di Redazione FdS
Pompei, dopo circa tre secoli dai primi ritrovamenti, continua a rivelarsi un’inesauribile miniera delle tracce di una vita, fatta di splendori e di semplicità, che improvvisamente si spense in un giorno di straordinaria “follia” della natura. Le ultime recenti scoperte cominciate col ritrovamento di un intero cavallo durante gli scavi condotti a Pompei sotto la guida del direttore generale del Parco Archeologico, Massimo Osanna, nell’area di Civita Giuliana, ovvero nella zona Nord, poco fuori le mura del sito archeologico di Pompei, dove sono stati intercettati cunicoli clandestini utilizzati da tombaroli per trafugare reperti antichi. Gli interventi sono stati possibili grazie alla collaborazione fra il Parco Archeologico di Pompei, la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e gli investigatori del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Napoli, che stavano già indagando sulle attività criminali.
Il rinvenimento del cavallo ha consentito di riproporre con successo la tecnica dei calchi, ideata a Pompei dall’archeologo Giuseppe Fiorelli nella seconda metà dell’800. Nei pressi dell’animale – le cui dimensioni rivelano la presenza a Pompei di esemplari altamente selezionati – sono riemersi anche i resti di un nobile patrizio dell’antica città vesuviana sepolto in una tomba a cassa di età imperiale, risalente a un periodo compreso tra l’eruzione del 79 e il III secolo. Dall’analisi dei resti è risultato alto sui 175 cm e di età probabilmente compresa tra 40 e 55 anni. Nella tomba non c’era alcun corredo ma solo un chiodo, “simbolo – ha spiegato Osanna – della permanenza del defunto nell’aldilà e dell’impossibilità di tornare nel mondo dei vivi”. Portata alla luce anche una serie di ambienti di servizio di una grande villa suburbana preservatasi in maniera eccezionale, che ha restituito oggetti di uso quotidiano come anfore, utensili da cucina e anche parte di un letto in legno del quale è stato realizzato il calco.
Dopo pochi giorni dal primo ritrovamento, in uno dei cunicoli realizzati dai clandestini, è emerso anche un secondo cavallo del quale, a causa del collasso della galleria abusiva, è stato finora possibile recuperare solo le zampe. Lo scavo delle stalle nella villa identificata a Civita Giuliana ha infine restituito i resti di un terzo cavallo, dello stesso tipo di quello di cui è stato realizzato il calco. Dalle indagini è emerso che si trattava di cavalli da corsa e parata, con indosso ancora i finimenti in ferro e bronzo e parte delle briglie: “E’ probabile – ha spiegato Osanna – che fossero stati preparati e poi montati per darsi alla fuga. Non è quindi da escludere che proseguendo lo scavo, all’esterno della stalla possano riemergere i resti di un carro e i resti ossei degli uomini che si apprestavano a fuggire dalla furia dell’eruzione del 79 dopo Cristo”.
Dopo questo primo intervento costato 250 mila euro, prosegue l’esplorazione del sito, anche in vista di una possibile fruizione futura. Fra i nuovi ritrovamenti anche un pezzo di campagna coltivata nel 79 d. C., con le tracce ben visibili dei solchi tracciati dagli antichi contadini; campioni di terreno prelevati dagli studiosi consentiranno – attraverso analisi di paleobotanica – di risalire alle colture tipiche dell’area pompeiana. L’area dei rinvenimenti ricade nei terreni privati di un’azienda vitivinicola i cui proprietari si sono subito resi disponibili a consentire l’accesso degli archeologi. Prossimi passi saranno l’esproprio dell’area archeologica e lo stanziamento nel bilancio 2019 dei fondi per il recupero dell’intera villa e per ulteriori indagini nella zona circostante interessata dai cunicoli clandestini. Fra le prospettive anche quella del recupero di un antico casolare agricolo dei proprietari “un bell’esempio di architettura rurale vesuviana – ha detto Osanna – che, una volta scavata e sistemata la villa, potrebbe fungere da centro accoglienza per i visitatori, oltre che da polo didattico per raccontare Pompei dopo l’eruzione e la microecologia del Vesuvio di cui si trovano tracce ancora oggi”.
