Breve excursus sulle raffigurazioni di Reggio Calabria e dello Stretto di Messina realizzate dal grande pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio. Dai primi disegni, ispirati alla visione reale dei luoghi, ai dipinti
di Redazione FdS
Forse non tutti sanno che il grande pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569) – autore di opere celebri come La Grande Torre di Babele, il Banchetto Nuziale, I Cacciatori nella Neve e Danze di Contadini – tra la fine del 1551 e gli inizi del 1552 partì per il suo viaggio in Italia, ponendosi così tra gli antesignani del Grand Tour, ossia di quel viaggio di formazione che per qualche secolo vide nobili colti, artisti e letterati far tappa obbligata nella nostra penisola, considerata patria delle Arti e del Bello. È probabile che Bruegel abbia intrapreso quel viaggio su invito dell’incisore ed editore di stampe Hieronymus Cock di Anversa, al quale si deve anche l’accostamento del pittore alle opere di Hieronymus Bosch. Non è noto l’esatto cronoprogramma del viaggio, ma una serie di disegni (e anche di dipinti successivi, tratti dagli stessi) riconducibili a quella esperienza o ad essa ispirati, hanno permesso di identificare diverse delle sue tappe, lungo una direttrice che lo portò da nord a sud dello Stivale. Tra le località meridionali un posto di rilievo occupano sicuramente Napoli e Reggio Calabria. Per quanto riguarda in particolare l’antichissima città calabrese affacciata sullo Stretto di Messina, essa fu fonte di uno dei suoi dipinti più celebri, noto come il Trionfo della morte, oggi custodito al museo spagnolo del Prado. Tale opera, di cui vi abbiamo già parlato nel 2014, mostra un’apocalittica visione di Reggio Calabria devastata dall’incursione turca del 1552, episodio storico al quale l’artista ebbe la ventura di assistere in prima persona rimanendone impressionato al punto da riprendere quel tema anche in altre opere successive. La tela, del 1562, si rifaceva a schizzi realizzati dal vero dieci anni prima, uno dei quali – raffigurante lo Stretto con la città in fiamme a causa del saccheggio del 1552 messo in atto dai pirati Ottomani capeggiati da Dragut – è oggi conservato in Olanda, al Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam.Abbiamo scelto di parlarvi di questo disegno oltre che per il suo valore storico, soprattutto perché – come scrive Daniele Colistra, ricercatore dell’Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria, nel volume “Landscape in progress” (Gangemi 2016) – la maggior parte dei disegni di viaggio, realizzati tra il XVI e il XVIII secolo da viaggiatori dell’Europa centrale e aventi come soggetto lo Stretto di Messina, trassero ispirazione proprio da esso, sebbene in quelle riedizioni artistiche del tema non mancasse l’aggiunta di elementi immaginari o mitologici. In realtà anche il piccolo disegno a penna di Brugel – secondo il prof. Colistra -, offre una rappresentazione in parte trasfigurata dei luoghi mostrandoci lo Stretto come una sorta di largo fiume serpeggiante tra promontori prospicienti l’opposta sponda, al centro del quale si intravede una nave con le vele ammainate. Sul fondo, dalla città cinta di mura fortificate e sovrastata dalle alture preaspromontane, si levano alte fiamme, mentre su un promontorio, a destra della scena, due figure umane assistono disperate alla devastazione in atto. Fanno loro da contraltare altre figure affacciate sulla sponda siciliana, evidentemente attirate dalle fiamme e dalle colonne di fumo. Si ritiene che la scena possa essere stata ritratta dal promontorio di Calamizzi (l’antico Pallantiòn, presso il quale vi era la foce del fiume Apsìas, l’odierna fiumara Calopinace), sprofondato in mare circa dieci anni dopo il passaggio di Bruegel. Nel caso di questo disegno però, più che la fedeltà all’assetto dei luoghi – ritiene Colistra – Bruegel sembra perseguire la rappresentazione di un evento cruento in un luogo mitico, quale per lui era innanzitutto lo Stretto di Messina. Eppure il caso ha voluto – conclude lo studioso – che questo schizzo, le cui acquarellature sono attribuite al seicentesco Claude Lorraine di cui compare scritto il nome sul verso, diventasse una sorta di modello per tutti coloro che nel tempo vollero raffigurare lo Stretto di Messina, in molti casi senza averlo mai visto dal vero: tra i numerosi autori Colistra cita Frans Huys, Georgius Hofnaglius, Gabriel Bodenher, Vincenzo Maria Coronelli, Daniel Meissner, Thomas Salmon e George Balthasar.
REGGIO CALABRIA, LO STRETTO E LA ‘MANO’ DI BRUEGEL IN UN’INCISIONE DI HUYS
E proprio al citato artista fiammingo Frans Huys si deve un’altra immagine dell’estrema punta della nostra Penisola: si tratta di una sua incisione del 1561, commissionata dal mercante e pittore Cornelis van Dalem, stampata da Hieronymus Cock e tratta da un disegno perduto di Bruegel il Vecchio, nel quale è raffigurata una battaglia navale nello Stretto di Messina (si suppone tra pirati turchi e regolari milizie difensive, ma mancando riferimenti espliciti in proposito, altri hanno ipotizzato si possa trattare di un’allusione all’attacco della flotta Cartaginese contro la Sicilia dal 264 al 262 a.C.), scena i cui dettagli topografici in questo caso evidenziano più marcatamente una conoscenza diretta dei luoghi. Bruegel raffigura l’intero Stretto offrendone una veduta a volo d’uccello da nord; sulla destra c’è Messina con il suo porto e, in lontananza alle sue spalle, troneggia l’inconfondibile sagoma dell‘Etna raffigurato in eruzione (“horrendum nocturnis ignibus Aetna” si legge nel cartiglio in basso a destra); sulla sinistra, estrema propaggine del territorio peninsulare c’è Reggio Calabria, il cui nome viene indicato sull’incisione in una forma in uso nella lingua volgare cinquecentesca, ossia Rezo (in questo caso l’iscrizione nel cartiglio ricorda come, muovendo dal versante calabro un tempo imperversasse nello Stretto la mostruosa Scilla e come in epoche ancora più remote in questa terra, fratturatasi dopo un forte scuotimento sismico, il baratro avesse accolto le acque del Mar Jonio). Questa incisione è anch’essa conservata in Olanda, al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, ma ne esistono altri esemplari in vari musei essendo stata ristampata più volte.
