di Angelo Foresti*
Questa guida, saporosa e intensa come i luoghi che descrive, non ha la presunzione di indicare ciò che è il meglio in senso assoluto né ha la pretesa di incontrare la soddisfazione di tutti. Questo piccolo manuale è stato redatto solo per condividere con voi le scoperte gastronomiche che i miei molteplici viaggi mi hanno fortunatamente concesso; per dare una meritata luce a una parte della Penisola caratterizzata da una solitudine del tutto italica, da una cordialità esemplare e da indimenticabili sapori particolari; per portarvi, in modo virtuale, ma allo stesso tempo suggestivo, nei cuori delle regioni del sud Italia.
A iniziare dall’Abruzzo, si assapora quello che è il Sud dal punto di vista agroalimentare e turistico, partendo dall’accoglienza calorosa che riserva questa gente sana e schietta come la propria terra, ricca di tante risorse per quante sono le sue molteplici sfaccettature. Dalla costa dei trabucchi sul mare Adriatico al Gran Sasso d’Italia, punto più alto di questa regione, colpiscono le innumerevoli ma diverse tra loro tipologie di prodotti, molti dei quali balzati negli ultimi anni agli onori delle cronache gastronomiche grazie alla sempre maggiore attenzione rivolta alle tipicità regionali. Dallo zafferano di Navelli, alle patate tipiche degli altopiani, agli oli EVO di primaria importanza per l’esecuzione delle ricette regionali sia montane che di mare, come l’Aprutino Pescarese, il Pretuziano delle Colline Teramane e il Colline Teatine.
E poi i formaggi come il Caciocavallo e il Pecorino di Atri, o i salumi particolari come la coppa di testa, la soppressata e la ventricina Vastese. I piatti più conosciuti sono gli arrosticini di pecora, i succulenti spaghetti alla chitarra, il brodetto di pesce (famosi quello di Giulianova e di Vasto), e poi i vini Montepulciano, su tutti quello de Il Feuduccio di Orsogna premiato quest’anno con i tre bicchieri dalla famosa guida del Gambero Rosso, il Cerasuolo (un rosato carico sempre ottenuto da uve Montepulciano) e il profumato Pecorino, tutti presenti nei ristoranti tra i più up to date della regione: il Reale a Castel di Sangro, il Villa Maiella a Guardiagrele e non ultimo il Metrò a San Salvo Marina per chi ama il pescato. Le acque di Fara San Martino nobilitano la semola di grano duro locale e così pregiate paste alimentari vengono prodotte dal pastificio Cocco e da De Cecco aziende vanto nazionale conosciute in tutto il mondo. E che dire del liquore ad alta gradazione denominato Centerbe ideato dal farmacista Beniamino Toro? E dei confetti di Sulmona simbolo dolciario della regione rinomato ed esportato in tutto il mondo? Solo bene! Una citazione particolare va pure alle Sorelle Nurzia di L’Aquila che dal 1835 producono un ghiotto e particolare torrone tenero al cioccolato e nocciole.
Una delle simpatiche leggende che circolano sui social riguarda l’inesistenza del Molise. Ebbene esiste, eccome se esiste! Questa è una regione in cui mare e montagna sono complici donatori alla propria ristorazione di prodotti genuini e gustosi, i quali vengono utilizzati per la creazione di piatti di una tradizione in perenne riscoperta e conservazione. Il mare è pescosissimo e i versanti montani sono colonizzati da bovini, caprini, ovini e suini, per lo più allevati allo stato brado; sono cosparsi di boschi, culla dei tipici funghi porcini e di alcune varietà di tartufo bianco e nero, che digradano placidamente fino ad incontrare le tipicità dell’agricoltura mediterranea: vigneti e uliveti, sono all’origine di vini come l’antico e restaurato Tintilia della Cantina Cianfagna di Acquaviva Colle Croce o il suggestivo Biferno Bianco Gironia di Borgo di Colloredo a Campomarino (un vino che sente il mare).
Come non ricordare, poi, gli oli extravergine da cultivar Gentile di Larino e quello del Principe Pignatelli, prodotto nei pressi di Venafro. In questa regione si può inoltre imbattersi, passeggiando per le vie dello “struscio” di Campobasso, in uno dei più grandi archeologi del gusto di tutta Italia: Bobo Vincenzi, patron del ristorante RiBo a Guglionesi, sempre all’instancabile ricerca di ricette della tradizione da riproporre, riscoprire, e che può condurre chiunque, con i suoi incantevoli aneddoti storici, verso una profonda conoscenza della regione. Altro personaggio di spicco, interprete della vera cucina locale, è Filindo della Trattoria Borgo Antico a Civita Superiore di Bojano. Qui ai piedi del Matese sembra di essere rimasti indietro nel tempo.
