di Enzo Garofalo
In questo tempo che ha svenduto il proprio futuro per la costruzione di un effimero presente, non rimane ormai più neppure il conforto della memoria. E perdere la memoria è la più grave sciagura che possa capitare all’uomo, perchè nella memoria – “facoltà grandiosa, di infinita complessità”, come la definiva S. Agostino – risiede la sostanza dello spirito, “e lo spirito sono io stesso”, aggiungeva il santo di Ippona. Memoria uguale identità. Senza mezzi termini.
Un consumo di memoria, un furto di coscienza collettiva, una depredazione di identità è quella che da anni si sta consumando in Italia, così come da due mesi a questa parte sta accadendo in Calabria ai danni di ciò che nel tempo era stato ritrovato dell’antica colonia magno-greca di Kaulonia, sul litorale dell’attuale borgo di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria. Una città fondata dagli Achei nell’VIII sec. a.C., che in tempi recenti era tornata a parlarci con il linguaggio universale della Bellezza attraverso i meravigliosi mosaici con figure di draghi marini e delfini ritrovati in un complesso termale dall’archeologo calabrese Francesco Cuteri, lo studioso che Fame di Sud si pregia di avere fra i membri del proprio Comitato d’Onore. Sempre di recente, gli scavi a Kaulonia hanno anche restituito una tavola bronzea con la più lunga iscrizione in alfabeto acheo mai ritrovata in Magna Grecia. Parlammo dei ritrovamenti e ne mostrammo le immagini con la gioia di chi ha ricevuto un bellissimo regalo da un passato al quale dobbiamo la maggior parte di quanto di umanamente nobile siamo riusciti a produrre; un passato che ci ha insegnato il valore individuale e sociale dell’arte, suggerendoci come ogni forma di bellezza terrena sia il riflesso di quella divina. In queste ore a Kaulonia si sta consumando la damnatio memoriae di quel passato, di una civiltà, quella stessa alla quale l’Occidente deve, fuori di retorica, alcune delle radici più autentiche della propria cultura. Sì, perchè ciò che resta e ciò che stava emergendo dell’antica Kaulonia ora sta definitivamente per cadere in mare, fra la perdurante indifferenza delle istituzioni. Già dallo scorso dicembre, come si ricorderà, era iniziata la massiccia azione erosiva del mare su un sito dove da tempo scavano università italiane e studenti d’ogni parte del globo. A nulla sono però valsi gli appelli affinchè l’autorità intervenisse a innalzare una barriera protettiva.
Una ventina di giorni fa denunciammo infatti (e non fummo gli unici a farlo) i rischi a cui era esposta l’area archeologica, dopo che Cuteri era stato costretto, tramite un pubblico appello, a lesinare un intervento della Protezione Civile. Intervento finalmente promesso ma mai avvenuto. Solo le ruspe inviate a Kaulonia dalla Provincia di Reggio Calabria erano riuscite a predisporre un frangiflutti di rocce lungo poche decine di metri, a fronte degli almeno 250 di barriera realmente necessari. Nel frattempo tutti i campioni di inconcludenza che siedono nelle stanze dei bottoni, nazionali e regionali, si sono guardati bene dall’intervenire con qualche rimedio più efficace, quasi che il mare, sensibile alla nostra scempiaggine, decidesse, da solo, di astenersi dalla fatale aggressione alla costa. E oggi è successo l’irreparabile: con il mare in burrasca, il terrapieno su cui sorgono i resti dell’antica città – emblema di un patrimonio culturale del quale siamo gli indegni eredi e detentori – si è ulteriormente e pericolosamente assottigliato (v. foto in alto), fino ad esporre sul vuoto dello strapiombo i blocchi delle millenarie mura (v. foto seguente).
In queste ore il senso di impotenza è devastante, come bruciante è il rammarico per un Paese snaturato che sta rinnegando se stesso ogni giorno che passa. “Oggi – scrive l’archeologo Cuteri – il rumore delle onde del mare è il lamento delle prefiche…Per la Calabria è un giorno di lutto!”