di Carlo Picca
“Da Bari a Alberobello, tra le Murge e l’Adriatico la terra è arancione. Un leggero tappeto arancione, arabescato da muretti dello stesso colore e da radi boschi di ulivi d’un verde carico, vicino al celeste, tra cui, ogni tanto, compare un gregge di pecore color malva, con le zampe nere, eleganti e lievi come ballerine”. Questo passo è tratto dall’articolo di Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta e regista, intitolato I nitidi trulli di Alberobello che fu pubblicato su Il Quotidiano nel marzo del 1951 con lo pseudonimo di Paolo Amari e successivamente ripubblicato postumo su Nuovi Argomenti per il trentennale della morte dello scrittore. Numero speciale, che conteneva questo omaggio alla regione già set del suo «Vangelo» tra pezzo giornalistico e scritto appassionato. De I nitidi trulli di Alberobello si erano perse le tracce. Fu ripubblicato infatti dopo essere stato ritrovato dalla cugina del poeta Graziella Chiarcossi con la collaborazione di Gloria Menghetti, Fabio Desideri, e Maurizio Copedè, i quali, con un delicato lavoro di ricerca ne permisero l’individuazione nel fondo custodito al Gabinetto Vieusseux di Firenze.
“Forse il capolavoro delle Puglie è proprio Alberobello. Non c’è manuale turistico che lo ignori, né libro di geografia per scuole medie che non porti la fotografia dei suoi trulli.” Per il poeta di Casarsa, Alberobello è un paese perfetto, dal primo muro all’ultimo, e l’intero corpo di trulli non da alcun segno di stonatura con la sua architettura “grottesca e squisita”. L’autore di Ragazzi di Vita, trascorse una giornata intensa nella perla della Valle d’Itria, vivendo voracemente la città dei trulli destinata decenni dopo a diventare Patrimonio dell’Unesco.
Di sera, una domenica sera del 1951, restò abbagliato dal suo cielo quasi fino al punto da non trovare più le parole per raccontarne la purezza: “un cielo inesistente, puro connettivo di luce sulle prospettive fantastiche del paese”. Il suo occhio da cineasta si sofferma sui trulli con le loro strutture che si fondono l’uno nell’altra per dar forma ad un corpo rinnovato e carico di magia. Egli si perde per i vicoli scoscesi, dove trova solo qualche bambino giocare seduto davanti alle soglie di quelle incantevoli dimore, ed in mezzo a tutte quelle bianche strutture che lo meravigliano, il suo animo gode di quel piacere estetico a lui molto caro. Il tutto mentre la piazza del paese, al contrario, è colma di passanti, “come in un giorno di fiera”. Una folla silente, disturbata ogni tanto da una radio con la sua cronaca della partita domenicale.
Il più grande intellettuale italiano del ‘900, durante quel suo soggiorno in Puglia, che lo vide passo passo visitarla tutta, ne rimase praticamente stupefatto sotto ogni punto di vista, riportando le sue positive ed emozionate considerazioni nel medesimo articolo. Dal suo scritto si evince che, senza ombra di dubbio, quell’estasi fu condivisa, nel Salento, con la città di Massafra, e nel Gargano con Monte S. Angelo. Questi magnifici luoghi infatti contesero in Pasolini, con Alberobello, il primato della perfezione. E la visita di Massafra, in particolare, suscitò nello scrittore sensazioni fortissime ed intense espresse evocate da vicoli e stradine che regrediscono fino al cuore del tempo, fino a ricordare “il puro medioevo”.
Un biancore di calce viva invece, è la poesia che l’autore de Le ceneri di Gramsci dedicò al capoluogo pugliese, Bari, musa ispiratrice di alcuni versi meravigliosi contenuti in questa lirica:
Bari Vecchia, un alto villaggio
sul mare malato di troppa pace,
un bianco ch’è privilegio e marchio
di umili.
Versi appartenenti alla poesia L’Alba Meridionale inclusa nella raccolta Poesia in forma di rosa pubblicata nel 1964. Alla città di Bari, il regista dedicò anche un racconto, “Le due Bari”, pubblicato sempre nel 1951 su Il Popolo di Roma, nel quale descrive il suo soggiorno in città, con pernottamento all’Hotel delle Nazioni, l’estasi del risveglio dato dallo visione dello “splendido lungomare” e le emozioni dovute alle sue passeggiate fra la gente e all’allegria dei baresi che “è seria, sicura e salubre”.
Ma non è tutto qui: questo caleidoscopio di sensazioni così dense, suscitate dalla Puglia, lo ritroveremo anche nel 1959, quando Pier Paolo Pasolini realizzò un reportage, viaggiando solo con la sua Fiat Millecento attraverso l’Italia da nord a sud e poi da sud a nord lungo la sua costa mediterranea; un percorso che lo vide visitare anche la Puglia. Reportage che uscì in più puntate sulla rivista “Successo” con il titolo “La lunga strada di sabbia” e che fu ripreso postumo grazie alla ricerca e all’impegno, ancora una volta, della cugina Graziella Chiarcossi.
Qui sono contenute suggestioni pugliesi, ed in particolare voglio proporvi alcuni pensieri su Taranto, “che brilla sui due mari come un gigantesco diamante in frantumi” e che nel 1959, pare al regista di Accattone una città perfetta: “Viverci è come vivere all’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari e i lungomari. Per i lungomari, nell’acqua ch’è tutto uno squillo, con in fondo delle navi da guerra, inglesi, italiane, americane, sono aggrappati agli splendidi scogli, gli stabilimenti.”
L’amore e l’incanto di Pasolini per la Puglia non ebbero mai fine. E come dargli torto.
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Fonti:
I nitidi trulli di Alberobello, «Il Quotidiano», 18 marzo 1951
Le due Bari, «Il Popolo di Roma», 8 agosto 1951
Poesia in forma di rosa, Garzanti 1964
La lunga strada di sabbia, 2014 Contrasto Edizioni