Fu uno dei fotoritrattisti più ricercati della prima metà del XX° secolo: originario di Oria, fece fortuna negli Stati Uniti ma lavorò ovunque: ritrasse artisti, politici, nobili, magnati e gente comune concentrando la sua ricerca tecnica e artistica sulla carica espressiva dei volti. Tra i tanti personaggi noti passati davanti al suo obiettivo Pio XII, Mussolini, Primo Carnera e Martha Graham. Una mostra e un documentario lo hanno di recente ricordato in Puglia
di Enzo Garofalo
Non molto tempo fa sfogliavo le pagine di Italians of New York, pubblicazione edita nel 1938 per il Federal Writers’ Project (FWP), progetto che – nell’ambito del roosveltiano New Deal – puntò, tramite il finanziamento di centinaia di pubblicazioni, a sostenere scrittori, giornalisti, studiosi e bibliotecari, rimasti disoccupati a causa della Grande Depressione. Il volume che avevo tra le mani era una di queste, un excursus che muovendo dal ricordo delle grandi ondate migratorie di fine ‘800 arrivava al presente raccontando figure di rilievo di italiani residenti a New York. Mi sono così imbattuto nel nome di Ralph Oggiano, un fotografo pugliese che non conoscevo, descritto nel libro come uno dei fotografi di maggior rilievo della scena newyorchese insieme ad Alfredo Valente e a Roberto Ida. Ho deciso così di cercare altre notizie sul suo conto, scoprendo che era stato molto di più e cioè una delle figure di maggior spicco della fotografia internazionale della prima metà del XX° secolo; un ritrattista ricercato e acclamato di cui Oria (Brindisi), la sua città natale, nel 2012 ha celebrato il cinquantenario della morte con Portraits of Light, mostra-convegno a cui parteciparono anche la figlia minore Aurora, giunta da New York e oggi 90enne, e le nipoti Assunta e Giovanna, figlie del fratello minore Vincenzo, ancora residenti a Oria e detentrici di un vasto archivio che contiene foto, attrezzature e anche rarissimi documenti audiovisivi. Il presente articolo racconta Ralph Oggiano in concomitanza con alcune nuove iniziative che lo hanno visto ancora una volta protagonista a Oria, dove il 19 dicembre 2021, presso la sede di Posto 55 , l’Associazione di Promozione Sociale Raìz Italiana ha proposto una nuova mostra fotografica – Saluti da New York. L’arte e il sogno di un pugliese d’America – e presentato un documentario e un opuscolo biografico-artistico. La mostra è stata quindi ripresa nel 2022 per celebrare i 60 anni trascorsi dalla morte dell’artista. C’è da augurarsi che un futuro appuntamento con Oggiano sia l’inaugurazione a Oria di un museo che custodisca i suoi numerosi cimeli e ne tramandi la memoria.
LE RADICI SALENTINE
Lo sguardo puntato dritto verso l’obiettivo e un’espressione che, seppure velata di malinconia, sa di sfida e determinazione (v. foto in alto): è l’immagine di un Raffaele Oggiano poco più che diciassettenne, che ha lasciato l’Italia per inseguire il suo sogno, perseguito con forte desiderio di rivalsa sulle sue umili origini ma non senza lacerazioni, come trasparirà negli anni dalla ricorrente presenza della figura materna nei suoi pensieri, nelle lettere alla famiglia, nei suoi scatti italiani. Nato nel 1903 da una famiglia di falegnami, anch’egli avrebbe presto seguito quel flusso migratorio che strappò milioni di persone da un’Italia che, da Nord a Sud, vacillava sull’orlo del baratro economico, avara di buone occasioni anche con i suoi figli più talentuosi. Conseguita a Oria la licenza elementare (concentrata in 4 anni sui 6 previsti) e frequentate le Ginnasiali a Francavilla Fontana, Raffaele lasciò la scuola e cominciò a studiare privatamente telegrafia superando nel 1916 un esame che ne attestava le acquisite competenze; ma una certa vocazione artistica non tardò a manifestarsi portandolo a studiare disegno e teatro, campo quest’ultimo in cui si cimentò con successo dirigendo una locale filodrammatica.
