di Redazione FdS
È uno dei rettili tipici dell’area mediterranea, diffuso dalla Provenza a quasi tutta l’Italia fino alla penisola iberica e alle isole Baleari: si tratta della testuggine di terra (Testudo hermanni), specie della quale sono stati ritrovati a Pompei i resti ben conservati di un esemplare femmina con un fragile uovo custodito nel carapace. Il ritrovamento, avvenuto negli scavi di una bottega di via dell’Abbondanza, testimonianza del vasto ecosistema di Pompei, composto di tracce naturali oltre che antropiche. È una preziosa traccia archeologica dell’ultima fase di vita della città, dopo un violento terremoto nel 62 d.C. e prima della fatidica eruzione del 79 d.C.
L’inusuale ritrovamento ha avuto luogo, nell’ambito di una campagna di scavo e ricerca sulle terme Stabiane condotta dalla Freie Universität Berlin (referente Monika Trümper) e dall’Università di Napoli L’Orientale (referente Marco Giglio), con l’University of Oxford (referente Mark Robinson) in collaborazione con il Parco archeologico di Pompei, volta a indagare lo sviluppo urbano del quartiere abitativo prima dell’impianto delle terme. In particolare, nelle botteghe aperte sul lato sud-orientale delle terme lungo via dell’Abbondanza e vicolo del Lupanare sono emersi quest’anno i resti di una sontuosa domus con raffinati mosaici e pitture parietali, risalente al I sec. a.C. e rasa al suolo dopo il terremoto che devastò Pompei e ampie parti della Campania nel 62 d.C. Successivamente, l’area venne destinata all’ampliamento del complesso termale sull’incrocio tra via dell’Abbondanza e via Stabiana.
Gli strati archeologici in cui è stato rinvenuto il piccolo rettile erano accumuli di detrito, formatisi a seguito della dismissione della bottega in questione, in vista di una sua rifunzionalizzazione. Nella fase di ricostruzione e ristrutturazione tra terremoto e eruzione del Vesuvio, il rettile deve aver avuto modo di entrare negli spazi dismessi e scavare, indisturbato, un rifugio adatto alla deposizione del suo unico uovo (solitamente vengono deposte da 1 a 5 uova).
Le testuggini hanno una particolarità, la distocia, ovvero qualora non trovino un luogo idoneo, possono trattenere le uova andando incontro a problematiche spesso fatali. Preferiscono dunque morire, piuttosto che deporre le uova laddove l’ambiente non sia congeniale. Nel caso in questione l’intrusione dell’animale non fu notata da chi si occupò della rifunzionalizzazione della bottega, quindi i suoi resti vennero ricoperti senza essere visti.
Non è il primo ritrovamento di testuggini a Pompei, ma solitamente esse sono state rinvenute all’interno di giardini o aree interne a ricche domus, come ad esempio la casa di Giulio Polibio. Quella trovata nei giorni scorsi è stata documentata e rimossa in tre fasi successive: documentazione del carapace (14 cm circa, mentre un esemplare pienamente matura misura di norma 20-24 cm), dello scheletro interno dell’animale e del piastrone (cioè la parte ventrale del guscio). Il reperto, già identificato come esemplare locale di Testudo hermanni, è stato trasferito al Laboratorio di Ricerche Applicate del Parco dove sarà meglio studiato e analizzato dall’archeozoologa del Parco.
“Sia la presenza della testuggine in città sia l’abbandono della sontuosa domus che cede il posto a un nuovo settore delle terme stabiane illustrano la portata delle trasformazioni dopo il terremoto del 62 d.C. – dichiara il Direttore generale Gabriel Zuchtriegel – Evidentemente non tutte le case furono ricostruite e zone, anche centrali, della città erano poco frequentate tanto da diventare l’habitat di animali selvatici; al tempo stesso l’ampliamento delle terme è una testimonianza della grande fiducia con cui Pompei ripartiva dopo il terremoto, per poi essere stroncata in un solo giorno nel 79 d.C. La testuggine aggiunge un tassello a questo mosaico di relazioni tra cultura e natura, comunità e ambiente che rappresentano la storia dell’antica Pompei. Nei prossimi anni, lo studio dei reperti organici e le ricerche su agricoltura, economia e demografia a Pompei e nel suo territorio saranno una priorità nella nostra strategia di ricerca, tutela e valorizzazione, anche per dare più visibilità a siti e monumenti al di fuori del centro urbano, come la villa rustica di Boscoreale e le ville di Torre Annunziata e Castellammare di Stabia.”
Lo scavo condotto dal team internazionale delle tre citate università – che è anche uno scavo didattico volto a formare le nuove generazioni di giovani archeologi – ha indagato ad occidente dell’ingresso delle terme su via dell’Abbondanza, le botteghe ai civici 6 e 7, caratterizzate da una facciata in blocchi di tufo di Nocera. La bottega 6, luogo del rinvenimento, era annessa, nelle sue fasi più antiche, alle terme tramite una porta sulla parete settentrionale, che fu chiusa in un secondo momento. Nell’angolo sud-ovest della bottega era stata realizzata, in una fase antecedente al sisma del 62 d.C., una vaschetta quadrangolare non rivestita di cocciopesto. Proprio a ridosso della vaschetta, sul lato esterno, nell’angolo tra il muro nord della vaschetta e quello occidentale della bottega, è stata individuata la testuggine che aveva realizzato la sua tana dopo aver scavato un piccolo tunnel che doveva partire dal piano di calpestio post-sismico raggiungendo una zona protetta.
Una curiosità: questo rettile, oltre a far parte della della fauna selvatica italiana, poteva essere oggetto di allevamento, come testimoniano i ritrovamenti pompeiani in aree adibite a giardino e come del resto avviene ancora oggi in alcune parti d’Italia. Inoltre, studi paleontologici, fonti storiche e memorie più recenti di tradizioni locali ormai quasi ovunque scomparse, ci dicono che questo tipo di testuggine è stato utilizzato anche a scopo alimentare. Come viene infatti riportato nello studio “Tartarughe e testuggini come alimento per l’uomo in Italia” pubblicato nel 2019 da Mauro Grano e Stefano Alcini, tracce di macellazione, cottura e masticazione sui resti di una Testudo hermanni risalgono in Europa ad epoche remotissime e per quanto concerne in particolare l’Italia, tracce di testuggini usate a scopo alimentare dall’età del Bronzo in poi sono state ritrovate in vari siti archeologici, dall’antica città di Veio (Roma) alle aree di Genova, Viterbo e Sassari; un’usanza che in molti luoghi della Penisola è proseguita nei secoli (basti pensare a trattati di cucina come Il Cuoco Galante, del 1786, o L’Apicio Moderno, del 1790) fino al XX° secolo. Tuttavia per il contesto romano antico non abbiamo fonti che permettano di misurare la reale portata di un’usanza che comunque non deve essere stata particolarmente diffusa, a differenza di quello greco dove il consumo di testuggine pare non fosse affatto raro.
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