Dall’altra parte della vetta, sul versante opposto, si adagiano paesini dal passato glorioso, famosi per essere appartenuti alla regione storica del Sannio. Siamo in Campania. Questa regione che il sud annovera per le sue specialità enogastronomiche è patria di storici e di gladiatori, di drammaturghi e di attori infiniti, e di prodotti della terra eccezionali. Il suo sole benevolo, le sue piane fertili, i suoi dolci rilievi, l’aria provvidenziale del suo mare e l’azione munifica del Vesuvio fanno sì che in questi luoghi si abbia una produzione di tipicità a dir poco esagerata: mozzarella e ricotta di bufala, olive di Gaeta Dop, pomodorino del piennolo del Vesuvio, limoni di Sorrento, mela annurca campana, nocciola tonda di Giffoni (sede del celebre film festival), pasta di Gragnano e friarielli, sono solo alcuni dei prodotti col pedigree della regione, che contribuiscono a dar vita a piatti leggendari come pizza, mozzarella in carrozza, paccheri con le triglie, babà, pastiera e molto molto altro ancora.
Il clima propizio permette un’incantevole viticoltura che ci consente di sorbire vini favolosi come il Fiano di Lapio, il Taurasi (detto anche Barolo del sud), il vino d’Ischia Per’e Palummo prodotto dall’azienda D’Ambra, il Pallagrello Bianco, il Trebulanum di Massimo Alois, il Costa d’Amalfi Furore Bianco dell’azienda Cuomo e il Montevetrano di Silvia Imparato. A questo punto è impossibile evitare una sosta presso dei ristoranti che sono riferimenti assoluti per tutti coloro che vogliono avere il bello e il buono: il centenario Don Alfonso 1890, che è pure un’azienda agricola in grado di rifornire la propria cucina con prodotti di una bontà indescrivibile, e Il Principe, a Pompei, sito storico tristemente sublime.
La Basilicata è luogo affascinante e selvatico, scenario naturale che molti registi hanno scelto per girare pellicole immortali. Anche questa regione vede la convivenza eternale tra habitat montani e marini, con però la prevalenza dei primi, dato che le coste consistono solo in piccole strisce di terra che si affacciano pacifiche sullo Ionio e sul Tirreno e che comunque donano alla cucina tradizionale ingredienti in grado di caratterizzarla fortemente. Va da sé che il grosso della produzione gastronomica lucana ha un’identità da entroterra. Allevamento e agricoltura forniscono alle tavole dei ristoranti prodotti unici: carni di bovini, ovini, caprini e suini, allevati in libertà alle pendici frastagliate delle montagne; insaccati e prodotti caseari (come caciocavallo podolico e pecorino canestrato); funghi cardoncelli, frutti dei boschi diffusi; fagioli, peperoni, melanzane e la patata rossa, tutti prodotti Dop o Igt.
È sul Vulture, antico vulcano spento, che viene generata la tipicità inimitabile della regione: zona di acque incredibili e terapeutiche e anche di vigneti di Aglianico del Vulture da cui si ottengono i favolosi vini omonimi, spesse volte con vendemmia notturna delle uve nell’azienda Terra dei Re, Sangiovese e Malvasia bianco, e di oliveti di cultivar Majatica, dalla cui frantumazione si ottiene un ottimo olio Dop. Se poi si volessero gustare i piatti tipici della cucina lucana, rigorosamente preparati secondo le antiche ricette, magari sbocconcellando un po’ del mitico Pane di Matera, lo si può fare presso La Taverna Rovita, a Maratea, in un ambiente rustico di fascino, o alla Trattoria Lucana di Matera, in cui servono piatti particolari col fungo cardoncello.
La Puglia da nord a sud ci ripresenta le caratteristiche geografiche della nazione: montagna, colli e piana sconfinata, tutti abbracciati dal mare che la circonda e le fornisce una notevole quantità e qualità di pescato fresco (il pesce dal promontorio garganico, della costa di Savelletri, del basso Salento e i ricci di Torre Canne ne sono esempi).
La particolarità della morfologia territoriale permette a questa regione di variare la produzione a seconda della zona di provenienza, sicché allevamento e agricoltura sono altamente differenziati sebbene comuni a tutte le zone: possiamo imbatterci dunque nel grano del tavoliere, nel pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto, nelle mucche podoliche del Gargano, nei muli di Martina Franca, nella cipolla di Acquaviva, in carciofi, fichi, ciliegie (tipo Ferrovia), broccoletti, fave, fichi d’india, mandorle, melograni, in innumerevoli varietà di vitigni e di oliveti. L’abilità dei pugliesi è da sempre quella della trasformazione artigianale dei prodotti della propria terra in funzione dei prodotti tipici celeberrimi, come taralli, pane di Altamura, le mozzarelle di Gioia del Colle, il purè di fave e cicoriette, le orecchiette con le cime di rapa, i fichi mandorlati della Valle d’Itria, formaggi e insaccati particolari (capocollo di Martina Franca dei Santoro), l’oliva da tavola la Bella di Cerignola ecc.
