Vibo Valentia, città dai natali illustri, città-mito, città-simbolo, città-immagine, dove ogni angolo è un pezzo di storia, dove ogni campanile e strada nascondono un mistero, dove ogni pietra custodisce il tesoro della memoria. La sua grandezza e il suo fascino sono dati non solo dall’essere un luogo che gode di affacci su panorami dai colori calamitanti, ma anche da una storia dalle origini remotissime.
L’aura quasi mitica e la possenza della polis di Hipponion, una delle sub-colonie più importanti della “Grande Gréce” (fu fondata dall’allora celebre città di Locri), sono indubbiamente suggerite dalle sue maestose mura, che per circa otto chilometri sono state a lungo barriera difensiva a protezione della città. Pochi conoscono però la loro esistenza e ancor meno conoscono la loro rilevanza storico-archeologica. Questa cinta muraria è infatti un unicum per grandiosità e imponenza costruttiva, rappresentando uno degli esempi più complessi e monumentali di architettura militare della grecità d’occidente. L’opera documenta l’importanza bellica ed economica che la polis deve aver avuto tra il VI e il III secolo a.C., arco cronologico in cui risultano definite ed evidenziate dall’architetto Aumüller le sei fasi costruttive del tratto oggi più noto (contrassegnate come A, B1, B2, C, D1 e D2).
I fratelli Pignatari furono i primi a descrivere il percorso delle mura in un manoscritto del 1753, ma solo nel 1832 venne pubblicata da Vito Capialbi la pianta particolareggiata del tracciato. Questa risente di alcuni errori dovuti al grado di conoscenza archeologica del periodo, ma è importante perché segnala tratti della cinta muraria oggi non più visibili. Fu però l’archeologo roveretano Paolo Orsi a mettere in luce il lungo tratto nord- est della cinta muraria durante alcune campagne di scavo (1916, 1917, 1921, 1922) in località Trappeto Vecchio. Le indagini fecero riemergere un lungo tratto di mura intervallato da possenti torri “in arenaria tenerissima in tutto simile alla pietra mollis di Locri, che però esposta all’aria si consolida”. Il rapporto di scavo dell’Orsi su quelle stupefacenti scoperte, suscitò l’interesse di non pochi studiosi (Saflünd, Blake, Lugli, ecc.) che, in quegli anni, avevano formulato diverse ipotesi sulla datazione del monumento, che già all’epoca presentava drammatici problemi di conservazione.
Osservandone la configurazione, si nota che il tracciato della struttura è stato condizionato dal naturale andamento del terreno; dunque, è probabile che le mura seguissero il limite del pianoro abbastanza elevato su cui sorgeva la città greca. Con il passare del tempo, è sicuramente certo che abbia subito variazioni strategiche e ricostruzioni, anche sostanziali, nei diversi punti del tracciato, secondo il mutare delle esigenze difensive e insediative, di guerre e assedi.
Il tratto si sviluppa lungo un perimetro di circa quattrocento metri e presenta molte fasi costruttive, che si intersecano e si accavallano tra loro, tanto che spesso è difficile riconoscerle. Gli studi hanno evinto che la sua utilizzazione finisce con il decadere della “Megálē Hellàs”, e non è più in utilizzo con la deduzione della colonia romana. Il muro risalente al periodo più antico (fine VI-inizio V sec. a.C.) evidenziato al Trappeto Vecchio, è stato definito come appartenente alla fase A, costituito da una semplice cinta rettilinea, priva di torri o di altre costruzioni. In questa fase muraria l’opera difensiva era stata utilizzata con funzione di terrazzamento. Questo muro conserva pochi tratti ed è costruito con pietre di scisto giustapposte a secco di diverse dimensioni, tenute quindi insieme senza l’impiego di malta o altro legante (gli scisti sono molto comuni nel territorio circostante perché costituiscono la roccia vergine su cui sorge la città). Gli angoli probabilmente erano rafforzati con pietre più grosse che venivano squadrate. È stato accertato che, l’elevato del muro rimasto, corrisponde allo zoccolo su cui era poggiata una sopraelevazione di mattoni crudi, impastati di terra e paglia; identico materiale (denominato bresti) utilizzato nelle costruzioni rurali del vibonese fino agli inizi delNovecento.
Nelle fasi successive B1 e B2 ( le due fasi si differenziano solo per un leggero cambiamento delle dimensioni dei blocchi) la tecnica costruttiva delle mura cambia totalmente, sia per i materiali impiegati che per la modalità dell’edificazione stessa. La cortina difensiva ha un andamento lineare provvisto di un terrapieno, che viene interrotto da torri rettangolari impostate verso l’interno. L’esecuzione è accurata, vengono utilizzati blocchi di arenaria calcarea locale, molto tenera, giustapposti a secco senza tasselli o grappe di collegamento. Quasi tutte le torri di questa fase sono state impiegate come base di altre delle fase successive, e sono state riempite di pietrisco fino all’altezza dei camminamenti. Altra caratteristica principale di questa cortina è la ricostruzione di una porta ubicata tra le torri V e VI, in cui è stato riconosciuto un poderoso bastione fatto di terra, schegge di calcarenite e frammenti di mattoni.
