di Redazione FdS
Oggi vi parliamo di uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi di Napoli: il seicentesco Palazzo Donn’Anna. Ne ripercorriamo brevemente la storia per tentare di cogliere qualcuno dei segreti di questo bizzarro edificio proteso sul mar Tirreno lungo il litorale di Posillipo. Chiederemo a quelle pietre, apparentemente mute, di raccontarci qualcosa di sè.
La prima cosa certa è che questo edificio ha sempre suscitato la curiosità dei viaggiatori del Grand Tour in visita a Napoli (nell’immagine sopra un’incisione tratta da Voyage pittoresque dell’Abbate di Saint-Non, XVIII sec.) che nel descriverlo usavano sovente l’aggettivo “curioso”. In tempi più recenti, lo storico dell’arte Anthony Blunt ha fatto rilevare come questo “sbalorditivo edificio non sembra trovare paralleli nell’architettura italiana del periodo”, sottolineando l’idea che il suo progettista lo abbia concepito in modo del tutto originale.
A dire il vero c’è un dipinto del celebre paesaggista francese Claude Lorrain – “Porto immaginario con Villa Medici” (1637, nella foto precedente), oggi custodito alla Galleria degli Uffizi di Firenze – nel quale appare un edificio il cui aspetto e la cui posizione ricordano alquanto quelli del napoletano Palazzo Donn’Anna. Ma non si può essere certi che l’architetto Cosimo Fanzago, autore del progetto, abbia visto questo dipinto e che ad esso si sia ispirato. C’è poi chi ritiene probabile che il modello ideale sia stato rappresentato dai palazzi veneziani; del resto i locali inferiori sono quasi a contatto con l’acqua marina, come nei palazzi del Canal Grande, senza dimenticare che le barche da parata delle famiglie patrizie napoletane si chiamavano “gondole”. Ma è difficile dire da quale parte stia la verità.
Le origini di questo che sicuramente è uno dei palazzi più celebri di Napoli risalgono alla fine degli anni trenta del 1600, quando venne innalzato per la volontà di donna Anna Carafa (nell’illustrazione), consorte del viceré Ramiro Núñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres. Il progetto per la realizzazione fu commissionato al più importante architetto della città di quel periodo, il citato Cosimo Fanzago, che nel 1642 approntò un disegno secondo i canoni del barocco napoletano che prevedesse tra le altre cose anche la realizzazione di un doppio punto d’ingresso, uno sul mare ed uno da una via carrozzabile che si estendeva lungo la costa di Posillipo (che conduce al cortile interno dell’edificio). Per la costruzione del palazzo fu necessario demolire una preesistente abitazione cinquecentesca (Villa Bonifacio). Il Fanzago, però, non riuscì a completare l’opera per via della prematura morte di donn’Anna, avvenuta in un contesto di insurrezione popolare a causa della temporanea caduta del viceregno spagnolo, con la conseguente fuga del marito della donna verso Madrid (1648).
L’edificio rimasto incompiuto assunse lo spettacolare fascino di una rovina antica confusa fra i resti delle ville romane che caratterizzano il litorale di Posillipo e fra gli anfratti delle grotte. Nell’interno, di notevole interesse è il teatro, aperto verso il mare e dal quale si gode un bel panorama della città partenopea.
Il palazzo subì alcuni danni durante la rivolta di Masaniello del 1647 e durante il terremoto del 1688. Nel corso del XIX secolo sono stati numerosi i passaggi di proprietà che hanno visto i legittimi proprietari provare di volta in volta a modificare la destinazione d’uso della struttura, facendola diventare prima una fabbrica di cristalli (1824) e poi un albergo (con l’acquisto dei Geisser nel 1870 circa). Negli anni successivi si sono succeduti ancora altri proprietari, come la banca d’Italia nel 1894 ed i Genovois due anni più tardi.
L’edificio non è oggi visitabile e non costituisce alcun polo museale, in quanto interamente utilizzato come abitazione privata (diviso fra vari condomini). Il punto d’accesso a terzi, più vicino al palazzo, è rappresentato dall’adiacente spiaggia privata.
La parte più misteriosa dell’edificio è costituita dalle cosiddette “grotte”, le due gallerie incrociate scavate nel basamento, che ricordano il cardine e il decumano di un castrum romano, ossia un accampamento militare. Del resto c’è chi ritiene che il palazzo sorga sulle rovine di qualche preesistente struttura romana. Inoltre, circa i rapporti fra la struttura e il mare, c’è uno strano brano scritto dal canonico Carlo Celano, erudito del ‘600, il quale sostiene che “il cortile che oggi si vede abbasso, avea da essere tutto d’acqua, acciocché dalla scala si fosse potuto al coverto passare in barca”. A rigor di logica, per essere “tutto d’acqua”, il cortile avrebbe dovuto trovarsi al livello delle citate “grotte”, punto di accesso al mare. Ma oggi queste non sono ‘navigabili’ e, stando alla geologia e agli spostamenti del livello marino, non dovrebbero esserlo state neppure quattro secoli fa. Mistero. Chissà se il Fanzago non contasse di effettuare scavi per aprire un passaggio verso il mare attraverso le “grotte”. Difficile dirlo. Addirittura in un’incisione di Federico Pesche, del 1685, il palazzo appare circondato da una spiaggia, ma può darsi che si tratti di una fantasiosa licenza dell’artista.
