Pompei e i Greci: una grande mostra riscopre il “volto” ellenico della città vesuviana

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Apollo lampadoforo, dalla domus pompeiana di Caius Iulius Polybius (IX.13.3), I sec. a.C. - Depositi Soprintendenza di Pompeiapollo_lampadoforo1

Apollo lampadoforo (part.), dal triclinio della domus pompeiana di Caius Iulius Polybius, I sec. a.C. – Depositi Soprintendenza Pompei

di Kasia Burney Gargiulo

L’immagine-simbolo è quella, bellissima, del dio Apollo colto nell’enigmatica espressione del volto che per gli antichi rivelava lo stato di atarassìa, ovvero di perfetta tranquillità e serenità d’animo, di libertà da quelle passioni che invece attanagliano la natura umana. Si tratta dell’Apollo lampadophoros, forse una delle opere meno note fra quelle che la grande eruzione vesuviana del 79 d.C. ha tramandato ai posteri cristallizzando per sempre un giorno come tanti della vita di Pompei. Ispirato ai i caratteri stilistici dei kouroi realizzati alla fine del VI secolo a.C., questo bronzo si ritiene rappresenti un’immagine del dio delle arti e della sapienza recante in origine attributi ormai perduti come l’arco e il cerbiatto. Quest’opera straordinaria, dal 12 aprile al 27 novembre 2017, sarà esposta, insieme a più di 600 reperti, presso la Palestra Grande degli Scavi di Pompei nell’ambito della grande mostra “Pompei e i Greci”, che esplorerà i rapporti tra Pompei e il Mediterraneo, in particolare tra la cultura romana e quella greca.

Se Pompei è infatti nota principalmente come città romana di fondazione osca, in realtà ebbe fin dalle origini contatti con il mondo ellenico a seguito dell’arrivo in Campania dei Greci che nell’VIII sec. a.C. fondarono le colonie di Cuma, sulla costa, e Pithecusa sull’isola d’Ischia, le più antiche d’Occidente. Senza che alcun conflitto militare lo determinasse, la cultura greca filtrò presto nella città vesuviana, come testimoniano il Tempio Dorico, i cui resti risalenti al VI sec. a.C. sono riemersi nel lato ovest del Foro Triangolare, e l’introduzione del culto di Apollo. Proprio di questa Pompei inaspettatamente “greca” ci parlerà la mostra, raccontandoci come la città, affacciata sul Mediterraneo, abbia vissuto – al pari della maggior parte degli insediamenti dell’Italia antica – un contatto costante e multiforme con il mondo greco. A testimoniarlo saranno le centinaia di reperti provenienti da Pompei e da importanti musei nazionali ed europei: alcuni di essi tornano in Italia per la prima volta. Si tratta di ceramiche, ornamenti e armi, elementi architettonici e sculture provenienti da Pompei, Cuma, Capua, Metaponto, Torre di Satriano, Poseidonia, Gela, oltre che di corredi funerari provenienti da diversi centri del Mediterraneo. Non mancano iscrizioni nelle diverse lingue che, oltre il latino, si parlavano nell’antica città (greco, etrusco, paleoitalico), così come documenti delle più antiche terme, argenti e sculture greche riprodotte in età romana. Per ricostruire nel dettaglio questo rapporto con la cultura greca e mettere a fuoco le tante anime della città antica, la mostra seguirà artigiani, architetti e stili decorativi, soffermandosi anche su oggetti importati e sulle iscrizioni in greco presenti sui muri della città distrutta dal Vesuvio.

La mostra “Pompei e i Greci”, curata dal direttore generale della soprintendenza di Pompei Massimo Osanna e da Carlo Rescigno (dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”), è promossa dalla Soprintendenza Speciale di Pompei con l’organizzazione di Electa. Essa è la prima tappa di un programma espositivo realizzato di concerto con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli dove, dal prossimo 7 giugno, partirà la mostra “Amori divini” dedicata ai miti greci, a Pompei e nel mondo romano, e al tema delle metamorfosi. Divisa in 13 sezioni tematiche, la mostra “Pompei e i Greci” nasce da un progetto scientifico e da ricerche in corso che per la prima volta mettono in luce tratti sconosciuti della città vesuviana. Attraverso gli oggetti esposti, sarà infatti possibile rileggere luoghi e monumenti della città da sempre sotto gli occhi di tutti, cogliendone aspetti non di rado inediti per i non addetti ai lavori.

Elmo di tipo corinzio con iscrizione dedicatoria a Zeus da parte di Ierone, tiranno di Siracusa, V sec. a.C., Museo di Olimpia

Elmo di tipo corinzio con iscrizione dedicatoria a Zeus da parte di Ierone, tiranno di Siracusa, V sec. a.C., Museo di Olimpia

Grazie a questa mostra ritorneranno in Italia documenti e reperti finiti all’estero sulla scia del commercio antiquario oppure delle stesse vicende storiche, come ad esempio gli elmi donati a Olimpia dal tiranno di Siracusa Ierone per celebrare la vittoria dei cumani sugli etruschi, a seguito dello scontro avvenuto nelle acque del golfo di Napoli. Attraverso i frammenti di un monumentale cratere proveniente dalla città pugliese di Altamura, sarà invece possibile seguire il racconto della battaglia di Alessandro Magno contro Dario, nelle stesse forme e con lo stesso schema che quasi due secoli dopo sarebbero comparsi nel celebre mosaico ritrovato nella Casa del Fauno. Attraverso i reperti emersi da due discariche dell’epoca – una rinvenuta nell’agorà di Atene, e una presso i portici del foro di Pompei – sarà inoltre possibile osservare le analogie tra oggetti e strumenti del vivere quotidiano utilizzati nelle due città durante il II secolo a.C.

L’allestimento è stato progettato dell’architetto svizzero Bernard Tschumi e include tre installazioni audiovisive immersive curate dallo studio canadese GeM (Graphic eMotion) che, insieme ai numerosi reperti in mostra, contribuiranno ad illustrare al grande pubblico il fascino di un racconto storico fatto di linguaggi stratificati, di assenza di linearità, di multicentrismo, di identità multiple e contraddittorie. E’ il racconto del Mediterraneo, per tanti versi non dissimile da quello contemporaneo, fatto di migrazioni, conflitti, incontri e scontri di culture.

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