di Enzo Garofalo
I tre più importanti teatri del Sud Italia – San Carlo di Napoli, Petruzzelli di Bari e Massimo di Palermo – celebrano in sinergia il genio di Mozart coproducendo una nuova messa in scena del capolavoro Le Nozze di Figaro, prima delle sue tre opere italiane composte su libretto di Lorenzo Da Ponte: il debutto del nuovo allestimento, lo scorso 27 gennaio sul palcoscenico del politeama barese, ha segnato l’avvio della Stagione Lirica 2016 e, si spera, anche l’inizio di una nuova fase della sua storia dopo le recenti cronache giudiziarie che hanno squarciato il velo su episodi di corruzione del tutto avulsi dallo spirito più nobile della musica e del teatro. Sembra tracciare una nuova direzione anche un certo rinato rapporto col pubblico, vistosamente moltiplicatosi nell’afflusso, frutto di una rinnovata politica degli abbonamenti fortemente voluta dal Soprintendente Massimo Biscardi e volta a promuovere l’idea di un Petruzzelli “teatro di tutti”.
Ore 20.25: mancano cinque minuti appena all’inizio e lo splendido foyer del teatro pullula di presenze ma, tranne poche eccezioni di eleganza autentica e disinvolta, domina un generale understatement, qua e là punteggiato da pochi appariscenti visoni, status symbol ormai obsoleto e per nulla ecosostenibile. Desta una certa sorpresa il clima un po’ sottotono considerato che le prime teatrali sono proverbialmente il regno di ogni generone che si rispetti. Santanché alla Scala docet, ma qui non sembrano esserci “pitonesse” in grado di destare altrettanti divertiti clamori. La curiosità degli affamati di gossip e il mondo spietato dei social network non avranno pane per i loro denti. Neppure l’ombra di politici di rilievo, evidentemente “all’opera” da qualche altra parte: come osserva qualche malalingua, “il Petruzzelli sembra essere di tutti tranne che il loro”. A ravvivare l’atmosfera ci sono però molti giovani, per nulla intimoriti dai quattro atti che li aspettano, e i colori e le luci che sgorgano dai dipinti della mostra “La poesia della tavola” che fino a quasi tutto febbraio espone nel foyer magnifiche opere di autori fra Otto e Novecento, da De Nittis a Casorati. Ma innanzitutto c’è Mozart, la cui musica immortale non ha bisogno di testimonial, avendo la forza necessaria, dopo 230 anni, per parlare ancora al cuore di quanti hanno la sensibilità e il gusto di andare ad ascoltarla.
E così torna sulla scena la natura umana, declinata attraverso il verbo dell’amore, della gelosia, delle ipocrisie, dell’astuzia, della magnanimità, del perdono. E la musica scorre in un vortice che non le fa perdere mai il suo prodigioso equilibrio con la parola e l’azione di cui la regia di Chiara Muti offre una lettura gradevole e garbata nel solco di una tradizione che la figlia del celebre direttore d’orchestra ha scelto di non tradire “perchè opere come questa non hanno bisogno di essere svecchiate da noi”. Ritroviamo dunque i personaggi della trilogia di Beaumarchais, le cui intricate vicende, prima e dopo l’esperienza mozartiana, furono portate ai vertici di un clamoroso successo europeo da Il Barbiere di Siviglia del tarantino Giovanni Paisiello e dall’omonima opera del pesarese Gioachino Rossini. Nel capitolo della storia scelto dal maestro salisburghese troviamo Figaro prossimo al matrimonio con l’amata Susanna, giovane cameriera della contessa d’Almaviva, il cui consorte fa di tutto per inficiare il lieto evento, deciso com’è ad imporre alla ragazza un anacronistico e vessatorio ius primae noctis. Ma ormai non è più tempo per queste angherie e le dinamiche sociali stanno per ribaltarsi in un’Europa prossima alla Rivoluzione Francese. A parte l’eloquente libretto di Da Ponte, nel primo atto della messa in scena barese, quel sarcastico sbatacchiare e ribaltare il “nobile” porta-parrucca da parte di Figaro messo al corrente delle intenzioni predatorie del Conte verso la sua Susanna, sembra alquanto allusivo al mutamento degli equilibri sociali e alle “teste” che di lì a poco la ghigliottina avrebbe fatto saltare. Ecco così dipanarsi la folle giornata come un intreccio serrato di passioni travolgenti, intriso di note comiche e drammatiche e animato da “servi” che si rivelano più acuti e saggi dei loro padroni. E mentre l’opera corre a gran ritmo verso il lieto fine, lungo quattro atti che non pesano affatto sullo spettatore, oltre al gioco delle classi sociali va in scena l’amore nelle sue molteplici sfumature dettate dai sentimenti e dalle diverse età dei protagonisti.
