Partito per New York negli anni ’20 da un paesino della provincia di Cosenza, ha ritratto i principali protagonisti dell’epoca d’oro di Hollywood, Broadway e dell’arte contemporanea americana. È stato fotografo, pittore, gallerista, collezionista d’arte e manager culturale
di Redazione FdS
Davanti all’obiettivo della sua macchina fotografica è passata gran parte del mondo americano delle arti – cinema, teatro, danza, musica, pittura, scultura, letteratura – prodotto di quello straordinario melting pot culturale che ha reso gli Stati Uniti il grande Paese che sono; una multiculturalità alimentata dal ”sogno americano”, ossia da quella speranza di affermazione e riscatto sociale fatta di coraggio e duro lavoro. Ed è inseguendo quel sogno che quasi un secolo fa si imbarcò a Napoli sulla S.S. Critoforo Colombo Alfredo Giuseppe Valente, venticinquenne di Rovito, paesino dei colli della Presila, a pochi chilometri da Cosenza, dove lasciò il padre Filippo e la madre Carmela Pirillo. Registratosi curiosamente come actor nella “List of Alien Passengers for the United States” (sebbene in Italia avesse studiato canto e pittura) e sbarcato a New York il 7 maggio del 1924 all’età di 25 anni (era nato il 17 marzo 1899), mai avrebbe immaginato che il mondo del teatro e del cinema lo avrebbe vissuto non sulla scena ma dietro le quinte, da fotografo teatrale a Broadway e da pioniere di quella ritrattistica fotografica del XX° secolo stimolata dal confronto con le altre arti e sensibile all’elemento psicologico del soggetto. Ma una volta resosi conto che il ruolo di interprete sulla ribalta, pur tanto agognato, non faceva evidentemente parte del suo dna (nonostante i tentativi, la carriera di cantante lirico, alla quale inizialmente puntava, non era decollata), Valente perseguì le sue nuove aspirazioni con caparbietà e grande talento, un talento che lo avrebbe portato a diventare uno dei fotografi più ricercati nel periodo d’oro di Hollywood, Broadway e dell’arte contemporanea americana. In tanti sono stati immortalati dal suo obiettivo: dal genio del cinema Frank Capra a quello dell’arte Salvador Dalì, passando per attori come Tallula Bankhead, Mirna Loy e Montgomery Clift, i danzatori dell’American Ballet Theatre e del Ballet Russe di Monte Carlo, scrittori come Irwin Shaw e David Burliuk, e artisti come Raphael Soyer, George Grosz, Yasuo Kuniyoshi, Paul H. Manship, solo per citarne alcuni (nel video seguente una ricca rappresentanza dei personaggi fotografati da Valente nel corso della sua carriera).
A dare un forte impulso alla sua carriera di fotografo fu la collaborazione, nel 1931 a New York, con il neonato Group Theatre, una compagnia di teatro sperimentale co-fondata (con Harold Clurman e Cheryl Crawford) da Lee Strasberg, futuro celebre direttore dell’Actors Studio, la prestigiosa scuola di recitazione avviata anni dopo proprio da alcuni membri di questo sodalizio. Delle foto realizzate per la compagnia merita di essere ricordata in particolare una in cui Valente ne ritrae con maestria i membri durante una riunione (vi si riconoscono Roman Bohnen, Luther Adler, Leif Erickson, Frances Farmer, Ruth Nelson, Sanford Meisner, Phoebe Brand, Eleanor Lynn, Irwin Shaw, Elia Kazan, Harold Clurman e Morris Carnovsky).
