Sede di un tempio, di un teatro e di un paesaggio unici al mondo, Segesta continua a svelare i suoi segreti
di Redazione FdS
«Il tempio di Segesta è pura musica nello spazio. Musica, architettura e poesia in un contesto unitario e armonioso, è questo ciò che io intendo per arte».
Eduardo Chillida, scultore spagnolo, XXI sec.
IMPONENTE E SOLITARIO IL SUO TEMPIO HA AFFASCINATO VISITATORI D’OGNI EPOCA
E’ uno dei luoghi più magici della Sicilia, una di quelle rare realtà in cui l’armonia fra natura e intervento umano raggiunge un equilibrio perfetto, dimostrando come un’architettura che segua determinati canoni di forme e proporzioni possa finire con l’acquisire la stessa naturalezza di un albero o di una roccia. Parliamo dell’imponente e solitario Tempio greco di Segesta incastonato fra i colli che costellano il territorio di Calatafimi, in provincia di Trapani, e che gli fanno da scenografico fondale mozzafiato.
Il Tempio è inserito in un’area archeologica che comprende anche un teatro e il santuario di contrada Mango. Delle altre componenti della città che qui sorgeva si conoscono le mura con l’articolata Porta di Valle, alcuni quartieri residenziali, una necropoli ellenistica e alcuni monumenti pertinenti la Segesta medievale (mura, castello, moschea e borgo sommitale).
L’ULTIMA SCOPERTA
Sul tempio di Segesta, grazie alla pubblicazione “Iscriptiones Segestanae” scritta da Carmine Ampolo e Donatella Erdas ed edita dalla Scuola Normale di Pisa, è di recente emersa una scoperta in realtà già nota agli archeologi ma solo ora approdata al grande pubblico. Si tratta dell’identificazione della divinità a cui l’edificio sacro era dedicato: Afrodite Urania (οὐρανία), la dea dell’amore celeste, puro e ideale, attributo a cui nella mitologia greca si accompagnava l’altro, più terreno, di divinità della fecondazione e della procreazione. Duplice natura a cui corrispondere il doppio mito della sua genealogia: come dea celeste, essa è una delle divinità olimpiche, figlia di Zeus e di Dione; come dea della fecondazione e della vita sessuale, essa è nata dalla schiuma del mare di Citera fecondata dai genitali di Urano, che Crono aveva tagliato e gettato giù dal cielo.
Una delle peculiarità dell’Afrodite Urania era quella di essere venerata sulle alture (da cui l’epiteto di Ακραία), proprio come quella su cui sorge il tempio di Segesta. A questa divinità ci riporta un’iscrizione conservata nella Biblioteca Comunale di Calatafimi (comune in cui rientra l’area archeologica di Segesta), una base in calcarenite, lunga 75 centimetri e alta 21, che reca incisa una iscrizione in greco conservatasi per intero e databile al II secolo avanti Cristo: “Diodoro, figlio di Tittelo, Appeiraios (ha dedicato la statua di) sua sorella Minyra, (moglie) di Artemon, che è stata sacerdotessa, ad Afrodite Urania”.
L’iscrizione fu ritrovata nei pressi del tempio di Segesta e indica appunto la divinità venerata. Nota fin dal Seicento l’epigrafe, dopo vari spostamenti, finì murata nella casa del canonico Francesco Avila, come segnalato dallo storico Antonino Marrone nel 1827. “Si tratta di una epigrafe perfettamente compatibile con un contesto di un santuario, di carattere onorario in forma di dedica alla divinità – fanno sapere dal Parco archeologico di Segesta diretto dall’archeologa Rossella Giglio – , utilizzata come base di statua di sacerdotessa eretta da parenti o amici: d’altronde i nomi di Diodoro e Tittelo sono attestati comunemente a Segesta. La nostra Minyra era quindi sacerdotessa di Afrodite Urania a Segesta.”
Tra le novità che hanno riguardato questo sito archeologico noto in tutto il mondo vi è anche la notizia secondo cui in occasione dello scavo a Segesta della necropoli ellenistica “extra moenia”, la prima area cimiteriale di grande estensione documentata, “è stata rimessa in luce la fortificazione di età tardo-arcaica in due tratti distinti per circa 130 metri, che delimitava la necropoli e continuava lungo la collina del tempio. La struttura muraria era stata già rasata in antico verosimilmente perché si trova al centro di un impluvio, e ricostruita piú a Est (mura di Porta di Valle). Storicamente la distruzione del muro di cinta arcaico potrebbe essere ricondotta al sacco di Segesta da parte di Agatocle nel 307 avanti Cristo, come emblematicamente attesta una moneta del tiranno rinvenuta in uno strato addossato alla parete esterna”.
