CALABRIA | Reggio Calabria nella cupa visione pittorica di Pieter Bruegel il Vecchio

Thetriumphofdeath - Part.

Pieter Bruegel il Vecchio – Particolare del dipinto Trionfo della Morte, c. 1562 – Museo del Prado, Madrid – Image in public domain

di Redazione FdS

Provando ad immaginare una visione cupa e lugubre di Reggio Calabria e dello Stretto di Messina,  la prima cosa che verrebbe in mente sarebbe certo quella di associare i due luoghi alle decine di immagini ad incisione che circolarono per l’Europa all’indomani del sisma devastante del 1783 oppure alle centinaia di fotografie relative all’analoga catastrofe che si abbattè sulla città nel 1908, in entrambi i casi con parecchie migliaia di vittime (fra le 50 mila del primo e le 120 mila del secondo, divise fra Calabria e Sicilia). Del resto come scrisse il poeta Giovanni Pascoli in uno dei capitoli della sua raccolta “Pensieri e discorsi”, qui “in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell’aurora, sotto le porpore iridescenti dell’occaso, è appiattata, dicono, la morte”, evidente allusione alla forza distruttrice dei terremoti a cui è esposta da sempre l’area reggina.

Eppure forse in pochi sanno che esiste un’immagine tenebrosa di questa città mediterranea che nulla ha a che fare con il fenomeno dei terremoti e che invece ci riporta ad un’altro tipo di calamità, foriera anch’essa di morte e di distruzione, costituita dalle incursioni turche che nel corso del XVI secolo funestarono le coste del nostro meridione. Si tratta di Der Triumph des Todes (Il Trionfo della Morte) un dipinto ad olio su tavola (117×162 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio, risalente al 1562 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. La città di Reggio Calabria si delinea nella nell’estrema parte superiore sinistra del dipinto dove se ne scorge il profilo insieme alla Torre di Pentimele. Il celeberrimo pittore fiammingo fu a Reggio nel XVI secolo e per quest’opera fece riferimento ai suoi appunti di viaggio in cui descrisse l’attacco dei pirati di Dragut sulla spiaggia del quartiere di Archi, che l’artista vide accadere direttamente sotto i suoi occhi.  

Nel dipinto è visibile sul promontorio tra la vegetazione la Torre di Pentimele incendiata dai Turchi nel 1552, mentre sullo sfondo appare la città di Reggio, anch’essa in fiamme. La località Pentimele è una collina alla quale si arriva attraverso una stradina angusta e per conoscere la storia della torre che qui sorgeva e che appare nel quadro di Brueghel, bisogna andare indietro nel tempo risalendo precisamente al 1547, anno in cui, a causa delle varie scorrerie per opera dei pirati, venne ordinata la costruzione di un castello. I lavori del castello purtroppo vennero sospesi per la mancanza di fondi e così si pensò di erigere la Torre di Reggio, chiamata inizialmente Pendimeri. Fra varie vicissitudini, la torre sopravvisse per secoli, come testimoniato anche da mappe e litografie, ma nel 1820, con il ritorno al trono dei Borbone, la Torre di Pentimele venne abbattuta, e nel 1896 sulla collina furono costruiti i due fortini di Pentimele. La zona è molto suggestiva, come lo è anche l’origine del nome del luogo: Pentimele deriva dal greco πέντε μηλις e significa “cinque meliadi” (ovvero cinque ninfe). Il luogo – oggi tristemente trascurato – per le sue bellezze naturali era dunque stato individuato dagli antichi greci come sede privilegiata dalle ninfe; ed invero sembra di poter udire il loro melodico canto quando dalla collina si contempla il panorama circostante.

Nel dipinto di Bruegel, ovviamente, il riferimento a Reggio e ai suoi dintorni non assume una valenza autonoma ma si inserisce fra le fonti di ispirazione di un’opera che nella sua globalità assume il carattere di un grande “affresco” allegorico sulla Morte, come illustrato nella seguente scheda descrittiva:

IL TRIONFO DELLA MORTE di PIETER BRUEGEL IL VECCHIO (click to enlarge)

Thetriumphofdeath

Pieter Bruegel il Vecchio – Trionfo della Morte, c. 1562 – Museo del Prado, Madrid –  Image in public domain

L’opera Der Triumph des Todes (Il Trionfo della Morte), non datata nè firmata, è forse da identificarsi con quella citata da Karel van Mander nel 1604 con riferimento a numerose scene di morte. Una menzione sicura si ha invece nell’inventario di Philips van Valckenisse di Anversa nel 1614. Dopo vari passaggi, nel 1745 risulta tra le proprietà della regina di Spagna Elisabetta Farnese al palazzo della Granja. Al Museo del Prado pervenne nel 1827.