IL MISTERO DELLA STRADA DI ACCESSO DA TERRA
Le fonti parlano di una strada fatta costruire dal duca di Medina destinata a consentire l’accesso al palazzo da terra, con possibilità addirittura di penetrarvi in carrozza. Il già citato Celano scrive che “la carrozza poteva fermarsi avanti della porta del salone, ed entrarvi dentro, se voleva”. Un altro autore, il Parrino, aggiunge che “la spesa fu immensa, non solo per la magnificenza dell’edificio, ma anche per la strada che vi si fece, comoda per le carrozze”. Ma dov’è finita quella strada? La studiosa Gaetana Cantone, ritiene che nella citata incisione del Pesche si noterebbe la via in corso costruzione e delimitata da palizzate, e il suo tragitto corrisponderebbe alla parte iniziale dell’attuale via Posillipo. Nella stessa stampa si vedrebbe anche la torre di sostegno del viadotto, anch’esso in corso di costruzione, con funzione di collegamento fra la via e l’ingresso da terra collocato al centro del secondo piano della facciata nord-est dell’edificio.
IL MISTERO DELLE STATUE SCOMPARSE
Un altro dei misteri di Palazzo Donn’Anna riguarda invece alcune statue antiche di marmo – pare molto belle – che nel progetto del Fanzago avrebbero dovuto adornare le nicchie dell’edificio. E’ probabile che fossero reperti di scavo provenienti dalla vicina Villa di Pausilypon appartenuta al romano Vedio Pollione. Se dobbiamo prestar fede al Celano, pare che il duca di Medina prima di andarsene nel 1644, le abbia fatte murare “dentro una stanza”, allo scopo di occultarle. Qualcun altro sostiene invece che siano andate distrutte durante la rivolta di Masaniello nel 1647, allorchè il palazzo fu preso d’assalto, ma l’ipotesi appare poco credibile dal momento che quelle statue, dato il valore, sarebbero state molto più utili al popolino come oggetto da vendere; e poi è difficile pensare che al Celano, contemporaneo dei fatti, potesse sfuggire questa ipotizzata azione vandalica. Quindi è probabile che quelle antiche e belle statue giacciano ancora sepolte in qualche sotterraneo in attesa di scoperta.
LE LEGGENDE SUL PALAZZO
Il palazzo è protagonista di una delle più celebri leggende napoletane scritte da Matilde Serao. Nel suo libro ‘Leggende napoletane’, in un racconto che prossimamente vi proporremo integralmente, la scrittrice così lo dipingeva con frasi suggestive: «Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie, poiché l’onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia, entra scherzando e ridendo il flutto azzurro, incrosta sulla pietra le sue conchiglie, mette l’arena nei cortili, lasciandovi la verde e lucida piantagione delle alghe. Di notte il palazzo diventa nero, intensamente nero; si serena il cielo sul suo capo, rifulgono le alte e bellissime stelle, fosforeggia il mare di Posillipo, dalle ville perdute nei boschetti escono canti malinconici d’amore e le malinconiche note del mandolino: il palazzo rimane cupo e sotto le sue volte fragoreggia l’onda marina… »
Nelle credenze popolari Donn’Anna viene confusa con la famosa e discussa regina Giovanna d’Angiò (nell’equivoco cadde anche l’Abbate di Saint-Non, come si può vedere nella didascalia della sua incisione raffigurante il Palazzo – v. foto sopra) che qui avrebbe incontrato i suoi giovani amanti, scelti fra prestanti pescatori e con i quali trascorreva appassionate notti di amore, per poi ammazzarli all’alba facendoli precipitare dal palazzo; la leggenda vuole che le anime di questi sventurati giovanotti tuttora si aggirino nei sotterranei dell’antica dimora, affacciandosi al mare ed emettendo lamenti. Altri invece raccontano che la regina facesse uscire il suo amante con una barca a remi dall’entrata che dà sul mare, quella che oggi è possibile vedere dalla spiaggia, tuttora usata dagli inquilini per accedere alle imbarcazioni.
Un’altra leggenda cittadina, riportata dalla stessa Serao, narra di un fantasma della giovane e bellissima Mercedes de las Torres che in una scena teatrale baciò il nobile Gaetano di Casapenna, amante della viceregina Anna Carafa. La giovane, nipote della nobildonna Carafa, apparve e scomparve misteriosamente. Così conclude la Serao in merito alla leggenda di “Palazzo Donn’Anna”: «Quei fantasmi sono quelli degli amanti? O divini, divini fantasmi! Perché non possiamo anche noi, come voi, spasimare d’amore anche dopo la morte?»
IL PALAZZO NELLA LETTERATURA
A parte le citazioni dagli scritti di Matilde Serao, ci piace ricordare come il Palazzo Donn’Anna sia protagonista di “Ferito a morte”, lo splendido romanzo-capolavoro di Raffaele La Capria, che così ebbe a dichiarare a proposito dell’edificio: “Lo conosco fin nelle viscere, in ogni più recondito meandro, anche se ancora oggi in qualche aspetto mi resta misterioso….e io credo che custodisca ancora dei segreti”. Nel romanzo, ambientato negli anni ’50, il protagonista Massimo De Luca abita nel palazzo dove abitava lo stesso scrittore. Lì, il giovane coltiva il suo culto per la “bella giornata”. E’ rimasto celebre l’incipit con Massimo che osserva nel mare le spigola che “passa lenta e scompare”.
Riferimenti bibliografici:
–Sergio Attanasio, “I Palazzi di Napoli, Architettura ed interni dal Rinascimento al Neoclassico”, ESI, Napoli 1999.
-Aurelio De Rose, I Palazzi di Napoli. Storia, curiosità e aneddoti che si tramadano da secoli su questi straordinari testimoni della vita partenopea, Newton e Compton editori, Napoli 2004.