Verso la metà degli anni ’30 Valente vantava già numerose collaborazioni con giornali e riviste, tra cui la nota Stage, dedicata alla scena teatrale di Broadway, imponendosi come uno dei migliori fotografi teatrali in circolazione, grazie alle sue particolari prospettive di ripresa e al taglio drammatico delle luci presto diventati il suo marchio di fabbrica. La sua scelta stilistica si collocava sulla scia della reazione che negli anni ’30 si ebbe contro le manipolazioni artistiche delle stampe eseguite dai fotografi M. I. Boris, G. Maillard Kesslere e Hal Phyfe alla fine degli anni ’20. Influenzato da vari pittori degli anni ’30, Valente ritenne che la ritrattistica potesse essere resa drammatica dalle angolazioni di ripresa e dalle luci, piuttosto che dalla manipolazione del negativo. Ad impressionare gli editori di Stage, spingendoli ad assumerlo, era stata in particolare la sua fotografia di Richard Berry Harrison, attore canadese di colore, figlio di schiavi fuggitivi, a cui TIME dedicò nel 1935 una delle sue prestigiose copertine quale acclamato interprete in teatro del ruolo di “The Lord” (Dio) in The Green Pastures di Marc Connelly, pièce vincitrice del Premio Pulitzer. Oltre che sulla scena, Valente amava ritrarre in studio gli interpreti col costume dei loro personaggi, andando così ad incrementare ulteriormente l’attenzione del pubblico intorno agli spettacoli.
Attratto anche dal mondo della danza, iniziò una collaborazione con l’American Ballet Theatre fin dagli esordi della compagnia, negli anni ’40, concentrando l’attenzione sui danzatori di maggior spicco, tra i quali ricordiamo Harold Lang e Alicia Alonso; un rapporto di consuetudine con l’arte coreutica proseguito anche con il Ballet Russe di Montecarlo, proprio negli anni in cui il grande Lèonide Massine creava le sue più celebri coreografie. Dal 1937 in poi, eclissando il noto Maurice Goldberg, sempre più impegnato a Hollywood, Alfredo Valente divenne il fotografo di punta del New York Times e, più o meno nello stesso periodo, collaborò per un paio d’anni con la Columbia Pictures, celebre società di produzione cinematografica che gli affidò la realizzazione di alcune campagne pubblicitarie. Legati al mondo del cinema sono anche i numerosi ritratti di alcune delle più affermate stelle del grande schermo, oltre a quelle di registi, sceneggiatori e scenografi.
Nella sua attività fotografica Valente fu supportato dalla moglie Miriam Shinkowitz (scomparsa nel 1998) che, oltre ad averlo sposato nel 1933 a Manhattan e ad essere la madre di suo figlio Richard, nato nel 1941, fu sua segretaria e assistente (l’illustratrice Lily Harmon, che la ritrasse nella tela Miriam and fruit, nella sua autobiografia la definisce abilissima nel rimuovere le imperfezioni dai negativi fotografici). La passione per l’arte e la poliedricità del suo talento spinsero presto Alfredo Valente ad investire parte dei suoi proventi nelle opere di artisti americani che considerava tra i migliori del tempo – si possono citare tra gli altri Raphael Soyer, John Sloan, Thomas Hart Benton, Reginald Marsh, Yasuo Kuniyoshi e Abraham Walkowitz – con i quali instaurò anche stretti rapporti di amicizia. Una passione, quella per l’arte, che presto diventò un lavoro con l’apertura, nel 1959, della Alfredo Valente Gallery al 119 West 57th Street di Manhattan, a poca distanza da Central Park, dove esponeva e vendeva le opere degli artisti che lo entusiasmavano, ad alcuni dei quali dedicò anche monografie e cataloghi redatti di suo pugno, come ad esempio quelli dedicato ai pittori Robert Henri, Philip Evergood, Oscar Bluemner e David Lax o alla scultrice Roda Sherbell. Negli anni ’60 la sua galleria risulta trasferita presso il non lontano civico 822 di Madison Avenue 69th Street. Essendo egli stesso pittore, non mancò inoltre di esporre a New York i propri dipinti, cosa che fece nel 1952 alla New School, presentando 28 ritratti di pittori della città insieme a una serie di suoi autoritratti.
E proprio al mondo degli artisti, alla dimensione privata del loro atto creativo, colta con sguardo intimo ed autentico, è dedicato il cortometraggio indipendente Art Discovers America, che nel 1943 vide Valente come fotografo e co-regista con Hal Frater: un lavoro confluito di recente negli Archives of American Art, col quale volle richiamare l’attenzione su un’arte nazionale in via di maturazione negli Stati Uniti e rendere omaggio agli artisti, per i quali coniò l’appellativo di “American Masters”, come viene ricordato nel necrologio del New York Times pubblicato il 28 giugno 1973, all’indomani della morte avvenuta nella sua casa di Sea Cliff (Nassau), a Long Island. Il corto, distribuito dalla MGM, fu acquistato l’anno dopo dallo studio Loews e trasformato in un più lungo film didattico intitolato Grandpa Called It Art. La copia del corto originario, sebbene acquisita dagli Archives of American Art in condizioni di conservazione non ottimali, lascia emergere in modo chiaro l’entusiasmo di Valente per l’argomento e per la rara testimonianza resa dai suoi amici artisti.