Aumüller ipotizza che, questo tipo di inusuale murazione, doveva essere stato progettato per scopi difensivi piuttosto che di attacco verso l’esterno. Le torri ubicate all’interno non servivano a coprire i fianchi delle cortine, ma costituivano solo piattaforme rialzate di combattimento, che in tempo di pace diventavano spazi di guardia e di sosta. La carenza di possibilità offensive per i difensori, come in questo caso, è una delle principali peculiarità delle fortificazioni greche fino alla fine del V sec. a.C., epoca a cui si riconduce la costruzione di questa fase. Le torri quadrangolari interne rinvenute sono sei. L’architetto, inoltre, ha riconosciuto evidenti segni di assedio, risalenti a un periodo tra la fine del V e l’inizio del IV secolo. È facile collegare questo dato con la notizia tramandata da Diodoro Siculo relativamente alla conquista della città da parte di Dionisio I tiranno di Siracusa nel 388 a.C. (Diod., XIV,107).
La quarta fase, detta C, si ricollega all’intervento – nel 379 a.C. – dei Cartaginesi, che liberarono Hipponion dal giogo siracusano aiutando gli abitanti a ricostruire la città (Diod., XV,24). Questo tratto è stato realizzato adoperando materiali vari di costruzione. Esso è inoltre caratterizzato dalla presenza di torri quadrate esterne delle quali rimangono poche tracce perché sconvolte dalla realizzazione di tratti murari di età ellenistica. I resti della fase C risultano quasi invisibili agli occhi dei visitatori e consistono in due torri quadrate esterne e in un tratto di mura, rintracciati nei pressi delle torri I e III di età ellenistica.
La quinta fase, detta D1 (fine IV- inizio III sec. a.C.) è contraddistinta da una maggiore monumentalità e dal frequente utilizzo di torri, in tutto quattro (I, II, III, IV), collocate in circa cento metri di cortina difensiva. Questo tipo di torre si contraddistingue per la sua forma circolare o semicircolare con base quadrata. Con questa forma tondeggiante erano più resistenti alle macchine belliche e fungevano da postazione per l’artiglieria pesante (catapulte e balliste). Il tratto più conservato e suggestivo si trova nei pressi della torre IV, conservatasi per oltre tre metri di altezza.
Alla sesta fase, detta D2, datata inizio III sec. a.C., appartengono altre quattro torri circolari (V, VI, VII, VIII), relativa probabilmente all’età agatoclea (nel 294 a.C. Agatocle, Tiranno di Siracusa conquista Hipponion secondo quanto tramandato da Diodoro Siculo). Le torri si contraddistinguono, rispetto a quelle della fase precedente, per l’assenza della base quadrata. Questo tratto della cinta muraria fa utilizzo della precedente fase B per la realizzazione dell’emplèkton (muro che aggregava due materiali eterogenei, terra e pietre irregolari, nel riempimento dello spazio tra i due paramenti verticali). Nei pressi della torre V la fase B è invece utilizzata per occultare la postierla (ingresso della cinta muraria adoperato per le sortite solo a scopi militari). Diverse porte di sortita sono state rinvenute sia nella fase D1 che nella fase D2. Alcune di queste porte venivano utilizzate contro il nemico come una sorta di “specchietto per le allodole”, per attirare il nemico e tendergli un attacco a sorpresa. Inoltre la presenza di un fossato, largo circa quattro metri, impediva, insieme all’uso dell’artiglieria, la distruzione della murazione e la sua penetrazione.
Via Paolo Orsi, contigua all’ingresso del percorso archeologico, presenta anche tratti di muro ben in vista. Durante i lavori per la sistemazione della stessa strada, ancora oggi in esecuzione, si è appreso dell’ulteriore rinvenimento di strutture della cinta muraria. Nel 1978 durante la realizzazione del muro di contenimento della stessa strada, all’incrocio con Viale delle Accademie Vibonesi, fu infatti portato alla luce un tratto di circa quindici metri di cinta muraria con tracce di una torre e un fossato antistante largo circa tre metri e mezzo. L’imponente manufatto, alto fino a un metro e ottanta, venne però obliterato per il completamento degli stessi lavori. A poche centinaia di metri da questa area, al di sotto della collina del tempio dorico del Parco delle Rimembranze, è stata infine rinvenuta nel 2006 una torre a pianta circolare della fase D2, di dimensioni ben più grandi di quelle rinvenute a Trappeto Vecchio.
La cinta muraria di Hipponion, costellata da un imponente numero di torri, era dunque di grande monumentalità ma non serviva alla città solo per scopi bellici. Le testimonianze sopravvussute fino ad oggi, ci parlano infatti di un’opera difensiva grandiosa le cui funzioni però non si limitavano alla semplice sfera militare: quelle mura erano anche lo specchio delle ambizioni di una città, che con un’inaudita veste architettonica intendeva dimostrarsi potente e opulenta verso l’esterno, tanto da poter impiegare per la realizzazione delle proprie mura centinaia di uomini e ingenti risorse finanziarie.*
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* Ringrazio il mio carissimo amico Manuel Zinnà, esperto archeologo e preziosa guida durante la stesura di questo articolo.
Riferimenti bibliografici:
– IANNELLI M. T., AMMENDOLIA V., I volti di Hipponion, Rubettino, 2000, Soveria Mannelli
– ROTELLA A.M., GARGANO G., Enotri e Bretti in Magna Grecia, il litoraLe tirrenico centrale, Centro Herakles per il turismo culturale
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