di Erika Schorfheide
Si ama da sempre paragonare il mondo con il teatro, lo spettacolo, il dramma. Tuttavia la realtà non è meno prosaica della fantasia. Una replica non è una replica se porta in sè la forma dell’infinità. La vita della grande Callas. La vita di tutti noi. Un’opera drammatica in due atti. Tre al massimo. Il palco della vita confonde attori e spettatori. Chi la conosceva bene poteva osservare che, ogni volta che aprì la porta della Scala, Maria Callas divenne «la Callas». A Ischia divenne «la Maria». Probabilmente fu proprio questa porta all’ingresso della Scala, palco rotante per mecenati, artisti, claqueurs e giramondo, che portò la donna, il mitico soprano sull’isola nel golfo di Napoli.
Ischia. Un sussuro dietro le quinte, una voce che si sparge attizza il fuoco. Estate 1957. Con una sontuosa Ifigenia in Tauride si è chiusa la stagione lirica scaligera. E’ la quinta messa in scena del duo vincente Callas-Visconti. Ancora una volta il controverso regista ha trasformato con il suo riformato metodo di immedesimazione la Callas in una vera eroina del melodramma. La scena finisce in un «quadro vivente» in stile pittura tardosettecento. La Callas per la prima volta non va d’accordo con il regista. Non riesce a inserirsi nello sfarzoso quadro statico fino al mimetismo; troppo decisa sarebbe a divenire la voce di tragedia. Ma a Visconti deve molto. L’anticonformista sensibile e brusco le insegna le espressioni, i gesti e i passi precisi per il melodramma. Trasforma il suo handicap di miopìa sul palco in una grande forza espressiva. Le insegna dove fare «i passi, passi da ballerina», oppure dove deve «camminare come su un raggio di luna». Ultimamente la loro amicizia ha subito alcuni intoppi, non da portare ad una rottura, ma disturbano il risultato estetico generale.
Mentre i critici si combattono con l’inchiostro per L’Ifigenia e gli avvocati della ditta Meneghini-Callas fanno il loro dovere, a Ischia si va a passo lento. Ischia, punto di ritrovo e di ritiro per chi si è stancato di una vita accellerata, delle luci della ribalta, dei valori falsi. Un’isola in trasformazione lenta; punto di ancoraggio per pescatori, pionieri e di chi sa vivere. Non cosí eccentrica come la sorella cangiante Capri, ma ricca di promesse. Panorami sconfinati, una macchia sempreverde tra il cielo e il blu cobalto del mare. Lo sguardo non trova distrazioni, l’occhio si risposa. Ore serene in villeggiatura. La Callas è arrivata col marito in compagnia di buoni amici. Si dedica al dolce far niente; tutto mare e relax. Gli scaligeri ci sono e ci sono stati: Toscanini, Menotti, Visconti, grande habitué dal 1947. Quando vi giunse dalla Sicilia, dove aveva girato «La terra trema», scoprì l’isola per sè e non la lasciò. Pure la Met è presente con Eberth Graf e Rudolf Gerard che frequentano la «Villa Colucci», ma qui ognuno resta per sè nel suo angolo verde. Il conte Visconti passa da sempre l’estate con i suoi amici isolani e i suoi stretti collaboratori artistici nei pressi di Forìo dove cerca una dimora. Quell’estate il primo ferryboat porta i cercatori di un arcaismo sognante a Ischia col porto dove si separano la riva destra e quella sinistra. Allora il turismo ischitano si concentrava su questi due poli. La parola «turismo » trasporta ancora una connotazione allettante e di benessere non tanto per gli ospiti di passaggio ma per gli isolani. L’acqua non c’è sull’isola. Quando c’è dopo il rifornimento idrico costa 50-60 lire al litro (costa meno caro il vino dell’Epomeo). L’elettricità c’è, però in maniera discontinua. I personaggi noti che vengono affascinati dalla bellezza di una natura incontaminata contribuiscono a rendere famoso il luogo.
Lacco Ameno, estate del 1957. La Callas è ospite nell’albergo di uno dei nuovi benefattori dell’isola. Il «Regina Isabella» di Angelo Rizzoli serve come dependance per i rappresentatati del cinema che ha scoperto Ischia come studio all’aperto grazie anche all’imprenditore lombardo, titolare della Cineriz, società produttrice dei migliori film dell’epoca. Rizzoli, che approdava ad Ischia sul vecchio dragamine «Serena» adattato a yacht da crociera, ha aperto con il suo intervento a Lacco Ameno e l’ampliamento delle terme, un primo passo verso un turismoalberghiero di grande livello. La baia della costa nord occidentale dell’isola d’Ischia non è solo un palcoscenico di mondanità, ma anche importante sito archeologico. Giorgio Buchner trova le testimonianze della cittá greca Pithecusa.
La Callas sulle rive dell’isola felice si gode la vita come tutti che si risanano in contatto con la natura. Orti, aiuole, terrazzi, agavi, pini, l’aroma dei fichi, della resina e dei gelsomini, i muli che girano sul pozzo d’acqua, tutto le ricorda la Grecia, la terra madre. L’Ifigenia, che cercò con l’anima la terra dei greci, qui, in una colonìa della Magna Grecia, la trova nel primo atto della sua vita. Passa le ore in buona compagnia; si gode i lunghi, silenziosi pomeriggi estivi sulla sedia a sdraio non stancandosi mai di predicare all’amica gli aspetti favorevoli di una vita matrimoniale con tono di sincera gratitudine verso il suo «Titta». A volte improvisa con l’amica un duetto, un’aria della Norma o della Sonnambula. Il pubblico esultante, i battibecchi col regista-amico Luca, i processi…A Ischia tutto si dissolve come in una nuvoletta bianca sull’immenso sfondo blu di un cielo aperto.
