di Redazione FdS
Le plurisecolari stratificazioni edilizie e culturali del nostro Paese ci hanno abituati da sempre – soprattutto in antichi edifici pubblici o di culto – all’affiorare di affreschi medievali o rinascimentali a seguito dell’asportazione di intonaci di epoche più recenti. Ma che improvvisamente da un malandato appartamento di un altrettanto cadente edificio, sito in uno dei quartieri più poveri di Palermo, potesse emergere la sala di una moschea dal brillante colore blu-tuareg, ebbene questo nessuno se lo sarebbe aspettato. E invece è proprio ciò che è accaduto ad una giovane coppia che nei giorni scorsi stava ristrutturando un appartamento in via Porta di Castro, a poca distanza da Palazzo dei Normanni. Davanti agli occhi increduli dei neo-proprietari e degli operai intenti a rimuovere diversi strati di vernici e calce è comparsa la sala di una moschea blu – di tre metri e mezzo per lato e un balcone rivolto in direzione della Mecca – con preziosi disegni, versetti e altre iscrizioni arabe, tutti in raffinatissimi caratteri dorati e argentati. Ironia della sorte, in un’epoca di rinfocolati conflitti etnico-religiosi e di razzismi, ecco essere rievocato dalle nebbie dei secoli uno dei segmenti più affascinanti della storia siciliana, quella della dominazione araba protrattasi dall’827 al 1091 d.C. che tante tracce avrebbe lasciato nella cultura, nella lingua e nei costumi dell’isola, a quel tempo un luogo più multietnico e multiculturale dell’Italia di oggi, con l’arabo rimasto per almeno un secolo lingua del governo e dell’amministrazione, anche dopo l’avvento dello Stato normanno. La moschea ritrovata sarebbe tuttavia di epoca molto più tarda, come sembrerebbe suggerire l’età dell’edificio che la ospita, il quale risale alla fine del 1700 ed è forse appartenuto – come teorizza lo storico Gaetano Basile – ad un notabile o mercante maghrebino. “A quel tempo – ha precisato lo studioso – nel capoluogo siciliano viveva una vasta comunità musulmana”.
I fortunati rinvenitori di questa preziosa testimonianza storica, forse annessa alla dimora di un facoltoso commerciante arabo vissuto a Palermo, sono Giuseppe Cadili, insegnante e giornalista, autore del volume su Giovanni Falcone ispiratore del film presentato lo scorso anno a Venezia, e Valeria Giarrusso, anche lei giornalista. Presi da comprensibile entusiasmo hanno immediatamente interpellato vari studiosi per avere conferme sull’effettiva importanza del ritrovamento e le felicitazioni non si sono fatte attendere da parte di studiosi come il citato Gaetano Basile, cultore di storia e costumi locali, e il critico d’arte Vittorio Sgarbi che – ha dichiarato al Corriere della Sera – intravede in quella stanza-moschea «il simbolo perfetto dell’eterna presenza araba in Sicilia, così come della vocazione interculturale che di quella presenza è frutto».
La notizia del ritrovamento ha presto fatto il giro anche degli ambienti musulmani al punto che il presidente della Lega islamica in Italia Sekander Fareed Al Khotani, ospite a Palermo per uno scambio culturale e commerciale fra Sicilia e mondo arabo, ha chiesto di poter visitare la moschea, della quale lo ha colpito soprattutto la ricchezza delle decorazioni. Al Khotani ha ammesso di riuscire a decifrare solo qualche lettera rilevando trattarsi di uno stile antico che merita di essere confrontato con le grafie e i caratteri succedutesi nei secoli di cui si custodiscono esempi presso la Mecca. Intanto i proprietari della ritrovata moschea – rinunciando al progetto di farne la stanza del loro bambino – si sono ripromessi di custodire questo ambiente della casa come uno luogo di meditazione dal quale “per rispetto della cultura e della religione islamica” saranno banditi momenti di vita familiare e sociale incompatibili con uno spazio sacro.
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