TORNATI ALLA LUCE I BALCONI INTATTI DI UN VICOLO
Dopo i ritrovamenti nella villa suburbana di Civita Giuliana, una nuova sorprendente scoperta ha riacceso i riflettori su Pompei. A venire alla luce questa volta è un intero vicolo punteggiato da balconi aggettanti quattro dei quali hanno incredibilmente resistito alla furia dell’eruzione, con i parapetti, i resti delle coperture in tegole, persino le anfore svuotate dal vino che qualcuno aveva messo in un angolo ad asciugare al sole. E poi, fra i resti degli edifici adiacenti, pezzi di affreschi dipinti in rosso pompeiano nella sua tonalità originaria, così intenso da richiamare il vino tanto amato dai romani. E poi ancora gli ocra pastosi e rilucenti, le decorazioni geometriche, gli animali, i fiori, gli amorini.
Sono questi gli esiti degli scavi avviati, grazie al Grande Progetto Pompei, in una zona mai scavata prima che sta restituendo giorno dopo giorno i veri colori delle case e tanti altri particolari importanti per la storia della città. Il ritrovamento dei balconi – ha spiegato il Soprintendente Osanna – ha dell’eccezionale perché a Pompei ne sono rimasti pochi e in generale è una rarità la conservazione del piano superiore. I balconi – ha quindi anticipato – verranno restaurati e inseriti in un percorso tutto nuovo che collegherà la via di Nola con il vicolo delle Nozze d’Argento, il cui nome rimanda all’omonima monumentale dimora privata, una delle più sontuose di Pompei, che finalmente dopo una chiusura lunga decenni sarà restaurata e riaperta al pubblico.
RIAPRE LA DOMUS DELLE NOZZE D’ARGENTO
Presto i visitatori potranno tornare a visitare il grande atrio con le colonne corinzie alte sette metri e la vasca in tufo, la sala del triclinio con affreschi che illustrano storie di amorini e pigmei, o il lussuoso peristilio sulle cui trabeazioni si rincorrono cervi, leoni e facoceri, al piccolo impianto termale privato con mosaici che riprendono il disegno di un acquedotto romano. L’ultimo proprietario della ricca dimora fu Lucius Albucius Celsus, un edile proveniente da una famiglia molto benestante, il cui lusso si rivela persino nella latrina, piccola e adiacente alla cucina, ma con le pareti interamente dipinte a raffinate decorazioni rosse su fondo color crema.
IL NUOVO SCAVO NELLA REGIO V
Intanto su un’area di 1400 metri quadrati, in quello che gli archeologi chiamano ‘il cuneo’, un grande triangolo inesplorato nella Regio V, prosegue il nuovo scavo che punta alla messa in sicurezza di 2,6 chilometri di muri e impegnerà gli esperti ancora per mesi, durante i quali potrebbero riemergere inaspettati tesori e magari anche resti di nuove vittime della grande eruzione del 79 d.C. Allo scavo sono impegnate circa 40 persone, fra archeologi, architetti e archeobotanici, operanti con tecnologie d’avanguardia come droni, laser scanner e microtelecamere in grado di sondare il terreno. Lo scavo è una preziosa occasione per raccogliere informazioni intorno ai primi scavi della città effettuati a partire dalla metà del Settecento: “Abbiamo potuto ricostruire la loro tecnica di cantiere – ha detto Osanna – il modo in cui arrivavano alle scoperte e si muovevano sotto terra, scavando una buca profonda dalla quale facevano partire lunghi cunicoli. Molte cose, anche gli affreschi, le portavano via per esporle altrove, tante altre, per noi oggi altrettanto preziose, le lasciavano”, come accaduto per un bacile di bronzo, abbandonato forse perché privo di una delle due maniglie, ma anche per tanti dipinti murali come quello che ritrae una splendida pantera fulva su fondo chiaro, ritrovato diviso in tre frammenti”.
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