CARATTERISTICHE E DIBATTITO SULLE ORIGINI DEL TEMPIO
Il tempio, a volte denominato “tempio Grande”, è stato costruito durante l’ultimo trentennio del V secolo a.C. sulla cima di una collina a ovest della città, fuori dalle sue mura. Si tratta di un grande tempio periptero esastilo (ossia con sei colonne sul lato più corto, non scanalate). Sul lato lungo presenta invece quattordici colonne (in totale 36 quindi). L’attuale stato di conservazione presenta l’intero colonnato della peristasi completo di tutta la trabeazione.
Nonostante gli elementi costruttivi e le proporzioni della costruzione si riferiscano con chiarezza al periodo classico dell’architettura greca, il tempio presenta aspetti peculiari sui quali la storiografia non esprime pareri unanimi: il primo elemento di dibattito è costituito proprio dalla sua natura di espressione artistica pienamente ellenica, aggiornata alle maggiori espressioni dell’arte della madrepatria, ed in particolare dell’Attica, ma realizzata in una città degli Elimi, una popolazione di origine incerta, ma stanziata in Sicilia molto prima dell’arrivo dei coloni greci nella vicina Selinunte, con la quale Segesta fu perennemente in conflitto. Gli storici ipotizzano che grazie agli scambi commerciali, la città elima abbia raggiunto nel corso del V secolo a.C. un alto grado di ellenizzazione, tale da poter consapevolmente importare un sofisticato modello artistico come il tempio dorico periptero che grazie alla canonizzazione di dimensioni e proporzioni si prestava ad una larga diffusione. Inoltre è probabile che il progettista e le maestranze impiegate fossero greche, provenienti da una delle vicine città.
Il secondo aspetto che ha sempre colpito molto gli storici è l’assenza di vestigia della cella all’interno del colonnato, che invece è uno dei meglio conservati del mondo greco. Questo ha fatto pensare ad un tempio ipetro o meglio ad un luogo sacro privo di copertura e di cella e legato a riti indigeni. In alternativa si è pensato ad una cella interamente a struttura lignea, come tutta la copertura, e quindi andata persa.
Negli anni ’80 sono state trovate tracce della fondazione della cella, interrate all’interno del tempio, insieme a tracce di costruzioni precedenti (il che farebbe pensare che il tempio fosse stato costruito su un luogo sacro ancora più antico). Pertanto l’ipotesi prevalente è che il tempio non sia mai stato terminato, a causa probabilmente di avvenimenti bellici che coinvolsero a lungo la città e che la cella e la copertura non siano mai state realizzate. Tale ipotesi è avvalorata anche dalla mancanza di scanalature delle colonne e dalla presenza, soprattutto sui blocchi del crepidoma, di “bugne” cioè di protuberanze destinate e proteggere il blocco durante la messa in opera che sarebbero state scalpellate via in fase di rifinitura.
Il tempio quindi avrebbe dovuto avere un’ampia cella preceduta da un pronaos distilo in antis ed un simmetrico opistodomo sul retro. Il colonnato, con interassi uguali su tutti i lati, presenta la canonica doppia contrazione degli intercolumni terminali per risolvere il conflitto angolare oltre ad altri tipici accorgimenti ottici come la curvatura delle linee orizzontali e alla concezione decorativa del fregio che perde, almeno in parte la sua dipendenza dal colonnato. Tali caratteristiche mostrano una derivazione dai modelli evolutivi attici della fine del V secolo a.C. ed in particolare dal tempio degli Ateniesi a Delos, ai quali rimandano anche gli elementi decorativi.
Gli unici aspetti riferibili ancora allo stile severo sono le proporzioni allungate con 6×14 colonne in luogo delle canoniche 6×13 (doppio quadrato), e le grandi dimensioni in un’epoca in cui i templi divenivano più piccoli.
IL TEATRO
Il teatro di Segesta fu costruito intorno al IV-II sec.a.C. in un punto scelto per le intrinseche qualità panoramiche dell’area del monte Barbaro. Nel sito del teatro si trovava anche una grotta con materiale dell’età del bronzo, successivamente inglobata nella costruzione. E’ interessante notare come lo stesso fenomeno sia avvenuto in occasione della costruzione del teatro di Siracusa. Data la canonicità del progetto appare ovvio che le maestranze e gli ideatori del teatro di Segesta fossero di ambiente ellenico.
Si tratta di uno dei più riusciti esempi di architettura teatrale collocabile nel passaggio dal tipo greco a quello romano. La cavea era in parte scavata nella roccia, in parte costruita con un poderoso muro di contenimento. E’ logico supporre che, malgrado il teatro si trovasse in una città non greca, esso doveva avere quelle funzioni e quel ruolo nella città quasi identico a quello che un analogo monumento aveva nelle città greche. Sempre visibile nel paesaggio, fu parzialmente scavato agli inizi del XX secolo e recentemente restaurato. E’ oggi parte della zona archeologica visitabile di Segesta e viene periodicamente utilizzato per rappresentazioni teatrali.
