di Redazione FdS
Busti votivi di dee dal sorriso enigmatico avvolte nei loro morbidi panneggi, l’attitudine fissa in un gesto ieratico, schiere di devoti che recano offerte a templi ormai distrutti dal tempo, scene di vita quotidiana fra conviti, amori coniugali e commiati di guerrieri, vasi unguentari in policromi vetri orientali, arule su cui il fuoco non arde da millenni ma da cui promana l’eco di antichi sacrifici o di tragedie greche evocate dai bassorilievi. Questo e tanto altro ci racconta dal 19 settembre al 20 novembre la mostra “Medma. Una colonia locrese sul Tirreno” che il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria dedica al mondo della subcolonia voluta sul Tirreno dalla potente polis magno-greca di Locri. Nel nome della città, a detta di Strabone, l’eco di un’omonima fonte che oggi rivivrebbe nel fiume Mèsima serpeggiante nei pressi di Rosarno, moderna figlia di quell’antica madre alla quale ha dedicato un Museo inaugurato nel 2014.
“Quest’esposizione, che accoglierà i visitatori al loro ingresso al Museo, nello spazio di Piazza Paolo Orsi, è di particolare importanza. Presenta una serie eccezionale di reperti, molti dei quali sono esposti per la prima volta dopo un accurato restauro“, ha dichiarato il direttore del MArRC e co-curatore dell’esposizione Malacrino. “È l’occasione per raccontare i tanti aspetti dell’antica Medma, una delle città più rappresentative della Calabria greca, nell’ottica di promuovere e valorizzare tutto il territorio regionale”.
“Medma – ha aggiunto l’archeologo e co-curatore Cannatà – è stata spesso considerata una città “minore” dagli studiosi, in virtù del ruolo politico ricoperto rispetto alla grande storia della Magna Grecia in età arcaica e classica. Agli archeologi, invece, è ampiamente nota per le sue straordinarie produzioni artistiche e artigianali. Quest’esposizione riveste un particolare valore identitario per il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, che ospita nelle proprie collezioni un ricchissimo corpus di terrecotte medmee, rinvenute agli inizi del Novecento dal grande archeologo trentino Paolo Orsi, a cui è stata dedicata la Mostra appena conclusa, realizzata in collaborazione con il Museo Archeologico Regionale di Siracusa a lui intitolato”.
La collezione archeologica del MArRC contiene pregevoli reperti provenienti dagli scavi nel territorio dell’antica Medma, in particolare di terrecotte prodotte da botteghe artigiane locali. Alcune statuette femminili votive in terracotta di varie dimensioni attestano il culto di Kore-Persefone. Mentre le testine fittili di pregiata fattura, con capigliature acconciate alla moda, lisce bipartite o a riccioli “a lumachella”, spesso adornate da gioielli artistici, che lasciano risaltare i lineamenti marcati dai grandi occhi a mandorla, le palpebre rigonfie e gli enigmatici sorrisi, costituiscono un unicum nella produzione artigianale in Magna Grecia per quantità e varietà di tipologie e di stili.
Merita particolare attenzione un gruppo di arule fittili (altari in terracotta) che riproducono scene tratte dalla coeva tragedia attica. Una caratteristica di alto valore artistico, che non trova riscontro nelle produzioni analoghe di Locri e di Hipponion. Fra queste troviamo l’arula proveniente dalla necropoli di Petto di Nolio, datata V secolo a. C., ispirata all’Andromeda di Sofocle, rappresentata ad Atene nel 412 a.C.: al centro della scena, l’eroe Perseo, abbigliato di pileo (copricapo in pelle o stoffa), faretra e ascia, stringe la mano in segno di patto al re degli Etiopi Cefeo, seduto in trono, impegnandosi a liberarne la figlia Andromeda dalle grinfie del mostro marino al quale era stata data in sacrificio per placare il dio del mare Poseidone, con la promessa di averla in moglie come premio.
Un altro prezioso reperto in mostra è la statuetta di offerente dall’area sacra di Calderazzo, sempre del V secolo a.C., di forte valore identitario per la produzione medmea. Infatti, è tra gli oggetti più rappresentativi dell’artigianato locale, in quanto meno soggetto alle influenze della grande statuaria greca. Altri oggetti provengono dalla località S. Anna, dove si estendeva il santuario di Atena, come testimonia la “stipe dei cavallucci”. Centinaia di piccoli equini in terracotta vi furono rinvenuti da Orsi ai primi del Novecento e poi da Salvatore Settis negli anni Sessanta, in una fossa larga 7m x 25 di lunghezza. Una terza area sacra, nei pressi del Mattatoio, fu scoperta successivamente e probabilmente dedicata al culto di Dioniso. Tra gli oggetti più suggestivi in esposizione c’è anche il cratere a calice (grande vaso usato per mescere vino e acqua) siceliota a figure rosse, datato IV secolo a.C., dalla Necropoli di Nolio-Carrozzo.
La coroplastica medmea è presente in primo piano in molti istituti museali europei ed extracontinentali. Per esempio, è molto diffusa in Germania, nei musei di Monaco, Bonn, Göttingen, Heidelberg, Lipsia, Tübingen, in Inghilterra, al British Museum di Londra, negli Stati Uniti, al Metropolitan Museum di New York, in Australia, al Nicholson Museum di Sydney.
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