di Kasia Burney Gargiulo
Il mistero prorompe dalle viscere di Pompei con la conturbante forza dei simboli; una visione frastornante per chi come noi ha interrotto da tempo qualsiasi legame con la natura che non sia di mero utilitarismo. A differenza degli antichi ci sfugge infatti l’idea, o sarebbe meglio dire l’intuizione, delle forze sottili che agiscono in essa intrecciandosi con le nostre vite, radicate più di quanto non immaginiamo nell’entità che chiamiamo ‘universo’. Migliaia di anni fa quell’intuizione era ancora viva e trovava espressione nell’affascinante commistione di religio e sapientia che traspare da numerosi manufatti, come i bellissimi e misteriosi affreschi riemersi nei giorni scorsi nella Regio V di Pompei, nel corso dei nuovi lavori di scavo previsti dal Grande progetto Pompei. A riaffiorare fra i lapilli è un sontuoso larario dipinto di circa 4m x 5m relativo a una casa già in parte scavata agli inizi del Novecento, con accesso dal vicolo di Marco Lucrezio Frontone. Il larario era uno spazio votivo della casa, solitamente collocato nell’atrio, che ospitava un’edicola dedicata ai Lari, antiche divinità agresti preposte alla tutela della famiglia. In questo appena scoperto a Pompei, il più grande mai rinvenuto nella città vesuviana, l’edicola è collocata al centro di un lussureggiante e misterioso giardino dai colori brillanti che è già valso all’edificio il nome di Casa del Giardino Incantato. Sulla parete principale, fra piante, uccelli e altri animali, campeggiano due serpenti “agatodemoni” (dal greco, ‘demoni buoni’), simbolo di prosperità e buon auspicio, dei quali colpiscono sia le grandi dimensioni che lo straordinario realismo delle squame.
FIGURE E SIMBOLI DEL LARARIO
Come da tradizione, i Lari, le divinità dedicatarie di questo spazio sacro, sono ritratti con le sembianze di una coppia di giovani danzanti, con corta tunica e mantello, raffigurati ai lati dell’edicola, che ha restituito agli archeologi anche una lucerna in bronzo. I due serpenti “agatodemoni”, la cui memoria sembra riecheggiare nel mito meridionale delle “bisce secolari”, rispecchiano anch’essi l’iconografia tradizionale che li vede dipinti mentre si dirigono verso l’altare sul quale di solito compaiono, come in questo caso, frutta, uova e una grossa pigna, che per gli antichi erano rispettivamente simboli di abbondanza, fertilità e immortalità. Questi rettili erano consacrati al Gènius, ossia il demone del capofamiglia, che nella più frequente iconografia è raffigurato in forma di giovane con toga e capo velato, nell’atto di compiere libagioni; iconografia di cui usualmente fanno parte anche i Penàtes, divinità protettrici della dispensa dei viveri (pènus), dalla quale dipendeva il benessere della famiglia, e la Iùno, il demone delle donne, custode della forza generatrice e dei valori trascendentali. Sia il Gènius che la Iuno si riteneva nascessero e morissero con la persona stessa a cui erano assegnati. “La grande novità – ha detto Massimo Osanna, Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei – è che il tutto è stato potenziato ricreando su due livelli un paesaggio idilliaco, con una natura florida ed esuberante, con alberi e uccelli e, sull’altra parete, una scena di caccia con un cinghiale attaccato da altri animali, fra cui un cavallo; è una caccia simbolica, come sembra evincersi dal contrasto fra il nero del cinghiale e il colore chiaro degli altri animali, contrasto che parrebbe evocare l’eterna lotta fra il Bene e il Male”.
UN MICROCOSMO FRA REALTÀ E ILLUSIONE
Straordinariamente suggestiva la prospettiva che mescola illusione e realtà confondendo piante dipinte con quelle vere cui doveva essere destinata l’aiuola sottostante il larario, sul cui margine si staglia un pavone dipinto che sembra quasi muoversi sul terreno del piccolo giardino. Stessa corrispondenza fra l’ara dipinta accerchiata dai due serpenti e un’arula (piccolo altare) in terracotta ritrovata sul posto, sulla quale persistono ancora tracce carbonizzate delle offerte con cui si onoravano le divinità domestiche per propiziarsi il benessere di tutta la famiglia. “C’è sempre in queste pareti – osserva Osanna – un gioco fra illusione e realtà: le pareti vengono “sfondate” da giardini ideali, ma al tempo stesso gli spazi interni vengono decorati con giardini veri. E qui si vede molto bene questo doppio effetto”.
Sulla parete opposta, su uno splendido fondo in rosso pompeiano, campeggia invece la scena di caccia nella quale – come faceva notare prima Osanna – si distinguono diversi animali di colore chiaro che circondano un cinghiale nero, figure che sembrano alludere simbolicamente alla vittoria delle forze del bene sul male. Toccante, nel suo restituirci l’immane dramma dell’eruzione del 79 d.C., è infine il vano della finestra che dava sul giardino ma che oggi si mostra occupato da un agglomerato di lapilli, fango e frammenti di legno degli infissi, che preme sulla grata di ferro.
La stanza, senza dubbio adibita al culto, è tuttavia ancora da definire nella disposizione degli spazi, considerata la presenza insolita di alcuni elementi come la vasca posta al centro dell’ambiente, dotata di un sistema di scolo delle acque e bordata dal giardinetto, e lo spazio soppalcato che chiude uno dei lati, ancora interamente da scavare. Da indagare è anche il pozzo situato lungo uno degli angoli della vasca, ritrovato con il coperchio semi aperto e attualmente colmo di lapilli che potrebbero nascondere reperti inaspettati. “E’ una stanza meravigliosa ed enigmatica, da studiare a fondo, perché come spesso accade a Pompei è senza confronti”, commenta Massimo Osanna.
E senza dubbio fra gli elementi più enigmatici c’è l’immagine di un uomo con la testa di cane: “E’ un simbolo egittizzante – osserva Osanna – che evoca la figura di Anubi, divinità legata al mondo dei morti, ma è ripreso dall’artista di questo giardino misterioso con dei tratti del tutto particolari.” Un mistero è anche l’identità del proprietario di questa casa che certamente fu ampia ed opulenta: “chissà che non lo rivelino i lavori dei prossimi mesi, quando verranno liberate dai lapilli altre due stanze che si affacciavano sul giardino”, ha osservato Osanna.
Il soprintendente Massimo Osanna ha tenuto a precisare che “questi straordinari ritrovamenti che continuano a regalare grandi emozioni, rientrano nel più vasto intervento di manutenzione, quello della messa in sicurezza dei fronti di scavo che sta interessando i circa 3 km di fronti che delimitano l’ area non scavata di Pompei. Un intervento fondamentale in una delle aree più a rischio del sito, mai prima trattata complessivamente e che oggi, grazie all’operazione di riprofilamento dei fronti che ha lo scopo di ridurre la pressione del terreno sulle aree già scavate, ci sta anche consentendo di portare alla luce ambienti intatti con splendide decorazioni.” L’archeologo ha inoltre anticipato la previsione di un progetto di fruizione dell’ambiente appena ritrovato per cui dal vicino vicolo di Marco Lucrezio Frontone si entra nelle Casa del Giardino Incantato e si arriva a vedere lo straordinario ambiente che ne ha suggerito il nome.
© RIPRODUZIONE RISERVATA