La Sardegna, terra mistica ed arcaica, è nota ai più per le bellezze naturalistiche e paesaggistiche. Perfino gli stessi abitanti la conoscono poco sotto l’aspetto storico, che secondo l’esperienza più comune si riassume in quella che è stata la sua cultura autoctona, peculiare ed unica, ovvero la Civiltà Nuragica, tuttora testimoniata dalla presenza di innumerevoli monumenti megalitici che costellano ovunque il panorama. Nuraghi, pozzi sacri e tombe di giganti sono valide alternative alla visita delle gettonatissime e rinomate località balneari e già da tempo il turista più attento e sensibile sta scoprendo questa antica e misteriosa Civiltà, con l’intento di immergersi in un’isola che poco oltre le coste patinate, contiene preziosi siti degni di considerazione.
Ma la storia della Sardegna non si ferma alla preistoria perché a parte le parentesi puniche e romane, qui il Cristianesimo ha attecchito sin dagli albori, non solo grazie alla presenza di numerosi scali commerciali marittimi che muovevano non esclusivamente merci ma anche idee, bensì per il fatto che i primi seguaci di Cristo, se non venivano sacrificati nelle arene circensi, erano deportati in grandi masse “ad metalla”, ovvero ai lavori forzati nelle miniere della Provincia contribuendo ad accrescere il patrimonio e la potenza di Roma. Certamente in questi frangenti germogliò il seme del nuovo credo, ponendo le basi per una capillare diffusione della dottrina, che pian piano si propagò anche nelle zone più remote, sino ad una pressoché totale diffusione in periodo bizantino, quando l’Isola, entrò a far parte della sfera dell’Impero Romano d’Oriente.
Conquistata una certa autonomia con l’istituzione dei Giudicati, ovvero piccoli Regni locali, la Sardegna contava nei primi secoli del secondo millennio, circa mille centri abitati, oltre la metà dei quali andarono perduti, per una serie di cause, prima delle quali l’aspra lotta contro l’occupazione aragonese. Tutti questi villaggi, molto piccoli e composti da poche centinaia di abitanti, possedevano una o più chiese, molte delle quali non subirono la medesima sorte dell’abitato, ma furono accudite, riparate e sorvegliate dalla grande devozione che gli sfollati accolti in altre comunità, continuarono a dedicare loro. Tali chiese, diventate solitarie in mezzo al nulla, sono conosciute come chiese campestri, alle quali se ne andranno ad aggiungere numerose altre realizzate nel corso dei tempi, nate per essere vere e proprie chiese campestri, per la volontà di un devoto particolare, di una famiglia che nell’area possedeva un appezzamento, per un ex voto.
Non tutte sono giunte sino a noi, ma tra luoghi di culto tuttora officiati e ruderi, si riscontrano oltre 1300 templi rurali, ovvero una media di quasi 4 per paese. Una vera ricchezza, storica, culturale e devozionale che merita di essere raccontata e promossa, con le sue oltre mille feste, leggende e pratiche di fede che affondano le radici attingendo anche dai precedenti riti pagani. Questi monumenti raccontano la storia dei Sardi degli ultimi 1500 anni e in essi si continuano a rinnovare gli stretti rapporti delle comunità agricole e pastorali con la devozione ed il senso d’appartenenza al territorio, nonostante la campagna negli ultimi decenni sia molto meno vissuta che in passato. Piccoli e modesti gioielli, per la maggior parte espressioni di architettura minore e popolare ma non mancano esempi che conservano un prezioso carico artistico, come gli edifici bizantini e romanici, per lo più fabbricati con le pietre locali che nei vari territori offrono una peculiare gamma di consistenze e colori. Diverse anche le chiese rupestri, che hanno occupato lo spazio delle antiche domus de janas, le grotte artificiali neolitiche scavate per la deposizione dei morti. E anche altri siti archeologici, come terme e ville romane sono stati riconvertiti in luoghi di culto cristiani.
In alcune aree, come la Gallura, inoltre le troviamo sempre aperte, perché in passato assolvevano alla funzione dell’ospitalità e chiunque, sorpreso da un temporale o in cammino e desideroso di riposarsi, poteva entrare a trascorrere la notte. Nelle aree del Campidano, sono spesso corredate da loggiati che avevano la doppia funzione di riparo per i fedeli e pellegrini e di alloggio per chi in passato era impegnato nei lavori agricoli, ad esempio nel periodo della mietitura e non poteva far rientro a casa in giornata. Dunque veri presidi del territorio, che in diverse zone, specialmente in quelle centrali, si evolvono in villaggi temporanei, i cosiddetti novenari, nei quali per i nove giorni della festa in cui si celebra appunto la novena, gli abitanti del paese si trasferiscono a vivere nelle decine di case che circondano la chiesetta ed al termine delle celebrazioni, lasciano lo spazio vuoto e solitario per il resto dell’anno, per cui il visitatore che capita sul luogo, si trova immerso all’interno di un villaggio fantasma, che comunque mai dà il senso dell’abbandono o dell’incuria.
Tra le più recenti, troviamo le cappelle minerarie che hanno vissuto la breve epopea dei grandi giacimenti sfruttati tra l’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, ormai tutti dismessi. L’attività estrattiva impiegò migliaia di lavoratori e necessitò la nascita di nuovi villaggi nei quali tutti i servizi erano presenti, compreso ovviamente quello religioso. Oggi queste cappelle, in parte restaurate si trovano a testimoniare insieme ai vari edifici industriali per lo più in abbandono, quella che è stata una voce economica importante per l’Isola, che ha per certi versi concesso benessere e per altri, è stata motivo di sofferenza umana e degrado ambientale ma che opportunamente riconvertita a fini turistici potrebbe dare una nuova speranza occupazionale.
Un invito dunque, non solo ai visitatori d’oltremare ma soprattutto ai Sardi, che scoprano sempre di più il proprio patrimonio culturale e se ne innamorino affinché ne diventino strenui difensori.
Maurizio Serra*
© RIPRODUZIONE RISERVATA
*Maurizio Serra è promotore del progetto web www.chiesecampestri.it volto a censire, con la spontanea collaborazione degli utenti della rete, il vasto e semisconosciuto patrimonio nazionale delle chiese campestri.