Appassionato di ginnastica, vinse un premio come ciclista e allo scoppio della Ia Guerra Mondiale tentò di arruolarsi, ma essendo troppo giovane ed esile venne respinto. Dal ’17 si trasferì a Roma e in altre città italiane lavorando come telegrafista, occupazione che nel 1919 lo vide impegnato presso la Stazione ferroviaria di Taranto. Qui, il suo rifiuto di aderire a uno sciopero, suscitò le ire dei colleghi al punto che alcuni tra i più scalmanati lo bloccarono tentando di buttarlo giù da un ponte, ma riuscì a spiazzarli e a guadagnarne il rispetto spiegando con forza di aver bisogno di lavorare per mantenere la famiglia, avendo una madre malata, un padre che tentava invano di emigrare negli Stati Uniti, due fratelli (il maggiore dei quali morì durante la Grande Guerra) e quattro sorelle. In quello stesso periodo si interessò anche di chimica e riuscì a trovare il tempo per seguire dei corsi di fotografia e di pittura, cominciando così a tracciare la linea di un brillante futuro che iniziò a profilarsi dopo la sofferta decisione di emigrare negli USA in cerca di migliori condizioni di vita per sè e per la sua famiglia che, pur da lontano, non avrebbe mai smesso di aiutare.
NEW YORK, NEW YORK!
È il 9 settembre 1920 quando per la prima volta Raffaele Oggiano mette piede a New York, la città del duro lavoro ma anche delle numerose opportunità. È appena adolescente, ma la determinazione è tanta. Una delle prime cose che fece arrivando, oltre a procurarsi un lavoro nella bottega di macellaio del pugliese Cosimo Saponaro originario di Francavilla Fontana, fu organizzarsi per studiare la lingua inglese a fine giornata, cosa che continuò a fare anche quando passò a lavorare presso un’impresa di finitura della seta. Al tempo stesso iniziò ad approfondire la tecnica fotografica nello studio di Salvatore Finocchiaro, maestro di origine italiana a cui Oggiano riconobbe un ruolo importante nel suo percorso formativo. Ma cruciali furono gli incontri con il celebre ritrattista americano Pirie MacDonald, che lo considerava un suo protégé, e con il fotografo bulgaro M. I. Boris (alias Boris Majdrakoff), anch’egli un maestro nell’arte del ritratto. Mentre frequentava il suo studio, si mantenne per un po’ scattando nudi per riviste d’arte. Nel 1921, non avendo capitale sufficiente per mettersi in proprio, aprì nel Bronx, al 2944 Third Avenue, uno studio in società con Herbert Mitchell, anch’egli allievo di Majdrakoff i cui lavori furono per entrambi il modello da cui partire alla ricerca di una propria cifra personale. Il sodalizio si protrasse per alcuni anni, seguito da quello con Roberto Ida, mentre la notorietà dello studio – grazie anche a sapienti iniziative promozionali come il lancio di un contest sul più bel profilo femminile del Bronx – crebbe in modo esponenziale assicurando a Ralph Oggiano un posto di primo piano tra i fotografi professionisti della città, come attestato dai numerosi certificati di merito e dai premi presto ricevuti sia negli Stati Uniti che all’estero, come la Medaglia d’Oro per i migliori ritratti maschili ricevuta nel 1925 all’International Salon of Photography di San Francisco, le medaglie d’oro ricevute a Liegi, in Belgio, nello stesso periodo, e una Silver Medal a Buffalo (New York) nel 1928.
Dopo il primo studio nel Bronx, Oggiano ne aprì un altro al 30 west 57th street, nel cuore di Manhattan, studio che ebbe fama incontrastata per oltre 30 anni; celebre fu anche quello al 581 di Fifth Avenue, attivo a partire dal 1935: quest’ultimo fu più volte descritto dalla stampa come particolarmente sontuoso, affollato di luci come uno teatro di posa hollywoodiano, luci di molteplici colori e intensità puntate su sfondi di varie dimensioni, tra accesori di tutti i tipi utili alla sua ”narrazione” visiva. Gli studi di New York non furono gli unici in cui svolse la sua attività: ne ebbe anche uno di grande successo in Florida, presso il Fontainbleau di Miami Beach, a quel tempo il più grande Luxury Resort del mondo, e uno a Santurce, a Puerto Rico, presso il cui Casinò tenne anche una importante mostra.
