di Redazione FdS
Come forse non tutti sanno l’Italia ha ormai da diversi anni puntato a valorizzare prodotti agricoli o di allevamento lavorati secondo antichi metodi e ricette. È così nato l’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) appositamente istituito dal Ministero dell’Agricoltura con la collaborazione delle Regioni. L’elenco è aggiornato e ripubblicato annualmente e il Ministero si occupa di promuoverne la conoscenza in Italia e all’estero; esso è strutturato per regioni e per categorie che comprendono prodotti lattiero-caseari, prodotti a base di carne, prodotti ortofrutticoli e cereali, prodotti da forno e dolciari, bevande alcoliche, distillati. Il requisito per essere riconosciuti come Prodotti Agroalimentari Tradizionali è quello di essere “ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni”. Traendo spunto da questo ricchissimo elenco, che vanta diverse centinaia di specialità, vi racconteremo periodicamente quelle la cui produzione è radicata nelle regioni del Sud Italia.
GLI ANIMALETTI DI PROVOLA DI MARCELLINARA
Inauguriamo la lunga carrellata dedicata ai PAT del Sud Italia con un prodotto caseario della Calabria che, curiosamente, unisce la valenza gastronomica con il fascino dei giochi infantili di un tempo: gli animaletti di provola del catanzarese, particolarmente tipici del comune di Marcellinara. Siamo nell’area più stretta del territorio calabrese, dove si riduce al massimo la distanza tra costa jonica e costa tirrenica, in un borgo collinare di poco più di 2 mila abitanti in cui, da tempo immemorabile, si tramanda l’usanza di modellare – in occasioni speciali e con una pasta filata simile a quella del caciocavallo – dei piccoli cavalli da regalare ai bambini a mo’ di giocattolo commestibile. Se la forma del cavallo è senza dubbio quella principale, al punto da spingere qualche studioso del secolo scorso a ritenere che il nome del caciocavallo potesse derivare proprio da questa usanza, in realtà tale produzione contempla anche altre figure zoomorfe come maialini e pecore; talvolta la figura del cavallo è arricchita da quella di un cavaliere armato di sciabola o bardato con armatura medievale. Ubicata in un territorio che la leggenda identifica con l’omerica terra dei Feaci, Marcellinara vanta una storia sostanzialmente legata a quella della famiglia Sanseverino, che nel 1447 l’ebbe in feudo dal re del Regno di Napoli Alfonso I d’Aragona; il paese sorge tuttavia in un’area abitata fin dalla remota antichità greco-romana, per cui non ci sarebbe da meravigliarsi se questi animaletti di provola – come i mostaccioli di Soriano Calabro – fossero il lontano retaggio di antichi doni votivi pagani fatti col cacio la cui lavorazione da parte dei Greci viene menzionata già da Ippocrate nel 500 a.C.
La lavorazione di questi animaletti, come ci ricordano i testi di cucina calabrese e quelli di storia delle tradizioni popolari, viene effettuata esclusivamente a mano. Attualmente i casari li realizzano solo su ordinazione per chi voglia farne omaggio, per adornare la tavola durante le feste o, più frequentemente, in occasione di fiere di paese e di esposizioni gastronomiche. Realizzati in varie misure (da 35 fino a 300 gr.), sono ottenuti dalla lavorazione di latte fresco da mucche normalmente allevate allo stato brado. Il latte viene munto per metà la sera precedente e per metà la mattina della lavorazione. I casari di Marcellinara portano dapprima metà del latte ad una temperatura di 50-60 gradi, per poi aggiungere l’altra metà in modo da poter ottenere la coagulazione ad un temperatura di 38° gradi con l’utilizzo di caglio di agnello, vitello o capretto. Dopo la rottura della cagliata e un breve periodo di riposo si procede alla estrazione del siero. La pasta tagliata a pezzi si lascia maturare per tre-quattro giorni a temperatura ambiente. Si procede quindi alla filatura che avviene con acqua a 80° e quindi si procede col modellarla nelle tipiche forme tradizionali. Si effettua quindi una salatura in salamoia per circa 12 ore, dopodiché gli animaletti si mettono ad asciugare, lasciandoli maturare per pochi giorni in un ambiente fresco e areato. La stagionatura è rara e al massimo può durare due settimane. La pasta filata semidura, di colore paglierino chiaro e di sapore dolce, è compatta e senza occhiature; la crosta, di colore paglierino leggermente più intenso, è sottile e lucida. Gli animaletti si possono gustare da soli oppure accostati a miele di corbezzolo o confettura di mandarino, e sono abbinabili a un vino rosso di media struttura.
PASSEGGIANDO PER MARCELLINARA E DINTORNI
Come già accennato, la storia e l’arte di questo borgo sono legate innanzitutto al quattrocentesco dominio feudale della potente famiglia dei Sanseverino, casato radicato nei seggi nobiliari di Napoli ma con possedimenti in diverse località del Regno; di esso rimane l’imponente ed elegante Palazzo sorto sui resti del castello del XV secolo (oggi sede di una grande azienda agricola appartenente ai discendenti della stessa famiglia) e la coeva tomba monumentale, in forma di torre merlata, posta all’ingresso del paese. Non mancano tuttavia testimonianze d’epoca successiva, come la cinquecentesca chiesa di Maria SS. Assunta, affacciata su Piazza Francesco Scerbo, che al suo interno custodisce una raccolta di dipinti ed affreschi del pittore nicastrese Francesco Colelli. Notevole anche la chiesa di San Nicola la cui campana, donata dalla Confraternita dell’Immacolata, consente di datarla agli inizi del XVII secolo. Storicamente significativi anche il Palazzo Augelli e il Palazzo Perrelli. Marcellinara può essere anche un buon punto di partenza per esplorare il territorio circostante, con una passeggiata naturalistica nel vicino Parco Cocuzzo, un’escursione nell’area catanzarese del Parco Nazionale della Sila, oppure raggiungendo in breve tempo una delle belle spiagge offerte sia dal versante ionico che da quello tirrenico.
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