Se l’esecuzione barese dell’opera ha trovato nella rinnovata Orchestra del Teatro Petruzzelli e nel giovanissimo maestro americano Matthew Aucoin interpreti rispettosi della complessa pagina musicale e convincenti sul piano espressivo, destano d’altra parte perplessità alcune delle voci messe in campo. Il riferimento è al maestro di musica Basilio – ruolo ricoperto dal tenore Bruno Lazzaretti e reso con vocalità da attore che intona, piuttosto che da cantante lirico che recita – e alla governante Marcellina, affidata al soprano Laura Cherici, interprete dall’ottima padronanza scenica ma la cui voce, almeno in questa occasione, è apparsa fuori fuoco e non sempre in regola con l’intonazione. Hanno all’opposto convinto il Figaro del basso Alessandro Luongo, interprete ricco di temperamento scenico e sensibilità musicale; la dolce e al tempo stesso astuta e determinata Susanna del soprano Maria Mudryak; il compassato e fedifrago Conte di Almaviva del basso-baritono Edwin Crossley-Mercer; l’inquieta e solo apparentemente remissiva Contessa D’Almaviva affidata alla voce limpida e intensa del soprano Eleonora Buratto; il giovane e svolazzante “farfallone amoroso” Cherubino, giovincello innamorato dell’amore che, per quanto personaggio suscettibile di una maggiore caratterizzazione, è stato interpretato con una certa grazia dal mezzosoprano “en travesti” Paola Gardina; e infine il sornione Bartolo, medico viveur di Siviglia reso con voce piena e sonora dal basso Fabrizio Beggi. Buoni gli altri interpreti. Il Coro del TeatroPetruzzelli, fra i protagonisti del I° e III° Atto, ha impeccabilmente svolto il suo compito, come sempre sotto l’incisiva guida del M° Franco Sebastiani.
Va detto infine che da una coproduzione dei tre massimi teatri del Sud ci si sarebbe aspettato qualcosa di maggior impatto sotto il profilo delle scenografie, apparse alquanto sottotono, nonostante i dichiarati rimandi simbolici perseguiti dall’autore Ezio Antonelli (la corte del palazzo come luogo di pubblico dominio, le scale allusione ai mutamenti sociali in atto, la pedana rotante centrale espressione di instabilità, la presenza della natura, ora discreta ora dominante, attraverso i lunghi rami di salice piangente, a rappresentare l’istinto e la ricerca di libertà): felice eccezione, la presenza di un cielo di forte suggestione pittorica settecentesca, illuminato, come tutto il resto, da Vincent Longuemare. Senza dubbio più evocativi i costumi di Alessandro Lai creati sul filo rassicurante della tradizione.
Foltissimo il pubblico presente e diversi gli applausi a scena aperta, tributati ad alcuni degli interpreti sulle arie più celebri, e applausi ben distribuiti secondo i meriti di ciascuno allo spegnersi delle ultime note. Repliche il 29, 31 gennaio e 2 febbraio (ore 20.30, tranne domenica 31, ore 18.00).
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