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Quella di Oggiano fu un’ascesa incredibile, soprattutto considerando che il suo primo exploit avvenne proprio negli anni della Grande Depressione: in brevissimo tempo il suo riconosciuto talento – presto affrancatosi dal modello dei maestri grazie a una personale ricerca tecnico-estetica portata avanti con determinazione – gli consentì di passare dalla realizzazione di ritratti-cartolina da 50 cents l’uno a fotografie che gli venivano pagate dai 100 ai 1000 dollari l’una (cifre di enorme rilievo per la prima metà del ‘900). Una fortuna economica che ebbe rapide e prevedibili ripercussioni sul suo stile di vita consentendogli prerogative impensabili in quel grave momento di crisi. Il suo fu un successo che i critici dell’epoca attribuirono alla sua “straordinaria capacità di utilizzare le luci”, “alla incessante ricerca di nuove forme espressive, alle tecniche non ortodosse e alla padronanza dell’obiettivo della sua macchina fotografica”. Grande fu anche l’attenzione mediatica, sia da parte della stampa generalista che di quella di settore, come ad es. i noti magazine di teatro e musica Stage, Musical Courier e Musical America, senza contare la presenza di suoi lavori in varie altre pubblicazioni legate al mondo della letteratura, della musica, della danza, del cinema. A coronamente di tale fulmineo successo giunse la nomina, mantenuta per anni, a presidente del Professional Photography Club di New York, un riconoscimento di straordinaria importanza professionale perché proveniente dai suoi stessi colleghi.
LE MOSTRE. LA BRILLANTE ESPERIENZA ROMANA
Il crescente successo, oltre ai numerosi riconoscimenti, portò con sè una serie di mostre che contribuirono a consolidarne la notorietà non solo negli Stati Uniti ma anche all’estero: infatti dopo la prima mostra tenuta nel Bronx nel 1929, ne seguirono altre tra il 1931 e il 1932 a Vienna, Berlino, Milano, Londra e Zagabria, accompagnate dall’assegnazione di prestigiose medaglie di merito. L’invito ricevuto dalla segreteria particolare di Mussolini nel 1935, portò Oggiano in Italia per una sessione fotografica con il Duce da cui ricavò un’insolita serie di ritratti del dittatore italiano spogli del rigore dell’ufficialità, dall’impronta quasi intimistica, presto finiti sulla stampa internazionale.
Le immagini del dittatore, insieme a numerosi altri ritratti del fotografo, vennero presentate nel corso di una mostra di grande successo tenutasi a Roma nello splendido Palazzo Colonna; un evento che gli valse l’attenzione di altri membri del governo fascista così come di altre figure del mondo della politica e della cultura del tempo, pronti ad affidarsi al suo obiettivo: fu il caso, tra gli altri, del conte Galeazzo Ciano, genero di Mussolini nonché Ministro degli Affari Esteri del Regno d’Italia; del segretario del partito fascista Achille Starace; del principe Piero Colonna, Governatore di Roma, e della sua consorte; del principe e senatore Ludovico Spada Potenziani; del poeta e scrittore Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista. Un’esperienza esaltante che si concluse con la visita ai familiari di Oria, in Puglia, dove fu accolto con grandi onori.
Nell’ottobre di quell’anno, sulla nave “Conte di Savoia”, Oggiano rientrò a New York insieme alla moglie e ai quattro figli che lo avevano seguito in Italia, ma pochi anni dopo sarebbe tornato a Roma per una nuova mostra di suoi ritratti che si tenne il 13 settembre 1938 nella Sala Argento del Grand Hotel in Piazza delle Terme, occasione nella quale scattò ritratti ad altri personaggi di spicco come l’ambasciatore statunitense a Roma, William Phillips. Legato com’era alla cultura delle sue radici, Oggiano colse l’occasione di quel viaggio nella Capitale per far frequentare ai figli dei corsi di lingua italiana e infine tornò in visita dai suoi amati parenti a Oria, nel cui Castello tenne per i concittadini una mostra di ritratti introdotta da una entusiastica relazione del Prof. Pasquale Marsella, storico e presbitero della sua città che, in un’intervista a Vincenzo Capparelli, direttore del giornale italo-americano Il Nuovo Vessillo, Oggiano definisce ”il mio primo caro maestro in Italia”. A settembre, lasciato il resto della famiglia dai parenti in Puglia, rientrò a New York con la speranza di tornare presto in Italia. Nuove mostre lo aspettavano in Inghilterra, Giappone e Germania, mentre a New York era prevista la sua partecipazione, tra i rappresentanti dell’Italia, alla World’s Fair del 1939.