Sebbene Alfredo Valente sia legato soprattutto al mondo artistico, non mancò di esplorare altri ambiti, come testimoniano ad esempio i suoi scatti della famiglia Kennedy per il New York Times, quelli raffiguranti scene di vita quotidiana oppure composizioni sperimentali come la modernissima Feet (1935) in cui ritrae un groviglio di piedi di danzatori Hindu. Le sue immagini furono oggetto di mostre come ad esempio le due collettive tenutesi al MOMA di New York, Photography 1839-1937, del ’37, e Image of Freedom, del ’42, la personale tenuta al Philadelphia Museum of Art, nel 1938, quella che nel gennaio 1964 gli volle dedicare la Chase Manhattan Bank intitolata “The Personal and Private Eye of the Photographer”, e quella postuma del 1978 presso la C.W. Post Art Gallery (Long Island University) di New York, dal titolo “Double exposure: Alfredo Valente as photographer and collector”. Il suo ultimo exploit come fotografo teatrale coincise con l’accettazione, negli anni ’60, del ruolo di responsabile fotografico della rivista Show, un’esperienza ricca ma di breve durata a causa della chiusura della testata.
Terminato quell’incarico, Alfredo Valente divenne curatore volontario e non retribuito del New York Cultural Center fondato dalla Farleigh Dickinson University. Rinnovava così la sua esperienza di manager culturale, già intrapresa con l’apertura della sua galleria, ricoprendo un ruolo che portò avanti fino a quando le cattive condizioni di salute non lo costrinsero a dimettersi, già alcuni anni prima della sua morte.
Numerosi sono gli archivi negli Stati Uniti che oggi custodiscono documenti e fotografie di Alfredo Valente, tra cui gli Archives of American Art e la National Portrait Gallery di Washington, la New York Public Library for the Performing Arts, il Museum of Modern Art (MOMA) di New York e il Getty Museum di Los Angeles. Invece la mostra più recente in cui sono state esposte sue immagini risale al 2014 ed era intitolata “Black and Beautiful” tenutasi presso la Keith De Lellis Gallery di Manhattan e dedicata alla ritrattistica di soggetto afroamericano attraverso le opere di oltre due dozzine di acclamati fotografi, tra cui il calabrese Alfredo Valente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Italians of New York, Federal Writers’ Project (New York, N.Y.), 1938
BROADWAY PHOTOGRAPHS, Alfredo Valente on website www.broadway.cas.sc.edu
Arts, Vol. 35, Arts Digest, Incorporated, 1960
Show: The Magazine of the Arts, Volume 4, Hartford Publications, Incorporated, 1964
Paul Cummings, A Dictionary of Contemporary American Artists, St. Martin’s Press, 1971, pp. 368
Lily Harmon, Freehand: An Intimate Portrait of the New York Art Scene in Its Golden Years by a Remarkable Woman who Lived, Loved and Painted it, Simon and Schuster, New York, 1981, 350 pp.
Constance Schwartz, The Shock of Modernism in America: The Eight and Artists of the Armory Show, Nassau County Museum of Fine Art, 1984, pp. 96
The New York Times, June 29, 1973, Page 40
MOMA, Photography 1839-1937, With an introduction by Beaumont Newhall, New York, 1937 – Catalogo della mostra
MOMA, Image of Freedom, New York, 1942 – Catalogo della mostra
Annual report – 1938, by Philadelphia Museum of Art; Philadelphia Museum School of Industrial Art
Joseph J. Yorizzo, Double exposure: Alfredo Valente as photographer and collector : exhibition, October 29-December 10, 1978, C.W. Post Art Gallery, Long Island University, Greenvale, 1978
Dico semplicemente:foto eccelse, un bel video e una storia molto originale da far conoscere al grande pubbllico.