La Callas non ha più niente da temere. Ha mandato l’avversaria in esilio oltreoceano. Ha fatto “piazza pulita” su tutte le scene tra Milano, Londra e Buenos Aires. Sta per conquistare il parquet sociale e si trova già sulla stessa altezza con le dive del cinema italiano e hollywoodiano. Nel nuovo mondo è in diretto corso di collisione con gli idoli del rock, Bill Haley, Buddy Holly e quel ragazzone di Memphis che viene paragonato a lei per i cachets sproporzionati. «Ma chi si crede questa Callas» scrive la stampa eccitata di New York, «un Elvis coi capelli lunghi?». Ma la ribellione finisce in ammirazione. Come d’abitudine. La Callas non ha più concorrenti. A parte se stessa. L’unica concorrente che ha da temere è «la Maria», la donna sbocciata in lei che ha un solo pensiero, je veux vivre.
Alla piscina dello «Sporting», il fotografo Antonio Ruggieri di Napoli passa le mattine in attesa di un incontro casuale con qualche stella o stellina del cinema alloggiate al «Regina Isabella». Ma questa mattina non è una diva americana che trova sul bordo della piscina , ma la mitica sirena greca, «la Callas», ovviamente al suo primo giorno di vacanza. Il fotografo si avvicina. L’esperienza gli ha insegnato che non esistono le dive; esistono solamente donne-artiste che danno il massimo di sè fino all’esaurimento. Ruggieri vede una Callas felice. Il suo stato d’animo gli dà il coraggio di chiederle con gentilezza di potere scattare alcune foto. La Callas risponde con la stessa gentilezza, però evasiva; non dice di no. Il fotografo le propone: «Domani mattina qui?». «Va bene» risponde la Callas, «ci vediamo domani, allora. Grazie!». La mattina seguente il fotografo è in anticipo in piscina. All’ora dell’appuntamento, la Callas non c’è. Passano quaranta minuti, la «diva» non si vede. Ruggieri si rivolge al bagnino: «E’ scesa la Signora?». E il bagnino risponde in dialetto ischitano: «Chi, ‘a Callas? Se n’è juta pe’ mare cu’ ‘o Meneghini ». Ruggieri non la incontra nemmeno sulla spiaggia. E se si fosse sbagliato sul luogo dell’appuntamento? Il noleggiatore delle barche lo informa meglio: «I signori hanno preso un moscone e sono partiti subito per mare».
«Ah, ecco – pensa Ruggieri – la Signora si è dimenticata del nostro appuntamento». Con l’istinto del cacciatore in cerca della preda avvolge la «Rolleiflex» nella camicia, noleggia una barca a remi e voga, voga in direzione della baia di San Franceso. Rema finché scorge la sua sirena al largo, seduta sul bordo di un moscone, costume giallo chiaro con gonnellino, in testa una cuffia bianca, il marito al timone. Ruggieri continua a remare come un ossesso. Finalmente arriva a breve distanza e in tempo di record e con grande disinvoltura le grida: «Signora Callas! Signora Callas! Guardi le mie mani!». Per lo sforzo di remare sono arrossite che sembrano sanguinare. La Callas con un gesto spontaneo e drammatico alza le mani sulla testa e grida: «Antonio! L’appuntamento! Me ne sono scordata, perdonami!». Viene fuori il grande cuore di donna. La Callas sembra seriamente preoccupata delle condizioni delle mani del giovane fotografo.
Non finisce di scusarsi. Solo quando vede che il tutto è meno grave del presupposto si rilassa e decide subito sulla scenografia: «Antonio, faccia alcune riprese qui e poi ne facciamo altre in piscina ». Nella baia, la regina, sovrana del teatro, si trasforma in una ragazzona. Sciolta e disinvolta, addirittura insicura. Posa serena, rilassata, ma ha sempre bisogno della conferma del fotografo. Passano due ore tra bagni, pose e scene fotografiche. Quando Maria si tuffa nelle acque limpide del mare anche il fedele barboncino Toy deve seguirla in acqua. Conoscendo gli umori bizzarri della padroncina non se la prende. La diva si toglie la cuffia e scioglie, sotto lo sguardo divertito e scettico del marito, il nastro dei capelli. «Nessuno finora mi ha fotografato fuori scena con i capelli lunghi» dice al fotografo Ruggieri e con la sua cascata di capelli corre verso la doccia inseguita da Toy. Lo scoop finale va a Toy! Bagnato fradicio e tutt’ossa fa l'”eroe” sotto la doccia e «la Maria» si diverte. Scambio di complimenti e ringraziamenti. Nel congedarsi dal fotografo-gentiluomo gli dona un piccolo segno d’amicizia. È il suo nastro dei capelli. Chi l’ha osservata bene vede che ha già iniziato il suo cammino sul raggio di luna… Maria soleva dire: «La morte non esiste; esiste solo la vita e io non morirò mai».