di Kasia Burney Gargiulo
Testimonianze rilevanti emerse nel corso degli anni, e anche di recente, ci parlano di una misteriosa città etrusca sorta 600 anni prima di Cristo là dove i Romani avrebbero poi fondata la Pompei che tutti conosciamo, quella distrutta dal Vesuvio nel 79 d.C. Per esplorare il peso avuto da questa presenza, in un’area già a forte imprinting ellenico, è stata allestita la grande mostra “Pompei e gli Etruschi” che dal 12 dicembre 2018 al 2 maggio 2019 è visitabile presso la Palestra grande degli Scavi, a Pompei. La mostra è a cura del Direttore generale Massimo Osanna e di Stéphane Verger, Directeur d’études à l’École Pratique des Hautes Etudes di Parigi ed è promossa dal Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Polo Museale della Campania e con l’organizzazione di Electa.
In esposizione circa 800 reperti, alcuni mai visti prima d’ora, provenienti da musei italiani e europei per un excursus sulle prime influenze etrusche in Campania. Materiali in bronzo, argento, terrecotte, ceramiche, iscrizioni in lingua etrusca, provenienti per lo più da tombe, santuari e abitati, consentono di analizzare e mettere a confronto più elementi per affrontare questa pagina poco nota della città vesuviana.
L’indagine svolta non è stata facile perché gli strati più antichi della città sono stati ricoperti e in gran parte distrutti dalla città sannita dei secoli III e II a.C. e da quella romana sepolta dal vulcano nel 79 d.C. Tuttavia ci sono ormai elementi sufficienti per ritenere con certezza che quella prima città dal nome ignoto, sia stata fondata da alcuni Etruschi giunti dall’Etruria interna, la regione situata a nord di Roma, tra la costa tirrenica, Tevere e Arno. Sul golfo di Napoli venne così a crearsi una fitta rete di rapporti e contaminazioni tra le élite campane etrusche, greche e indigene, che la mostra cerca di districare affrontando la controversa e complessa questione dell’ “Etruria campana”.
Scelto fra gli oggetti in mostra come simbolo dell’esposizione, sarà presentato in anteprima mondiale lo splendido anello con sigillo in pietra rossa dura del VI secolo a.C., proveniente dal santuario rinvenuto presso l’ex “Fondo Iozzino” ubicato fuori dalla cinta muraria dell’antica Pompei. Fulcro della mostra sono proprio i ritrovamenti venuti alla luce dai recenti scavi nel santuario extraurbano del Fondo Iozzino – tra i principali santuari (oltre a quello di Apollo e di Atena) fondati a Pompei alla fine del VII sec a.C – che hanno restituito una grande quantità di materiale di epoca arcaica, quali armi e servizi per le libagioni rituali con iscrizioni in lingua etrusca. Questi materiali si affiancano, in mostra, a quelli provenienti dalle altre città etrusche della Campania – Pontecagnano in primis e Capua – dove sono noti luoghi di culto importanti, con caratteristiche simili a quello del Fondo Iozzino.
Testimonianze di sfarzose tombe principesche in cui venivano sepolti i membri più importanti di grandi famiglie aristocratiche sono, invece, i corredi funerari dalla tomba Artiaco 104 di Cuma di un principe cosmopolita (i resti del defunto incinerati vennero deposti in un calderone in argento, alla maniera degli eroi descritti nell’Iliade di Omero: “mangiava e beveva come un greco, ma portava abiti e armi etruschi e si comportava come un re orientale”.); quello di una principessa di Montevetrano (tomba 74), vicino a Pontecagnano; e quello della lussuosa tomba di un principe orientalizzante dal Lazio (la tomba Barberini di Palestrina).
Le dinamiche degli incontri di culture, le integrazioni tra gruppi sociali, lo spazio mediterraneo come luogo e teatro di culture fluide e identità recintate costituiscono il filo conduttore delle mostre della Palestra Grande di Pompei, a partire da quelle che, nel 2016-17, hanno riguardato l’Egitto, la Grecia, per arrivare a quest’ultima sull’Etruria.
Fin dalla fine dell’Ottocento, la Campania è apparsa alla scienza storica e antiquaria, come un crogiolo di presenze. All’archeologia, al suo apparato di oggetti e strumenti filologici, fu affidato il compito arduo di dipanare la matassa delle sovrapposizioni di gruppi ed etnie. La mostra, in tal senso, come le precedenti, offre l’idea di un territorio campano antico multietnico e, dunque aperto alla contaminazione e ai cambiamenti, basi primarie per il progresso di una civiltà. E Pompei, che indubbiamente nei primi secoli della sua vita fu uno dei poli strutturanti della regione, è ormai diventata un paradigma per indagare la forma delle città arcaiche della Campania.
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Palestra Grande, Parco Archeologico di Pompei
Si consiglia l’ingresso di piazza Anfiteatro
Orario: dalle 9.00 alle 18 (sabato e domenica dalle 8.30 alle 18.00)
La visita è inclusa nel regolare biglietto di ingresso agli scavi
Info: 081 85 75 347
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