I vini non sono più quelli da taglio come una volta, ma qualche azienda da tempo ha iniziato una produzione di qualità le cui perle sono: il Nero di Troia di Alture, Il Moscato di Trani vendemmia tardiva di Torrevento, il Rosato ottenuto con il sistema a lacrima di Severino Garofano a Copertino, il Primitivo di Gioia del Colle firmato Polvanera, il Susumaniello rosato di Flora Saponari (con la complicità dell’enotecnico Filippo Cassano), il Minutolo del mitico Lino Carparelli, il Salice Salentino, il Negroamaro, il Bianco d’Alessano, il Verdeca e molto altro ancora di aziende quasi tutte di riconosciuta fama. La birra Raffo di Taranto dal sapore vellutato è un’altra chicca delle specialità pugliesi. Paesaggi incantevoli si trovano più o meno ovunque e molti sono i resort che lì sorgono spettacolari. Il Borgo Egnazia a Savelletri di Fasano è il più rappresentativo, la Masseria Picca Picca a Morciano di Leuca nel Salento (dove la signora Laura vizia con i suoi piatti memorabili i suoi speciali ospiti ) mentre l’ultimo nato è il Borgo Canonica a Cisternino. I luoghi di ristoro sono molteplici, adatti a tutti i gusti e tutte le tasche, dal fiabesco Grotta Palazzese a Polignano a Mare, forse il più fascinoso, dove la cucina è un optional, alla medievale Peschiera a Capitolo, meta di personaggi facoltosi, sino Al Canale di Taranto, che si affaccia sui mar Grande e Piccolo, sicuramente consigliabile per la sua cucina di pesce nobile sempre freschissimo.
Da qui, la Calabria è a un passo. Sembra una montagna che sorge dal mare, il che le permette di avere dalla sua terra e dal suo mare dei “frutti” estremamente caratteristici (liquirizia, funghi vari, castagne, peperoncino, maiale nero calabrese, cipolla di Tropea, bergamotto, miele, erbe e spezie selvatiche, mandorle, tartufo di Pizzo, vitigni particolari come Gaglioppo e Greco, olive dei colli di Tropea, stocco, pescespada, tonno, ecc…).
Da questi si ottengono prodotti tipici unici come l’Amaro del Capo, marmellate e confetture varie, la ‘Nduja di Spilinga (salame spalmabile al peperoncino, ingrediente utilizzato nella produzione degli insaccati simbolo di questa terra), le trecce di fichi, la pasta di mandorle, il Bocconotto, i vini Cirò dei fratelli De Mare a Cirò Marina, il Greco di Bianco di Santino Lucà, a Bianco, la conserva di peperoncino, l’olio extravergine di Tropea, il capocollo e la soppressata di maiale, e altro ancora, tutti alla base di una cucina tipica e sapiente che trova nel mitico Pinuccio Alia, della storica locanda di Castrovillari, un grande portabandiera in grado di presentare con maestria nel suo ristorante tutti i piatti della tradizione calabra.
Il ponte da Scilla a Ganzirri di Berlusconi e Renzi non è ancora pronto, allora prendiamo un traghetto della Caronte (traghettatore pure delle anime) e raggiungiamo la Sicilia. Il mare la governa influenzandone costumi e produzioni.
Cosicché è facile imbattersi nelle saline di Trapani, nelle vecchie tonnare in disuso di Scopello nella Riserva dello Zingaro. Considerando l’enorme quantità di flottiglie da pesca, la Sicilia è pure produttrice di tradizionali conserve ittiche, soprattutto di tonno a Marzameni, Favignana, e pesce azzurro nella zona che va da Castellammare del Golfo a Palermo. Nella dolce apparente tranquillità di Santa Flavia, località marittima, in una delle sue frazioni, Porticello, è possibile incontrare un essere mitologico metà uomo metà passione, Nello Cardilio detto pure Nello El Greco, che nel suo ristorante La Muciara (prende il nome da un’antica imbarcazione da pesca a forma piatta) vi donerà un’esperienza mistica con la sua cucina di pesce freschissimo. Nell’entroterra, a Chiaramonte Gulfi, sui monti Iblei, terra d’olio sublime da cultivar tonda iblea esiste un frantoio vanto di tutta la Sicilia intera: il Frantoio Cutrera.
