Posto a sei metri sotto la Basilica di S. Francesco di Paola, si estende per oltre mille metri quadri e può ospitare fino a 300 persone. Un gioiello architettonico semisconosciuto destinato a diventare un prestigioso spazio per iniziative culturali
di Kasia Burney Gargiulo
Esiste da circa due secoli ma era praticamente noto a pochi addetti ai lavori. Finalmente sta per diventare uno dei luoghi più cool della città di Napoli, una nuova prestigiosa sede per esposizioni museali, convegni, rassegne artistiche e altre manifestazioni culturali. E’ il grande ipogeo di Piazza del Plebiscito, celebre “salotto” cittadino che trovò il suo assetto definitivo dopo la restaurazione borbonica seguita al decennio francese che vide Gioacchino Murat sul trono di Napoli. L’ipogeo è ciò che resta dell’originario progetto murattiano di sistemazione della piazza (l’antico e irregolare Largo di Palazzo), un progetto ispirato al ruolo sociale, di rappresentazione e discussione politica, propria del foro romano. Affidato per concorso agli architetti Leopoldo Laperuta e Antonio De Simone, il Gran Foro Gioacchino prevedeva infatti in superficie la nascita di un edificio pubblico di forma circolare, riservato ad assemblee popolari, al centro di un uniforme e continuo colonnato semicircolare che chiudeva e caratterizzava lo spazio della piazza. Il progetto includeva anche una complessa e stupefacente architettura sotterranea – quella che ora sta per essere aperta al pubblico – di cui poco chiara rimane l’originaria destinazione, sebbene la funzione pubblica del sovrastante edificio possa far legittimamente ipotizzare che l’ipogeo servisse anch’esso come luogo di incontro collettivo, magari per spettacoli ed eventi.
L’IPOGEO DI PIAZZA PLEBISCITO: DA SPAZIO LAICO A SOTTERRANEO DI UNA CHIESA
Con l’uccisione di Murat, la conseguente fine del dominio francese e il ritorno dei Borboni sul trono di Napoli, i lavori di riqualificazione urbana, che erano iniziati nel 1809, subirono uno stop per poi riprendere con un nuovo progetto affidato da re Ferdinando IV all’architetto Pietro Bianchi, che rispolverò in parte quello di Laperuta e De Simone ma trasformò il grande edificio pubblico semicircolare voluto da Murat in un tempio classico in onore di S. Francesco di Paola.
Tutta la logica compositiva delle strutture di superficie ne uscì inevitabilmente variata: mutarono i rapporti di volume fra chiesa e colonnato, avendo la prima preso il sopravvento con la nascita delle cupole sovrastanti le cappelle e di una imponente scalinata centrale in corrispondenza dell’ampio frontone in stile neoclassico. I modelli di riferimento per chiesa e colonnato sono facilmente riconoscibili – il romano Pantheon, con la sua pianta circolare, e il colonnato di S. Pietro – sebbene rievocati in scala ridotta. Bianchi mise mano anche alla sala ipogea che, posta 6 metri sotto il vestibolo della chiesa, riproduce le caratteristiche dell’aula ecclesiale in superficie. Strutturata interamente in pietra di tufo, con coperture a volta, ha un’altezza variabile dai 4,00 m ai 5,60 m. Dalla sala centrale, spazialmente definita da un pilastro ad archi a forma di fungo, attraverso un sistema di percorsi concentrici e di cunicoli è possibile raggiungere quattro sale più piccole, una di forma ottagonale, due circolari e una poligonale, poste a quote differenti ma corrispondenti anch’esse alle sovrastanti cappelle della chiesa.
Questo genere di struttura ipogea non è estraneo al complesso e diffuso sistema di “città sotterranea” che caratterizza Napoli e che fu realizzato attraverso scavi effettuati fin dall’epoca greco-romana all’interno dei numerosi costoni tufacei, generatisi dall’aggregazione dei detriti vulcanici accumulatisi in seguito alla remota attività eruttiva dei Campi Flegrei. Un mondo ”di sotto” che ha permesso a quello superiore di esistere grazie ai materiali che ne vennero cavati nel corso dei secoli.
L’accesso all’ipogeo è garantito in maniera autonoma da un ingresso che si trova all’interno dei locali corrispondenti ai civici 6 e 7 del colonnato: il pubblico potrà accedere attraverso una scala e un ascensore in vetro, immergendosi nel ventre della città fra archi e pietre di tufo lasciati a vista e tracce dei palazzi ottocenteschi a suo tempo abbattuti per lasciare spazio alla nuova struttura. Il tutto lungo un percorso che confluisce nella vasta sala centrale, rivestita da una sorprendente aura di modernità atemporale che già le è valso il nome di “Guggenheim napoletano”.
IPOGEO: RITORNO ALLE ORIGINI
Questi spazi sotterranei tornano dunque oggi a rivivere per un uso tutto sommato non distante dalla originaria funzione pubblica e culturale perseguita da Murat. L’attuale riqualificazione è stata voluta dal Comune di Napoli e dal Provveditorato alle opere pubbliche sulla base di un progetto che vede coinvolti anche Demanio, Curia, FEC (Fondo Edifici di Culto), Soprintendenza e Prefettura. “E’ un luogo ritrovato che verrà restituito alla città – ha detto Carmine Piscopo, assessore ai Beni comuni e all’Urbanistica – per cui stiamo portando avanti i lavori con il Provveditorato affinché l’ipogeo possa presto diventare uno spazio preposto ad ospitare l’arte e la cultura. E’ infatti ampio più di 1000 metri quadri e può ospitare fino a 300 persone alla volta. L’intenzione è quella di portare qui le più importanti esposizioni della città di Napoli. Ora sta per partire la gara per i lavori di completamento e finalmente la città potrà riappropriarsi di questo luogo meraviglioso.”
“Il percorso di accesso – ha spiegato Salvatore Russo, architetto del Provveditorato alle opere pubbliche – sarà molto suggestivo. Il restauro ha rispettato lo stato in cui si presentava nel momento in cui è stato liberato dai detriti, con le pietre di tufo a faccia vista e i resti di palazzi abbattuti nell’Ottocento per fare spazio alle nuove strutture. Si arriva quindi alla grande sala circolare la quale presenta una serie di oculi che la collegano alla chiesa sovrastante e questo pilastro centrale a forma di fungo che ha a sua volta una sala al proprio interno.” “Si è inoltre notato – ha aggiunto Carmine Piscopo – come in questo spazio gli effetti sonori siano molto particolari, di rifrazione e di amplificazione del suono”, effetti che si ripropongono anche negli spazi circostanti collegati alla sala centrale. “Attraverso ulteriori lavori – ha infine anticipato – si potranno lateralmente connettere questi spazi con la Galleria Borbonica [un altro degli straordinari spazi sotterranei riscoperti di recente, risalente al tempo di Ferdinando II di Borbone – NdR] e pensare a un ingresso da Piazza del Plebiscito e a una percorrenza fino a via Morelli. Insomma questa è una piazza “ritrovata” che diventa un accesso alla Napoli sotterranea con uscita dall’altra parte della città”.
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