UN DISEGNO IN AMERICA
Un altro disegno firmato da Bruegel il Vecchio, raffigurante ad inchiostro su due fogli lo Stretto di Messina, viene segnalato come opera custodita in una collezione privata degli Stati Uniti sul sito contenente il catalogo generale dell’artista curato da Elizabeth Honig, studiosa dell’università del Maryland. È probabile si tratti di una copia di uno schizzo realizzato dall’artista in Italia. L’identificazione geografica viene indicata col punto interrogativo, ma è altamente plausibile che si tratti dello Stretto calabro-siculo considerata la tipica forma del porto della città ritratta sulla destra, che sembra coincidere con quello di Messina, e anche l’assetto dell’immediato entroterra.
REGGIO CALABRIA E LO STRETTO NEI DIPINTI DI BRUEGEL IL VECCHIO
Oltre che nel già citato Trionfo della Morte (c. 1562) custodito al Museo del Prado, gli studiosi hanno intravisto il paesaggio dello Stretto con le città di Reggio e Messina anche nel dipinto La Caduta di Icaro, un olio custodito al Musées Royaux del Beaux-Arts di Bruxelles realizzato nel 1558 circa. Nel riprendere il noto soggetto mitologico l’artista ha dato vita ad un’opera che non ha mancato di suscitare controversie interpretative, posto che il personaggio protagonista del titolo – cioè il giovane figlio di Dedalo che con le sue ali di cera osò, insensatamente ed eroicamente, sfidare i limiti posti all’uomo dalla natura e dagli dei -, non ha alcuna centralità nel dipinto e non è riconoscibile se non attraverso un paio di gambe che s’intravvedono tra i flutti mentre il corpo scompare nel mare tra l’indifferenza di tutti gli altri personaggi presenti: il contadino che ara, il pastore col suo gregge e il suo cane, il pescatore intento a pescare. Una versione atipica del mito una delle cui interpretazioni più affascinanti è senza dubbio quella che nell’apparente irrilevanza di Icaro agli occhi degli altri personaggi ravvisa una metafora della meschina indifferenza del mondo nei confronti dell’altrui sofferenza o verso l’anelito di taluni ad elevarsi oltre i limiti comunemente accettati. In questa sede però, la nostra attenzione vuole soffermarsi principalmente sull’ambientazione: da questo punto di vista, secondo alcuni studiosi, tra cui lo storico dell’arte belga Valentin Denis, si tratterebbe di una veduta dello Stretto di Messina, visitato da Bruegel nel 1552 e ripreso anche nei disegni descritti in precedenza.
La città che si intravede sulla sinistra viene comunemente identificata con Messina, per cui la scena rappresentata sarebbe una visione a volo d’uccello da sud verso nord, ma a nostro avviso si tratta di Reggio Calabria perché il lembo di terra emersa raffigurato sulla destra non può che essere l’assetto antico di quella che ancor oggi si chiama Zona Falcata, ossia il porto naturale di Messina ancora privo di molte delle strutture edificate nei secoli successivi, senza trascurare il fatto che non esistono formazioni geologiche simili davanti alla costa reggina; inoltre, se si trattasse di una visione da sud, sarebbe incongrua la posizione del sole in fase di tramonto sullo sfondo (ben visibile nelle immagini fotografiche ad alta risoluzione), mentre invece risulta plausibile se si considera un orientamento della veduta da nord verso sud-ovest; in tal modo anche i tratti montuosi visibili sullo sfondo potrebbero identificarsi con parte del profilo siciliano a sud di Messina. In sintesi riteniamo che occorra considerare questa veduta come una rilettura dei luoghi in chiave mitica, in armonia con il soggetto trattato; una visione trasfigurata nella quale il pittore ha voluto ricondurre il paesaggio dello Stretto come a una sorta di “verginità” primigenia, effetto ottenuto riducendo all’essenziale la presenza di strutture edificate dall’uomo: così, a destra, la Falce del porto naturale di Messina è niente più che una ricurva lingua di terra con sparuti edifici nel tratto finale, mentre delle strutture fortificate della città non si intravvedono che le sagome immerse in una sorta di bianca foschia; invece la massa rocciosa che a sinistra precede la città di Reggio, è munita di una grotta, e svetta su due rocce più piccole, è leggibile come una riedizione fantasiosa del mitico scoglio di Scilla nel cui antro viveva la mostruosa creatura che dominava lo Stretto insieme all’altrettanto mostruoso gorgo marino chiamato Cariddi. La conferma la si ha osservando l’incisione di Huys tratta da un più realistico disegno perduto di Bruegel (vedi foto a centro pagina) in cui la rupe di Scilla è visibile in primo piano a sinistra lungo il tratto di costa che precede la città di Reggio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA