Siamo a Laino Castello, l’antico borgo medioevale della provincia di Cosenza, abbandonato in seguito al sisma del 1982. Tutto è deserto, le case sono disabitate, le strade sono vuote, un silenzio inquietante la fa da padrone, ma a un tratto ci torna in mente la storia di questo posto, e come per magia ci sembra che il borgo si sia ripopolato.
Volgendo lo sguardo poco più in alto, vediamo che i vecchi ruderi rifioriscono e diventano uno splendido castello, con le sue possenti mura, i suoi torrioni, le sue porte, pronte ad aprirsi per accogliere la gente delle terre vicine, che in fuga dall’invasore chiede protezione. Le stesse porte che vediamo invece sbarrarsi di fronte al nemico, di fronte ai tanti tentativi di conquista che, nel corso dei secoli, il borgo subì per la sua importanza e la sua particolare posizione a strapiombo.
Si racconta che l’attacco più memorabile subito da Laino avvenne nel 1529, durante le guerre tra Francia e Spagna per la conquista dell’egemonia sull’Italia. Il capitano Simone Tebaldi Romano, conte di Capaccio al servizio dei Francesi, al comando di numerose truppe, attaccò quei territori della provincia che tenevano per gli Spagnoli, ma arrivato alle porte di Laino, all’epoca uno dei più importanti gastaldati dell’Italia meridionale, incontrò l’avversità della Marchesa Sidonia Caracciolo, donna fiera e madre tenace, esempio di fermezza e dignità.
Si racconta che durante la difesa delle terre di Senise, Fernando, il primogenito di Sidonia, cadde prigioniero di Simone Romano, il quale, vide in tale ostaggio, l’opportunità di far cadere finalmente Laino che valorosamente si difendeva; così mandò ai cospetti della Marchesa un messaggero a riferire che la vita del giovane sarebbe stata risparmiata solo in cambio del castello; la donna, all’udire queste parole, attinse a tutta la sua forza d’animo, e rifiutò di consegnare il suo regno, asserendo che la Marchesa di Laino aveva quattro figli, e se anche uno sarebbe dovuto perire gliene sarebbero rimasti altri tre disposti al sacrificio in nome dell’Imperatore. Con tali parole coraggiose per una madre, Sidonia congedò il messo; Laino e Fernando furono fatti salvi, e Simone Romano presto fu abbandonato dalla fortuna che fino ad allora lo aveva accompagnato.
Che sia realtà o frutto della fantasia, tale storia, tramandata di generazione in generazione, è ormai parte della tradizione lainese, è fonte di orgoglio, ed esempio per la popolazione.
E’ strano pensare che proprio là, dove noi ora ammiriamo gli antichi edifici, passeggiando tra i vicoli deserti del vecchio borgo, dove ora regna il silenzio e l’abbandono, un tempo si consumarono vicende storiche così cariche di eroismo, e fino a non molti anni fa, tra gli stessi vicoli, si svolgevano scene di vita quotidiana. Con un po’ di immaginazione, possiamo vedere la donna che, varcando il nobile portale della sua casa, va giù alla bottega a comprare il latte; la domenica, la gente vestita a festa che si reca a messa nella chiesa di San Teodoro, con il suo campanile merlato, o in quella cinquecentesca della Madonna delle Vergini, nella parte bassa del paese; il parroco che uscendo dalla canonica si ferma a scambiare qualche parola con i fedeli; le donne che chiacchierano dalle finestre aperte e gli uomini che, tornando dai campi, dopo una giornata di lavoro, si fermano al bar della piazza a bere con gli amici…Ma riapriamo gli occhi, e l’unico suono è lo scorrere del fiume ai piedi del paese, non c’è nessuno, solo i resti di una bellezza antica, di un passato glorioso, di una vita semplice e tranquilla, ormai andata.
Roberta De Luca
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