Nel 1940, mentre si trovava a New York, tenne una grande mostra di ritratti femminili all’Hotel Barbizon Plaza rimasta memorabile: i 344 ritratti in esposizione furono un omaggio che il fotografo, con afflato femminista ante-litteram, volle rendere alla “infinità di donne intellettuali, colte e geniali scrittrici di novelle e di poesie, attrici mirabili, stelle dell’arte e del giornalismo” dichiarando di avere “un culto profondo di devozione per la donna in generale e in particolare per quelle donne elette le quali col profumo del loro intelletto e del loro cuore, molto hanno contribuito al movimento sociale, culturale ed artistico e, quindi, al progresso e alla civiltà” degli Stati Uniti. Dello stesso anno è anche la mostra di ritratti di danzatori alla Kamin Dance Gallery e quella di ritratti dei critici teatrali di New York all’Algonquin Hotel.
Durata più del previsto la permanenza di Oggiano negli Stati Uniti, ai primi venti di guerra la moglie Adele si trasferì con i figli a Roma presso alcuni parenti che abitavano nei dintorni del Vaticano. Si rivolse quindi al padrino della figlia minore, ambasciatore negli USA, affinché li aiutasse a lasciare l’Italia visto il pericolo derivante dal loro status di cittadini americani. Adele e la bambina più piccola partirono per prime, mentre i figli più grandi dovettero aspettare altri due mesi, in attesa dei documenti necessari, dopodiché si imbarcarono da Lisbona accompagnati da un medico e da un’infermiera.
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Oltre ai due menzionati viaggi in Italia, dai documenti in possesso della famiglia Oggiano a Oria emerge notizia di un terzo viaggio del fotografo nel nostro Paese correlabile a una mostra di ben 50 ritratti tenutasi a Napoli tra il 1952 e il 1953 presso la Mostra d’Oltremare; da questa occasione espositiva scaturì un importante riconoscimento successivamente consegnatogli in America dall’ambasciatore italiano: una pergamena emessa dall’Ente Autonomo Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo, conferita a Ralph Oggiano “quale riconoscimento del prezioso contributo dato alla organizzazione della Prima Mostra Triennale sul Lavoro Italiano nel Mondo”; un tributo che – come aggiunse l’ambasciatore al momento della consegna della pergamena – riconosceva in Oggiano l’italiano più apprezzato al mondo nel campo della sua arte. Dei suoi primi viaggi in Italia resta infine notizia di un’altra importante circostanza, sempre legata alla fotografia, ossia l’incontro con Papa Pio XI al quale fece un ritratto di cui purtroppo si sono perse le tracce, ricevendone in segno di ringraziamento un prezioso anello in oro bianco e onice nera che il fotografo portò al dito per tutta la vita, lasciandolo poi al figlio Ralph jr. che a sua volta lo destinò in eredità alla sorella Gloria, sposata col celebre arbitro di box Arthur Mercante Sr. Tra le numerose altre mostre tenute nell’arco della sua vita possono ricordarsi anche quelle organizzate con grande successo nel 1942 in Florida al Palm Beach Biltmore e nel 1952 presso le Art Association’s Galleries di Hamilton, nelle Isole Bermuda, dove tenne anche due conferenze, una rivolta ai fotografi professionisti del luogo, l’altra a tutto il pubblico.
IL VOLTO IN OGGIANO, FRA PITTORIALISMO E SPERIMENTAZIONE
Ritrattista nell’arco di tutta la sua carriera, il volto umano è l’elemento iconico assoluto della produzione di Ralph Oggiano. Una scelta estetica ed espressiva che, ad osservare la sua vasta produzione, egli declinò in maniera multiforme, e questo la sottrae a una possibilità di definizione univoca.
Se da un lato infatti una parte della sua produzione (ad es. la serie di “madonne” di chiara ispirazione pittorica), è accostabile agli esiti della tradizionale corrente del Pittorialismo, che mirava a plasmare il prodotto fotografico secondo il modello ”alto” di una pittura di stampo pre-impressionista, diversamente dai pittorialisti della prima ora egli non riteneva che la fotografia fosse priva di autonome potenzialità artistiche, ma al contrario riconosceva al fotografo la possibilità di sperimentare e di offrire una propria ”lettura” del soggetto facendone emergere la personalità col supporto di un sapiente uso della luce – in grado di esaltare le linee e le espressioni dei volti – e anche del colore. Non è un caso che fosse conosciuto con l’appellativo di “psicologo della fotocamera”.