Gli oli lì prodotti si possono acquistare anche in uno storico ristorante locale, l’Antica Stazione, che era davvero una stazione, negli anni venti, trenta e quaranta del secolo scorso, stazione così difficile da raggiungere dalla piccola littorina tanto che i passeggeri dovevano scendere dal vagone per facilitarne l’impervia salita (si dice che persino re Vittorio Emanuele III fu sottoposto a tale trattamento). Nella capitale c’è il ristorante dell’appassionato Gigi Mangia che con la sua cucina delicata ripropone i piatti della tradizione sicula tanto cari alla compianta scrittrice di gastronomia locale Franca Colonna Romana. Se poi volessimo parlare di vini, trovo che sia obbligatorio citare il geniale Marco de Bartoli, di Marsala, inventore del Vecchio Samperi, vino conosciuto in tutto il pianeta; una sorta di Marsala ma senza aggiunta di “mistella”, il Nero d’Avola, l’Alcamo (i due più famosi insieme al Marsala), il Malvasia delle Lipari (ottimo quello di Antonino Caravaglio a Malfa) e del Passito di Pantelleria da uve Zibibbo detto anche Moscatellone d’Alessandria (io privilegio quello di Basile). Concludiamo la nostra permanenza su questa splendida e per certi versi unica isola parlando dei suoi agrumi inarrivabili, i limoni, le arance rosse di Paternò e quelle bionde di Ribera, delle granite miracolose di limone e sale di Doddi a Messina e dei gelati assurdamente buoni, come i leggendari dolci (cassata, cannoli ecc.) del Caffè Sicilia di Noto dei fratelli Assenza.
Non dimentichiamo la Sardegna, l’altra grande isola d’Italia, appartenente al sud non tanto per la sua posizione geografica ma per la forma della sua anima. Qui c’è una cultura territoriale totalmente distante da quelle che abbiamo potuto vedere finora, ma è sempre caratterizzata dagli influssi benefici del mare e dal clima mediterraneo avvolgente, che uniforma le sue produzioni a quelle delle regioni continentali. È rinomata per gli allevamenti di ovini e le loro derivazioni: il pecorino sardo è tra i formaggi più celebri, ma una menzione particolare va fatta pure per la ricotta di pecora.
Sui crinali dei monti nasce spontaneo il mirto, frutto selvatico dal quale si ricava un profumato ed intenso liquore, mentre alle pendici sorgono i vitigni che portano ai tipici vini, Cannonau, Vernaccia, Vermentino di Gallura (quello di Tondini a Calangianus è tra i migliori), Bovale e Carignano e al famoso distillato dal nome Filu’e Ferru. Altri prodotti di spicco dell’agricoltura sono gli spinosi carciofi di altissima qualità, che vengono anche conservati sott’olio extravergine denocciolato di Bosana, allo stesso modo di funghi e pescato; la pompia, agrume ideale per la preparazione di liquori, e i cereali dai quali si ottiene il pane Carasau e la isolanissima birra Ichnusa. Quando poi si ha voglia di gustare il pesce nella sua massima espressione culinaria è d’obbligo una visita a Luigi Pomata, a Cagliari, o al Golden Gates a Bortigiadas, a pochi chilometri da Tempo Pausania.
Il viaggio nella terra dei Mori è giunto al termine, non resta che imbarcarci e tornare sul “continente” solcando le onde del Tirreno. Vi ho elencato in un soffio solo una piccola parte delle dolci esperienze enogastronomiche che come un prezioso ninnolo mi hanno cullato nelle ardenti terre del sud. Adesso, a vostro piacere, non vi resta che confutarle o chiudere gli occhi, immaginarvi il suono delle cicale, un campo coltivato sotto il sole cocente, un cappello di paglia. Posatelo dolcemente sulla fronte e dopo tutto questo ben di Dio concedetevi ad un sonnellino ristoratore lì dove la natura vi tiene in grembo.
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*Angelo Foresti è consulente e critico enogastronomico. Allievo del grande maestro Luigi Veronelli e di Giacomo Bologna, in passato è stato fondatore di un ristorante di prestigio che per anni ha campeggiato ai vertici delle classifiche delle più importanti guide gastronomiche. Autore di varie pubblicazioni, ha avuto modo di esprimere la sua profonda conoscenza in numerose trasmissioni televisive. Già collaboratore della Guida ai Vini d’Italia del Gambero Rosso, oggi è tra gli autori dei testi della prestigiosa Guida ai Ristoranti dell’Espresso. Da qualche tempo ha instaurato uno stretto legame con la Puglia dove trascorre una buona parte dell’anno fra lavoro e vacanze.