Con i dipinti Dulle Griet e la Caduta degli angeli ribelli, simili per dimensioni e per richiami evidenti al mondo di Bosch, l’opera fu probabilmente dipinta per un medesimo committente e destinata a formare una serie. Nel Trionfo della Morte si colgono evidenti echi della difficile situazione politica e sociale di quegli anni di guerre e pestilenze.

Nell’ambientazione del dipinto, sviluppata su più registri spaziali, la morte sopraggiunge uccidendo gli uomini in vari modi. I toni caldi utilizzati, evocano un’atmosfera arida e infernale, in cui gli uomini affrontano il trapasso con i più vari stati d’animo: sorpresa, sgomento, rassegnazione, inutile ribellione. Tuttavia in esso è riscontrabile un’allegoria della guerra e delle miserie umane.

Nella descrizione Brueghel fuse due tradizioni iconografiche: quella italiana, con opere come il Trionfo della Morte di Palermo, che verosimilmente visitò durante il suo viaggio in Italia del 1552 circa (di essa vi parleremo in una prossima occasione), e quella nordica della danza macabra. Alcuni dettagli, come la morte che irrompe a cavallo, derivano quasi sicuramente dal modello palermitano, alla luce però di una reinterpretazione personale del tema, che include una condanna più esplicita dei vizi e dei peccati verso i quali gli uomini sono naturalmente protesi.

Tra i soggetti di maggior spicco si notano un imperatore in basso a sinistra, a cui uno scheletro mostra una clessidra, simbolo della fine del suo tempo; egli si rivolge a uno scheletro con l’armatura che affonda le mani in barili pieni di monete, inutilmente accumulati. Dietro di lui passa il carro della morte, carico di teschi, guidato da uno scheletro che suona tristemente una viola a manovella (ghironda) e da un cavaliere altrettanto scheletrito su un magrissimo cavallo, sul quale si trova una gazza dagli oscuri presagi. Sotto il carro alcune persone cercano vanamente di nascondersi per trovare scampo. Da una specie di chiesa un gruppo di scheletri vestiti di bianco suona le trombe dell’Apocalisse e più sopra altri due tirano con forza le corde di una grossa campana. Un sinistro castello di diavoli prende fuoco al centro e più in lontananza una serie di mostri esce da una voragine infernale riversandosi nel creato.

Poco più avanti uno scheletro con cappella da cardinale sorregge un prelato di spalle, che si sente mancare. Davanti ad essi una filatrice è morta e non può impedire a un cane pelle e ossa di arrivare al suo bambino. Al centro un pellegrino è denudato e sgozzato da uno scheletro vestito da una maglia di ferro da soldato. Più sopra due scheletri incappucciati trascinano una bara, investendo un altro morto; poco avanti altri due tendono una rete per catturare la folla in fuga. Al centro la morte dirompe a cavallo con la falce (perché come la falce miete non una, ma molte spighe di grano, ovvero molte vite per volta), guidando la sua armata delle tenebre, che si appresta a massacrare una folla con persone di tutti i ceti sociali, soldati, laici e religiosi. La folla viene spinta in una grande stanza-galera, con porta levatoia, retta con una leva da due scheletri, che vengono incoraggiati da una altro suonante il tamburo.

Nell’angolo a destra un tavolo con carte da gioco, sotto il quale cerca di nascondersi un buffone, mentre i soldati della morte afferrano damigelle, porgono loro ossa disgustose sui vassoi da portata, rovesciano le bisacce e spargono i giochi. Nell’angolo una coppia si distrae con la musica, ignorando quanto avviene attorno, simboli di peccato e lussuria. In secondo piano gli scheletri massacrano gli uomini in tutti i modi possibili: per annegamento, con le ferite d’arma, seppellendo, impiccando, cacciando coi cani, infilzando con le lance, decapitando, facendo cadere da dirupi, esponendo i cadaveri a essiccare sulle macabre ruote issate in cima a pali.

Nemmeno la natura è risparmiata: gli scheletri abbattono gli alberi, le navi affondano, i fumi degli incendi anneriscono il cielo, le carcasse di animali affiorano dalla terra e ovunque è distruzione, disperazione, morte e rovina.

Testo scheda sul dipinto by Wikipedia | Licenza CCBY-SA 3.0
 

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su