Nonostante abbia operato quasi sempre su commissione, non si limitò dunque a produrre delle immagini esteticamente gradevoli, volte a fissare il soggetto in una dimensione sognante e atemporale, ma puntò a catturarne l’anima, e ciò lo colloca a mio avviso in una prospettiva di grande modernità sebbene la sua attenzione non fosse rivolta a quegli aspetti della realtà contemporanea indagati invece da autori come Dorothea Lange o Walker Evans, interpreti della cosiddetta straight photography, cultori cioè dello scatto puro e attenti alle questioni sociali. In una conferenza tenuta nel 1940 a New York presso l’Abe Cohen’s Photographic Auditorium, Oggiano sottolineava l’importanza di far emergere “il carattere individuale del soggetto”, fosse esso un presidente, un re, un principe, un banchiere, un dittatore o una persona comune. Un risultato ottenibile solo instaurando il giusto feeling con la persona, usando “scientificamente” le luci e concentrandosi a “catturare l’espressione del soggetto al momento giusto”, nel rispetto dell’individualità di ciascuno. Inoltre – aggiungeva – “non dovrebbe essere necessario ripetere uno scatto fotografico. Un buon fotografo, con una buona conoscenza del suo lavoro, dovrebbe essere in grado di trasformare ogni scatto in un capolavoro”.
Moderni furono anche il suo approccio alle implicazioni tecniche del mestiere – imponendosi, nel campo della ritrattistica in studio, quale vero e proprio pioniere nell’uso delle luci, oltre ad essere particolarmente esigente nella scelta delle lenti, anticipando criteri ancor oggi validi – e il suo gusto per la sperimentazione nella composizione, aspetto della sua produzione oggi non ancora considerato: alcuni suoi particolari lavori non possono non essere accostati a certe soluzioni “visionarie” che ritroviamo in fotografi dediti alla sperimentazione come ad es. il tedesco Erwin Blumenfeld.
Anche certe tecniche di stampa a colori di sua invenzione, applicate al ritratto – David S. Shields, illustre docente della South Carolina University, in un suo saggio lo ha definito “un maestro della stampa a colori e il primo ad usarla ampiamente nella ritrattistica a Broadway” – , sono a mio avviso da ascriversi più a un vivace desiderio di sperimentare che non ad una sua presunta subordinazione alla pittura, la quale – come per tanti maestri riconosciuti della fotografia – più che un diktat ideologico fu una fonte di ispirazione derivante da una vasta conoscenza della storia dell’arte.
Tale conoscenza è attestata dai resoconti di seguitissime lezioni, collettive e individuali, “sull’Arte della Fotografia” che su invito di vari club Oggiano tenne fin dal 1927 sia per fotografi professionisti sia per semplici amatori; attività divulgativa e didattica che poi consolidò nella Oggiano Academy of Photographic Art, presso il suo studio sulla 57a Strada e che nel 1953 approdò anche in Canada, alla Convention and Photographic Show P.O.A.P.Q. di Montreal, dove fu accolto come una star. Sulla tecnica del colore sviluppata da Oggiano, c’è da riportare un episodio significativo in merito alla sua capacità di fare innovazione: risulta da fonte certa che fu contattato dalla celebre azienda Eastman Kodak Co. allo scopo di proporgli la vendita dell’invenzione che lo aveva reso famoso, proposta che il fotografo respinse al mittente preferendo non divulgare la sua tecnica.
Volendo inquadrare esteticamente la fotografia di Oggiano e osservando l’evoluzione negli USA del medium fotografico agli inizi del ‘900, può dirsi che quando egli approdò a New York, il Pittorialismo – grazie a fotografi come Alfred Stieglitz e al gruppo della rivista Camera Work – aveva già cambiato progressivamente pelle rinunciando a simulare la manualità pittorica per cercare sempre più un’espressività propria del linguaggio fotografico, senza peraltro interrompere il dialogo con gli altri linguaggi artistici. Fu una fase di sviluppo del dibattito sulla fotografia da cui – come scrive la ricercatrice Samantha Marenzi – prese corpo la fotografia ”modernista” – attenta a studiare “la composizione, la luce, l’astrazione delle forme, le tecniche artigianali di stampa e anche le possibili destinazioni commerciali della fotografia (riviste, pubblicità, illustrazioni di libri)”. Ed è proprio nell’onda lunga di questa fase che, a mio avviso, sono inquadrabili i lavori di Oggiano, ascrivibili a una fotografia di ricerca che, lungi dal negare potenzialità artistica all’uso della fotocamera, vedeva il fotografo impegnato a indagarne, in varie direzioni e con approccio autoriale, le possibilità espressive.
