di Enzo Garofalo
Se il titolo rimanda al mondo della Beat Generation, la Suite per orchestra e quintetto jazz Rava on the road presentata lo scorso 18 luglio al Petruzzelli di Bari nell’ambito del ciclo Downtown Stories è piuttosto per il suo autore – il grande trombettista jazz triestino Enrico Rava – una metafora di quella “strada” della creatività musicale condivisa con chi lo ha accompagnato in 50 anni di carriera: che siano i musicisti saliti sul palco a suonare con lui oppure i tantissimi autori ed esecutori che hanno alimentato e stimolato il suo immaginario musicale.
Il rapporto con la Beat Generation è più che altro il respiro di un’epoca da Rava vissuta in prima persona (“sono contemporaneo di tutto”, dice dall’alto dei suoi 74 anni portati da dio) che non espressione di un legame diretto dei ‘ragazzi selvaggi’ di Burroughs e Keruack con il jazz che – spiega Rava – a loro interessava poco, presi com’erano più che altro dai personaggi, dalla droga, dai locali in cui si faceva la musica che non dalla musica stessa. Ed è appunto quell’epoca, con i suoi protagonisti, ad aver ispirato il balletto ‘Ragazzi selvaggi’ coreografato nel ’96 da Robert North a Rovigo, uno spettacolo per il quale fu appunto chiesto a Rava di scrivere le musiche. E lui, da artista versatile qual è, ha accettato questo lavoro da cui sarebbe poi stata ricavata la Suite presentata a Bari e, prima ancora, al Jazz Festival di Torino 2013 con l’Orchestra Sinfonica del Teatro Regio.
Per Rava, lavorare con un’orchestra sinfonica è stata una vera sfida, intrapresa con grande senso di responsabilità, conscio che in tal caso il fulcro del progetto risiedeva nella musica scritta e non nell’improvvisazione, ma soprattutto consapevole delle potenzialità espressive che gli ha offerto l’avere a disposizione tutta per sé un’intera orchestra. Condizioni e opportunità di cui Rava ha fatto ottimo uso producendo pagine di musica che ripercorrono con originale creatività, leggerezza allusiva ed eleganza di stile la musica del Novecento che più lo ha entusiasmato.
Ecco allora rimandi a Leonard Bernstein e Bernard Herrmann per la parte più strettamente orchestrale, ma anche l’evocazione di momenti salienti della musica e della vita più scapigliate del Novecento: da Jimi Hendrix ai figli dei fiori, dai club newyorkesi al grande raduno di Woodstock. Diversi, coinvolgenti e ben amalgamati con la parte orchestrale gli inserti jazzistici, che Rava ha condiviso da par suo con gli altri quattro eccellenti membri del quintetto: Roberto Cecchetto alla chitarra, Stefano Senni al contrabbasso, Zeno De Rossi alla batteria e il ventisettenne Giovanni Guidi, artisti con i quali l’intesa è praticamente assoluta. Del resto Rava – per sua stessa ammissione – sceglie i propri partner sulla base della loro capacità di armonizzarsi con lui e con la sua musica senza peraltro rinunciare alle loro personalità individuali che in questo, come in altri casi, sono tutte molto forti.
Come forte e ricca è la “personalità” orchestrale impressa alle scelte compositive di Rava dagli arrangiamenti di Paolo Silvestri (“il mio co-autore”, lo definisce il trombettista) che per l’occasione ha anche diretto l’Orchestra del Teatro Petruzzelli, valorizzandone al meglio le indiscusse doti di versatilità artistica e dimostrando – a chi ancora sottovalutasse questo aspetto – quale determinante peso abbia la figura del direttore nel far emergere tutta la carica espressiva di una composizione.