di Enzo Garofalo
Come scrive ironicamente il filosofo Stefano Zecchi nel suo interessante saggio “L’artista armato – Contro i crimini della modernità”, si rischia di passare per ridicoli nel rifiutare il nichilismo, “malattia spirituale del nostro tempo”, nel “non essere disposti a difendere l’ideologia del progresso a tutti i costi e nel pretendere che continuino a vivere i simboli dell’arte e del pensiero che parlano dell’infinità del cosmo, che affermano la corrispondenza fra immagine e realtà”. Eppure – come condivisibilmente afferma – si tratta di scelte necessarie se si vuole reagire ad un mondo che pratica l’indifferenza, bandisce la speranza e tollera i simbolismi del vuoto. Scelta che in musica fu ad es. fatta nel ‘900 da un compositore come Nino Rota il quale – quando lo richiedevano concrete esigenze espressive – seppe coniugare la tradizione con gli esiti della moderna sperimentazione, anche quelli più aspri, nell’ottica di un linguaggio musicale in grado di rigenerarsi senza rinnegare le proprie radici e, soprattutto, in costante confronto con la sua diretta e chiara fruibilità da parte del pubblico. Il compositore milanese rifiutò così quelle tendenze artistico-musicali che in un esasperato soggettivismo hanno celebrato la morte dell’espressività della forma e demolito le grandi questioni metafisiche del pensiero “sulle quali – dice ancora Zecchi – si è sempre confrontata la genialità dell’Occidente”. Una scelta, quella di Rota, il cui esempio a Bari si è abbastanza radicato fra quei musicisti – primo fra tutti Nicola Scardicchio, suo discepolo diretto – i quali ebbero la fortuna di raccoglierne la lezione artistica ed umana durante l’aureo periodo della sua direzione del Conservatorio ‘Piccinni’.
Proprio di Scardicchio lo scorso 22 settembre l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari (diretta dall’Autore) ha eseguito all’Auditorium Showville la Sinfonia n.2 “Lirica”, un colto e raffinato lavoro per baritono e orchestra che – come il resto della composita produzione del musicista – mostra di ricondursi ad una concezione della musica quale mezzo espressivo in grado di evocare idee e sentimenti in cui chiunque possa ritrovare un principio di verità e un senso di identità. Una visione che nasce dalla profonda fiducia nel linguaggio universale della musica che, in quanto tale, non può dissolversi in un dialogo esclusivo dell’autore con la propria interiorità, dialogo di cui molte avanguardie, non solo musicali, si sono fatte promotrici, spesso sacrificando ad esso ogni ricerca comunicativa. Allo stesso modo, non può ridursi ad esercizio solipsistico la poesia, se non rinnegando la sua stessa funzione che – diceva il poeta pugliese Giovanni Bruno – consiste proprio nel collocare le esperienze personali di chi scrive in un tessuto dilatato, cosmico, in cui anche il più umile evento risuona di echi molteplici, richiamandoci al mistero da cui siamo circondati e alla dignità dell’essere, nelle sue molteplici manifestazioni .
E di poeti grandissimi Scardicchio ne chiama in causa diversi nella sua Sinfonia, che lascia alla parola cantata – affidata alla mirabile voce del baritono Giuseppe Naviglio – uno spazio di primissimo piano. Dai versi del Libro Egiziano dei Morti e degli Inni Orfici alle tre liriche greche antiche di Omero, Ibico ed Anacreonte passando per tre Sonetti di Shakespeare e tre liriche moderne di Kavafis, Verlaine e Lorca, quello di Scardicchio – con tre liriche per ciascuno dei quattro movimenti della Sinfonia – è un ‘’viaggio’’ musicale nell’espressione poetica dei secoli, dalla sua genesi in ambito sacrale alle più recenti evoluzioni nelle quali il mondo degli umani sentimenti prorompe in tutta la sua forza. Non a caso l’amore il tema dominante di molti dei versi utilizzati in quest’opera nella quale il compositore ha mirato a raccogliere in un’unità formale e concettuale brani concepiti in passato in modo autonomo, sebbene dotati di numerosi elementi di affinità.
La Sinfonia n. 3 in mi bem. maggiore “Eroica” di Beethoven, che ha caratterizzato la seconda parte del concerto diretto da Nicola Scardicchio, è a sua volta uno dei grandi emblemi della possibilità per un compositore di esprimere al meglio sentimenti e passioni comuni a tutta l’Umanità. Nata per essere dedicata a Napoleone Bonaparte, inizialmente simbolo per Beethoven dei principi democratici espressi dalla Rivoluzione Francese ma poi deprecato come traditore di tali principi in occasione della sua incoronazione a Imperatore, questa sinfonia ha trovato le ragioni più profonde di successo nell’essere un’opera pervasa di un sentimento sublime ed eroico davvero fuori dal tempo.
Che dire dell’Orchestra Sinfonica di Bari a cui è stata affidata l’esecuzione di due opere così complesse? E’ una compagine che nonostante una nuova stagione in programma, sta risentendo visibilmente dei pesanti tagli ai fondi destinati alle Province con il rischio – a seguito del riordino degli enti – di non riuscire più a svolgere la propria attività artistica. Non a caso, agli inizi di quest’anno il presidente Francesco Schittulli ha parlato della necessità di porsi “un serio problema etico sul futuro dell’Orchestra Sinfonica” perché “i 38 professori d’orchestra regolarmente assunti a tempo indeterminato non potranno fare gli archivisti o gli impiegati”. Tale problema etico non andrebbe però disgiunto dall’interesse per l’aspetto più strettamente artistico: il livello dell’esecuzione musicale di un’orchestra non è l’automatica conseguenza della garanzia di un impiego, se poi mancano le altre condizioni ottimali per fare un lavoro attento e curato (mi riferisco in particolare alla quantità di prove disponibili), come dovrebbe essere proprio di una compagine dalla prestigiosa tradizione. Ma quella dell’altra sera è stata una perfomance decisamente non all’altezza di tale tradizione. Al pubblico farebbe piacere che i tanti validi musicisti che pur sono presenti nell’Orchestra potessero continuare a fare il proprio mestiere, appunto di artisti, e non di “impiegati del catasto” con uno strumento in mano.
Due parole infine sull’iniziativa solidale che ha fatto da intermezzo fra i due tempi del concerto, e cioè l’applauditissima performance con la pianista Adriana De Serio al pianoforte che ha diretto la CEDIS Band (facente capo alla Onlus Casa CEDIS di Giovinazzo), un ensemble di piccole percussioni formato da giovani diversamente abili a fine serata tornati sul palco per condividere un breve brano con l’Orchestra Sinfonica. Un nobile esempio di come la musica, valorizzata anche nelle sue potenzialità terapeutiche, possa contribuire ad abbattere le barriere sia fisiche che mentali che tendono ad isolare chi vive una condizione di handicap.