Sebbene il lavoro di ritrattista – grazie all’eco internazionale riportata e a una clientela tra le più prestigiose e agiate – abbia indubbiamente rappresentato per Oggiano una rilevante risorsa economica e un’opportunità di ascesa sociale, egli mantenne sempre nei confronti della fotografia un approccio di sincera passione e dedizione: “Qualunque lavoro si intenda fare, sia esso un ritratto dipinto o arte fotografica – spiegò durante la già citata conferenza newyorchese del 1940 –, occorre lavorare duramente e con un interesse sincero. Ricordiamoci che artisti si nasce; la tecnica può essere acquisita con un lavoro costante, ma la propensione per l’arte è un qualità dell’anima. L’arte bisogna amarla con tutto il proprio essere. Quando l’artista dà tutto ciò che ha, tutto ciò che sente, quando egli traduce con sincerità la sue più profonde emozioni, egli può produrre qualcosa di bello anche con una tecnica inferiore, perché nell’arte c’è qualcosa in più della tecnica…, l’anima, il sentimento”. Come ha ben sintetizzato la critica d’arte Manuela Gandini in occasione della mostra di Oria del 2012, “Ralph Oggiano amava profondamente il genere umano e ne volle trarre il meglio, ecco perché tutti cercavano di avere un ritratto realizzato da lui”. Mentre infatti i fotografi della Grande Depressione puntavano a documentare le più crude condizioni umane del momento, “Ralph Oggiano – aggiunge Gandini – scelse invece di dedicarsi a rappresentare il bello, proprio come Matisse che durante la Seconda Guerra Mondiale, anziché rappresentare i drammi bellici, decise di lavorare sulla bellezza, sull’armonia e sul colore”.
IL RITRATTISTA DI ARTISTI, INTELLETTUALI, POLITICI E GENTE COMUNE
“Oggiano ha raffigurato quasi tutti i volti umani: il milionario e il mendicante, il divo del cinema e il mercante, il bambino aristocratico e il monello – ciascuno con quelle personali caratteristiche che solo lui sa far emergere dando ad esse eccezionale risalto”: così scriveva nel novembre del 1952 Vittorio de Fiori sul periodico in lingua inglese Italamerican, volendo sottolineare la trasversalità dei soggetti rappresentati da Oggiano, persone con le quali il fotografo riusciva inoltre ad instaurare puntualmente un rapporto di grande confidenzialità. Oltre ai personaggi già citati, spulciando le pagine dei giornali del tempo o altre pubblicazioni contenenti uno o più ritratti da lui realizzati, si scopre come la sala di posa di Oggiano sia stata frequentata davvero da tutti: dai politici agli alti magistrati, dai critici teatrali e letterari agli attori e attrici di cinema e teatro, dagli esponenti del mondo della danza alla gente comune.
