanti discutono intorno alla sua autenticità. Meno conosciuto dal grande pubblico, ma oggetto anch’esso di un culto plurisecolare, così come di un ancora irrisolto confronto di opinioni, è il misterioso Volto Santo di Manoppello, presunta immagine del volto di Cristo custodita nella Basilica del piccolo borgo abruzzese in provincia di Pescara. E’ di questo enigmatico oggetto che oggi vogliamo parlarvi.
IL VOLTO SANTO, UN ENIGMA DA OLTRE 500 ANNI
I lineamenti sembrano quelli, tumefatti, di chi ha subito delle percosse. Lo sguardo, dolce e sofferente, incrocia dritto quello dell’osservatore, mentre dalle labbra socchiuse sembra esalare l’ultimo respiro. E’ questa la visione che, man mano che vi avvicinate all’altare su cui è esposto, prende corpo sulla superficie di un leggero telo di 17×24 cm. Sono questi i tratti più suggestivi di un volto maschile con i capelli lunghi e la barba divisa in bande, da molti ritenuto quello di Cristo. Racchiuso fra due vetri trattenuti da una cornice barocca in legno di noce, pende da secoli sull’altare del Santuario del Volto Santo retto dai Frati Minori Cappuccini, nel 2006 elevato a Basilica minore da Papa Benedetto XVI, primo pontefice della storia a visitare quello che la tradizione considera il velo con cui la pia donna Veronica asciugò il volto di Cristo lungo il cammino verso il Calvario.
Si narra che il velo abbia fatto la sua comparsa a Manoppello nel 1506 portato, chissà da dove, da un ignoto pellegrino che lo affidò al fisico Giacomo Antonio Leonelli, prima di sparire nel nulla. Acquistato nel 1608 da Donato Antonio de Fabritiis, questi lo fece sistemare nella cornice di noce in cui lo vediamo oggi e nel 1638 lo donò ai Cappuccini. Dal 1703 la festa della Trasfigurazione del Signore cominciò ad essere identificata con la festa del Volto Santo.
Il primo ad ufficializzare l’identificazione del velo di Manoppello con quello della Veronica è stato il padre gesuita tedesco Heinrich Pfeiffer, professore di Iconologia e Storia dell’Arte Cristiana all’Università Gregoriana di Roma, che lo ha studiato per tredici anni prima di ritenerlo corrispondente alla celebre reliquia precedentemente custodita in Vaticano. Il velo della Veronica risultava infatti essere stato esposto nell’antica Basilica di San Pietro in Vaticano già nell’Anno Santo del 1300: ne parlano anche Dante nel canto XXXI del Paradiso e Petrarca nel sonetto XVI del Canzoniere. Il velo sarebbe però poi stato trafugato da ignoti nel 1608 in occasione dell’abbattimento della cappella romana in cui era rimasto esposto per secoli. Padre Pfeiffer ha passato in rassegna tutti i dipinti con il volto di Cristo basati sul velo ‘romano’ prima della sua scomparsa, riscontrando numerosissime coincidenze con le sembianze raffigurate sul velo di Manoppello, circostanza da cui ha dedotto la coincidenza fra i due veli. Inoltre sostiene che il velo custodito in Abruzzo presenterebbe sul margine inferiore un frammento di cristallo appartenente al reliquario che lo conteneva a Roma al momento del furto. Qualcuno però fa notare che non c’è compatibilità fra le date: se fosse vera quella del 1506 circa l’arrivo della reliquia in Abruzzo, non si vede come questa potesse essere ancora a Roma nel 1608. Contraddizione, finora irrisolta, che va ad acuire il mistero.
GLI INTERROGATIVI DELLA SCIENZA
La tradizione popolare considera da sempre l’immagine presente sul velo come “acheropita”, termine greco per indicare qualcosa di “non dipinto da mano umana”. L’indagine sulla eventuale presenza di colori è stata affidata nel 1997 al professor Donato Vittore dell’Università di Bari, che ad un esame con i raggi ultravioletti avrebbe scoperto come le fibre del Velo non presentino alcun tipo di colore. Un altro studio è quello condotto nel 2001 dal professor Giulio Fanti, dell’Università di Padova, il quale pur rilevando come “al microscopio ottico appaiano sostanze di apporto colorate in vari particolari anatomici” le ha ritenute riconducibili all’uso di porre a contatto dell’originale copie pittoriche al fine di santificarle; per il resto sul tessuto non apparirebbero tracce di disegno o pittura volte a delineare la figura. Pertanto, i due interventi scientifici hanno lasciato intatto l’enigma. Si aggiunga inoltre che il velo presenta una caratteristica unica al mondo, cioè quella di essere visibile in modo identico da entrambe le parti. Altri studi successivi si sono invece soffermati sulle similitudini esistenti fra il volto della Sindone di Torino e quello del Velo di Manoppello, riscontrando ampie coincidenze, fatta eccezione per la bocca e gli occhi che nella reliquia abruzzese risultano aperti.
IL VOLTO, LA LUCE, LA SETA DEL MARE
Il già citato padre gesuita Heinrich Pfeiffer nel suo lungo studio sul Velo ha fatto altresì notare come il volto raffigurato appaia e scompaia a seconda di come viene colpito dalla luce, fatto che – a suo dire – veniva già nell’antichità considerato un miracolo. Una caratteristica che secondo il sacerdote confermerebbe non trattarsi di un dipinto: “Noi non sappiamo come faccia il velo a colorarsi né come sia stata impressa l’immagine, possiamo solo dire che ha il colore del sangue”.
La misteriosa reattività alla luce e l’estrema sottigliezza del tessuto ha portato Chiara Vigo, maestra sarda di antiche tecniche di tessitura, a sostenere che il velo sia fatto di bisso marino, il tessuto dei re e dei grandi sacerdoti ottenuto fin dall’antichità con la fibra prodotta dal mollusco Pinna nobilis, fibra di cui la Vigo è l’ultima esperta tessitrice al mondo. In una intervista rilasciata sull’argomento, l’esperta artigiana ha sostenuto che il Velo di Manoppello possiede le caratteristiche tipiche del bisso: la trasparenza e l’estrema permeabilità alla luce. “Il bisso – fa notare – è color bronzo al buio e color oro se illuminato. Questa peculiarità è compatibile con l’aspetto del Volto Santo, che scompare in controluce.” Fin qui dunque un effetto fisico del bisso, peraltro oggettivamente riscontrabile, che però non dà conto del processo reale di formazione dell’immagine nè dell’inquietante effetto della identica visione fronte-retro che in un’immagine dipinta sarebbe praticamente impossibile. Insomma il mistero continua. Risposte definitive – conclude Chiara Vigo – potrebbero forse arrivare solo da ulteriori studi scientifici, magari condotti a diretto contatto col velo (finora mai estratto dalla teca a tali scopi): “da cattolica comprendo il salto mistico della fede, ma l’unico modo per elaborare una valida teoria è intraprendere un percorso scientifico, che fornisca delle prove oggettive e concrete.”