di Redazione FdS
Affermatosi ormai da anni quale una delle più ambite mete del turismo calabrese, lo splendido borgo marittimo di Tropea (Vibo Valentia) ha conosciuto più recentemente una significativa escalation di interesse turistico a livello nazionale e internazionale. Questa crescita di attenzione ha coinciso con un processo di sprovincializzazione a cui il luogo è stato sottoposto dall’azione ferma e determinata del sindaco Giovanni Macrì, che fin dai suoi esordi come primo cittadino si è con costanza e tenacia speso, insieme alla sua amministrazione, nella valorizzazione di un luogo tradizionalmente identificato solo con il suo mare spettacolare. Sebbene infatti Tropea sia stata tra i primi luoghi della Calabria ad ospitare strutture turistiche di alta fascia, e nonostante possa vantare una storia plurimillenaria, è rimasta a lungo meta di un turismo “mordi e fuggi” oltre che prevalentemente estivo e balneare.
La scelta di invertire la rotta ha trovato la sua grande spinta nella ritrovata consapevolezza di avere tutte le risorse, sul piano paesaggisticio e culturale, per farne una destinazione in grado di attrarre un pubblico più esigente e qualificato, in estate quanto nel resto dell’anno; consapevolezza su cui hanno lavorato, e continuano tenacemente a lavorare, amministrazione e cittadini, incoraggiati dalla risposta che ogni azione positiva sul territorio riesce a ottenere in termini di crescenti presenze, di eco mediatica e di reputazione. Dalla cura del decoro urbano alla riqualificazione di un bellissimo centro storico situato su una rupe di circa 60 metri a strapiombo sul mare, alla valorizzazione delle eccellenze gastronomiche, delle risorse storiche, artistiche e architettoniche, delle tradizioni, tutto sta concorrendo a questa vera e propria ”rinascita” di Tropea che si è così vista catapultare nel circuito dei Borghi più belli d’Italia e in quello delle Bandiere Blu, riconoscimento internazionale assegnato per la qualità del mare e delle spiagge. Alla composizione del ”mosaico” Tropea – la cui storia si è sviluppata tra l’età del Mito e il presente passando per la Magna Grecia e i domini romano, bizantino, arabo, normanno e aragonese – contribuisce dallo scorso aprile anche il nuovo Civico Museo del Mare di Tropea (MuMaT), ubicato in alcune sale dell’antico complesso conventuale di Santa Chiara. In questo caso Tropea attinge a un passato ancora più remoto, quello della paleontologia del suo territorio, sui cui reperti il tempo si misura in termini di ere geologiche.
In incubazione fin dal 2011, ossia in concomitanza con l’avvio del restauro dell’ex complesso conventuale di Santa Chiara realizzato proprio con l’intento di riconvertirne gli spazi, ormai inutilizzati, in un museo del mare e in una sala polifunzionale, il nuovo spazio culturale è stato finalmente aperto al pubblico lo scorso aprile dopo varie vicissitudini amministrative e dopo lo stop imposto dalla pandemia di Covid-19. Questa apertura rappresenta il coronamento della ultratrentennale attività svolta dai soci del Gruppo Paleontologico Tropeano (GPT) sul territorio, in particolare nelle cave di sabbia della vicina Cessaniti. La quasi totalità dei reperti oggi in mostra nel museo provengono dagli strati geologici su cui insistono il tratto di costa e le colline dell’interno, vere e proprie miniere fossilifere del periodo miocenico: un unicum a livello regionale, che per la sua varietà è stato studiato da paleontologi nazionali e internazionali. Nel corso delle attività di ricerca portate avanti con mezzi e fondi propri, il GPT ha infatti realizzato un completo programma di studi dei reperti con la collaborazione di illustri studiosi come Daryl Paul Domning (Howard University di Washington), Nikos Solounias (American Museum of Natural History di New York), Lorenzo Rook (Università di Firenze), James Brink (National Museum Bloemfontein di Johannesburg).