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Eccone una breve rassegna: dai sindaci di New York Fiorello La Guardia, Vincent Impellitteri e Robert E. Wagner jr. al pugile Rocky Marciano, dall’idolo del cinema muto Conrad Nagel alla danzatrice e coreografa Ruth St. Denis, che definiva Oggiano “il Rembrandt della fotografia”, dalla stilista, scrittrice, attrice ed ereditiera Gloria Vanderbilt al grande coreografo George Balanchine; e poi ancora il famoso speaker radiofonico della CBS H. V. Kaltenborn; il primo direttore della School of American Ballet Vladimir Dimitriew e la maestra di danza Dorothie Littlefield; il violinista Albert Spalding; il ballerino di flamenco José Greco; l’attrice cinematografica Blanche Yurka, convinta che lo charme e il talento di Oggiano potessero “fare miracoli per chiunque”; il tenore italiano Tito Schipa, che nel ’38 incontrò Oggiano a Oria e nel ’47 a New York; l’attore, giornalista sportivo e conduttore Bill Stern; l’attore portoricano Juano Hernandez, la pittrice Mary Lee Abbott; l’attrice Celeste Holm; la famosa imprenditrice dei cosmetici Helena Rubinstein; la celebre attrice comica Lucille Ball; l’attrice premio Oscar e moglie di Paul Newman Joanne Woodward; il musicista e attore Harry Belafonte; l’attrice italiana Caterina Boratto; il cantante jazz William Clarence “Billy” Eckstine; il wrestler Antonino Rocca; il drammaturgo, regista, attore e produttore Max Reinhardt; il principe Felix di Lussemburgo; il compositore Sholom Secunda; il cantante Vic Damone; il celebre pianista e attore Liberace; May Lamberton Backer, celebre autrice per 40 anni di “The Reader’s Guide” rubrica letteraria del New York Evening Post, della Saturday Review of Literature e del New York Herald Tribune; il famoso critico teatrale del New York Times, Justin Brooks Atkinson; il critico teatrale, giornalista del Louisville Courier-Journal e docente universitario di Storia del Teatro John Mason Brown; lo scrittore e giornalista Ben Lucien Burman; il critico Henry Seidel Canby, editor della Literary Review del New York Evening Post nonché uno dei fondatori della Saturday Review of Literature; la scrittrice di romanzi e racconti Fannie Hurst; il critico teatrale Robert Burns Mantle, fondatore del periodico Best Plays; il critico teatrale George Jean Nathan, considerato il più importante critico teatrale americano del suo tempo, ideatore di standard critici ancora seguiti; lo psicologo e sociologo Harry Allen Overstreet, autore di best-seller; la storica dell’American Ballet, autrice del Dancer’s Almanac e who’s who (1940) Ruth Eleanor Howard, della quale Oggiano fu fotografo ufficiale, e numerosi altri. Nel suo vastissimo portfolio non mancarono persone comuni di tutti i ceti sociali.
FAMIGLIA E VITA SOCIALE
Nell’estate del 1925 Ralph aveva sposato Adele Papaleo, nata nel Bronx nel 1907 da una famiglia calabrese molto numerosa originaria di Savelli (Crotone), e da lei ebbe quattro figli, Assunta, Gloria, Ralph jr. e Aurora, ai quali fece impartire fin da piccoli lezioni private di lingua italiana. Sempre nel Bronx (prima a Southern Boulevard, poi al 274 Bonner Place e infine al 395 East 151 Street) risiedette a lungo con la famiglia a non molta distanza dal suo primo studio fotografico. Ma la sua residenza più sontuosa, segno tangibile del successo economico e anche della posizione sociale raggiunti, fu senza dubbio la villa di Pelham Manor (985 di Peace Street). Ubicata in un prestigioso centro residenziale a nord di Manhattan, era appartenuta a un Vanderbilt e successivamente allo scultore Getulio Piccirilli (uno dei sei celebri fratelli toscani che negli Stati Uniti realizzarono importanti monumenti pubblici). Era completamente arredata con mobili e oggetti d’antiquariato, oltre a due pianoforti, e qui Oggiano ebbe modo di esprimere tutta la sua abilità nel coltivare le pubbliche relazioni ospitando spesso personalità eminenti del mondo della cultura, della politica, della musica e dello spettacolo, attratte dal suo carisma quasi magnetico e deliziate dallo spirito di elegante accoglienza dell’intera famiglia Oggiano. Nel 1947 vi fu ospite, tra gli altri, il celebre tenore leccese Tito Schipa che egli ritrasse e che a maggio di quell’anno tenne un’acclamatissimo concerto alla Carnegie Hall di New York. In questa splendida casa – tuttora esistente – Ralph trascorse diversi anni della sua vita prima di trasferirsi nuovamente nel Bronx – al 4499 Henry Hudson Parkway West e poi a Riverdale – e infine nella località turistica delle Catskill Mountains, a un’ora e mezza da New York, dove prese in affitto un appartamento ed ebbe uno studio fotografico presso il Concord Resort Hotel. Là trascorse con la moglie gli ultimi due anni della sua vita scomparendo improvvisamente a 59 anni il 6 aprile 1962. Come emerge dalla corrispondenza inviata ai familiari in Italia, l’ultimo periodo della sua esistenza non era stato dei più felici e pertanto forse non privo di conseguenze sul suo stato di salute: nell’ottobre del 1956 “un tragico incendio”, come egli stesso lo definisce in una lettera indirizzata al cognato Albino, marito della sorella Cosimina, aveva distrutto il suo famoso studio sulla 57a strada, nel centro di Manhattan, provocando la distruzione dei suoi “migliori capolavori a colori” e costringendolo, con enorme dolore, a chiuderlo “per sempre, dopo 37 anni di servizio”; un incidente gli aveva invece provocato la grave frattura di un braccio, ricomposto con un complesso intervento chirurgico che non gli risparmiò successive difficoltà fisiche nello svolgimento del proprio lavoro; e infine, nel 1961, cioè l’anno prima della sua stessa morte, la notizia della scomparsa di sua madre, con la quale ebbe un viscerale legame d’amore per tutta la vita, gli avrebbe assestato il colpo più duro.