SEGESTA META DEL GRAND TOUR
Nel XVIII secolo il tempio fu oggetto di un primo restauro da parte dell’architetto Chenchi e cominciò lentamente ad essere conosciuto fuori dalla Sicilia grazie ai disegni e agli acquerelli di artisti e viaggiatori di passaggio, fino a diventare col tempo una vera e propria meta del Grand Tour italiano. Fu visitato da Goethe e divenne una della cause della riscoperta dell’architettura greca e del dorico che fu alle radici del neoclassicismo. In verità il XVIII sec. fu ancora abbastanza parco di viaggiatori, i quali tendevano per lo più ad evitare Calabria, Puglia e Sicilia, mete faticose da raggiungere per via delle strade disagevoli e inoltre abitate da popolazioni tendenzialmente sospettose. Soltanto Paestum a quel tempo era considerata una meta obbligatoria, nota com’era grazie alle incisioni del Piranesei, alle tele dello Joli, agli acquerelli di Giovanni Battista Lusieri.
Per le rovine più a Sud le testimonianze visive rimanevano abbastanza rare: fino a tutto il XVIII sec. circolavano soprattutto i disegni seicenteschi di Schellinks sulla Calabria, le illustrazioni per il ‘Voyage Pittoresque’ dell’Abbé de Saint-Non e le vedute pugliesi, molisane e abruzzesi di Ducros. L’unica rassegna visiva sistematica sull’estremo Sud fu la serie dei Porti del Regno e dei Siti Reali dipinta da Jakob Philipp Hackert, al servizio dei Borboni di Napoli. Fra i più grandi vedutisti allora in circolazione, nel 1777 Hackert accompagnò l’antiquario e collezionista Richard Payne Knight e il disegnatore dilettante Charles Gore in un viaggio attraverso la Sicilia.
Trentanove disegni di Gore e Hackert sono conservati al British Museum, e fra essi c’è un acquerello di Hackert che mostra il Tempio di Segesta poco prima dei restauri eseguiti fra il 1779 e il 1781 sotto Ferdinando I di Borbone. Fino a quel momento il tempio era rimasto quasi sconosciuto, sebbene la sua localizzazione fosse già avvenuta nel XVI sec. da parte del domenicano Tommaso Fazello che perlustrava il territorio a dorso di mulo munito dei libri di Tucidide, Polibio, Strabone e di altri classici, ‘guida’ che a quanto pare gli permise di identificare circa l’80 per cento delle città siciliane antiche. Prima del già citato Goethe, a visitare Segesta era stato anche il celebre viaggiatore e artista francese Jean-Pierre Houel che in un punto di uno dei suoi quattro volumi sul viaggio in Sicilia scrive: “Via via che mi avvicinavo, cresceva il fascino che aveva su di me l’aspetto imponente dell’edificio. Isolato sulla collina, circondato da una campagna deserta, la nobile semplicità dell’architettura viene maggiormente valorizzata.”
Nell’Ottocento però le cose cambiarono, gli artisti in pellegrinaggio a Segesta si moltiplicarono, come testimoniano ad es. i lavori di Thomas Cole e di numerosi altri. Fra i visitatori celebri più recenti si può invece citare l’architetto tedesco Walter Gropius, fondatore del movimento Bauhaus, che nel 1967, visitata Segesta, scrisse: “I greci avevano veramente capito le leggi dell’armonia. Questo tempo felice dell’architettura greca, da Paestum fino alla Sicilia, è uno dei più alti, forse il più alto tempo dell’architettura; e posso ben dirlo io dall’alto dei miei 84 anni di età”.
Bibliografia e sitografia:
Antonio Marrone, Cenni sulle antichità di Segesta in Sicilia, 1827
Francesca Bonazzoli, Da Goethe a Gropius l’attrazione fatale per il tempio di Segesta, in Corriere della Sera, 11 maggio 2012
www.regione.sicilia.it
INFO: Area Archeologica Segesta IL LUOGO
Case Barbaro – contrada Barbaro – S.P. 68
Località : Segesta – Comune di Calatafimi – Provincia di Trapani –
Telefono: 0924 952356
Orari ingresso: Apertura ore 9. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.
Dall’8 al 27 ottobre chiusura ore 18.
Dal 28 ottobre al 28 febbraio 2013 chiusura ore 17.
Dall’1 al 30 marzo chiusura ore 18 e dal 31 marzo al 26 ottobre chiusura alle 19
Biglietto singolo intero : 6,00 €
Biglietto singolo ridotto: 3,00 €
Gratuito: ogni prima domenica di ogni mese;
cittadini UE di età inferiore ai 18 anni;
portatori di handicap e accompagnatore;
studenti universitari di facoltà attinenti ai Beni Culturali
Bus-navetta dalla biglietteria all’agorà: € 1,50
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