Affidato alla direzione del prof. Francesco Barritta, con la responsabilità scientifica del Gruppo Paleontologico Tropeano presieduto da Giuseppe Carone, il Museo del Mare di Tropea punta a sensibilizzare il visitatore al rispetto per l’ambiente, specificatamente quello marino, accendendo i riflettori sul patrimonio paleontologico e biologico del Tirreno centro-calabrese e in particolare del promontorio del Poro. La struttura museale si sviluppa in tre sale contigue poste al pianterreno dello storico complesso conventuale che lo ospita e in passato adibite a cucina e refettorio, per le quali è stato scelto un tipo di arredo essenziale costituito da contenitori in metacrilato su basi in legno e all’interno dei quali sono stati posizionati 184 reperti tra vertebrati marini e continentali e invertebrati marini, con scopo prevalentemente comparativo tra fossili e organismi viventi per evidenziare l’evoluzione delle varie specie. La prima sala ospita una piccola collezione di denti di selaci e di squali; la seconda è dedicata alla biologia marina e agli invertebrati, con la collezione malacologica e l’esposizione di varie specie di Echinidi, tra le quali numerose Clypeaster donate dal paleontofilo Kurt Bosk ed esemplari del paratipo Amphiope Caronei, così detto dal nome del ricercatore Carone.
La collezione malacologica, formata anche grazie alle donazioni di molti collezionisti locali ed esperti del settore che hanno voluto condividere con il Museo i frutti della loro passione, include centinaia di conchiglie provenienti dal territorio e non solo, tutte scientificamente catalogate secondo i criteri previsti dalla malacologia ufficiale; in particolare, gli esemplari provenienti dal mare locale testimoniano la straordinaria abbondanza di specie e la elevata biodiversità della costa tirrenica.
Infine troviamo la sezione destinata interamente alla paleontologia, con conchiglie e vertebrati, nella quale spiccano i due scheletri di Metaxytherium serresii, uno dei quali risulta ad oggi il più completo al mondo, appartenenti a una specie estinta di cui si hanno in Italia solo quattro ritrovamenti, e lo scheletro di Heterocetus guiscardii, un esemplare di balena (detta Leida) risalente a 7 milioni di anni fa, tra i più completi e meglio conservati, riemerso nel 1985 a seguito di scavi condotti dal Gruppo archeologico “Paolo Orsi”. Tra i reperti più insoliti si segnalano anche un dente fossile di Stegotetrabelodon syrticus, un elefante nordafricano caratterizzato da quattro lunghe zanne, e l’astragalo di un esemplare di Bohlinia attica, un giraffoide vissuto nel Miocene superiore, sorprendenti ritrovamenti che evocano tempi remoti di supposti collegamenti fra le coste della Calabria e quelle dell’Africa settentrionale.
Fin dalla sua apertura il MuMaT aderisce alle iniziative promosse dal MiBACT (Domenica al Museo) e alla rete di musei del mare. La disponibilità di una sala polifunzionale consente di organizzare eventi durante tutto l’anno, andando così ad arricchire l’offerta culturale della città proponendo convegni e mostre d’arte temporanee.
LA SEDE DEL MUSEO
L’ex complesso conventuale di S. Chiara, che oggi ospita il Museo del Mare, fu tra i primi di tale Ordine in Calabria, istituito nel 1261 per volere della nobildonna Marianna Mumoli. La struttura, rimaneggiata più volte tra il XVI e XVII secolo, fu, in seguito al terremoto del 1783, incamerata dalla Cassa Sacra e assegnata in parte alla nobile famiglia Toraldo, la quale nel 1877 donò i locali per la creazione dell’”Ospedale civile Ignazio Toraldo”. Nel 1988 divenne sede del Municipio di Tropea, poi trasferito a Palazzo Sant’Anna. Rimasto inutilizzato, più di un decennio fa si decise di trasformarlo in uno spazio museale aperto alla città e ai suoi numerosi visitatori.
Civico Museo del Mare, Tropea (VV)
Via Ospedale Palazzo Santa Chiara
Orario visite: da mercoledì a domenica dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:30 alle 19:30 (chiuso lunedì e martedì)
Biglietto: intero: 5 €; ridotto: 2,50 €; ingresso gratuito per alcune categorie di visitatori o in occasione di particolari eventi o promozioni comunicati sul sito web del museo.
Tel.: +39 338 834 5849
Email: contatti@mumat.it
Sito web: www.mumat.it