Nel compiere il suo salto sociale da emigrante povero a interlocutore privilegiato della high society e dell’intellighenzia di mezzo mondo, Ralph Oggiano non si dimenticò mai dei genitori, Pasquale e Assunta, e degli altri familiari rimasti in Puglia. Già pochi anni dopo il suo arrivo negli Stati Uniti comprò alcuni ettari di terreno nei pressi della vecchia casa di famiglia a Oria e fece avviare a sue spese la costruzione di una bella villa in stile eclettico regalandola ai genitori e ai fratelli, la stessa casa in cui oggi abita Assunta una delle figlie del fratello Vincenzo, anch’egli fotografo. A lui Ralph aveva lasciato molte delle attrezzature fotografiche degli esordi e inviato molta parte di quel materiale d’archivio che, insieme a diverse altre fonti, ci ha consentito di ricostruire, sia pure a grandi linee, la sua vicenda umana e professionale. Come ci mostrano alcune foto private, le poche volte in cui Ralph ebbe modo di tornare dai suoi a Oria, riuscì – una volta dismessi gli abiti della ”star” internazionale – a riappropriarsi di quella dimensione semplice e schietta, tipica della realtà paesana che aveva vissuto da ragazzo e che, nonostante tutto, continuava a portarsi dentro.
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SONETTO ACROSTICO su RAFFAELE OGGIANO
Risaltano le tue fotografie,
Artista sommo oriundo di quel lido
Famoso ch’è di geni ìncliti nido
Fin dai primordi e cinto è di malie.
Alle luci dai spirto ed alle ombre;
Ed io che so quanto tu segui fido
Le vie dell’arte, qui nei versi incido
E canto
Oggi il tuo nome e in dolci melodie.
Giganteggi nell’arte, ché nei visi
Grazia divina infondi e vi rifletti
Il vero come la natura esprime.
Ai tuoi modelli nobili e precisi
Nulla più manca, e a molti allievi eletti
Ora tu insegni il tocco tuo sublime.
Rodolfo Pucelli, New York 17 gennaio 1949
BIBLIO-EMERO-SITOGRAFIA:
American photography, v.34 1940, American Photographic Pub. Co., New York
AA.VV., Camera: A Practical Magazine for Photographers, Volume 46, Columbia Photographic Society, New York, 1933
Archivio Oggiano, di Assunta e Giovanna Oggiano, Oria (Brindisi)
Oggiano Archive, of Laura Di Lanciano Carricato, New York
Michel Auer, Auer index, Encyclopédie internationale des photographes, Editions Camera obscura, Hermance (Switzerland), 1992
Broadway Photographs website (www.broadway.cas.sc.edu)
Dance, v.7, no.1-6 (1939-40), Tempo Magazines, New York
Dance Observer, v.4-7 1937-1940, v.7 no. 3-10, 1940, New York
Vittorio de Fiori, The great Oggiano. The man, the artist, the leader, in Italamerican, pag. 5-6, novembre 1952
Jennifer Dunning, “But first a school”: the first fifty years of the School of American Ballet, Viking, New York, 1985, pp. 242
A. H. Eskind, G. Drake, K. Ringger, L. Rumney, International Photography: George Eastman House Index to Photographers, Collections, and Exhibitions, Volume 3, G.K. Hall, Boston, 1998, pp. 2145
David Ewen, Living musicians, H. W. Wilson Co., 1940, New York
Exhibitions in New York, in Parnassus, pag. 51-52, vol. 12, 1940, College Art Association, New York
Federal Writers’ Project (FWP), Italians of New York, Random House, NY, 1938, pp. 241
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