di Redazione FdS
La furia del Vesuvio, che con la celebre eruzione del 79 d.C. ha sepolto i principali centri dell’area circostante, ci ha restituito, insieme ai segni indelebili di una grande tragedia umana, le affascinanti tracce di una vita quotidiana che fluiva intrecciando la semplicità del popolo con i fasti dei ceti sociali più abbienti. Questi ultimi – divisi tra lussuosi otia, rampanti carriere politiche o più sobrie attività intellettuali – spesso si muovevano sullo sfondo di sfarzose dimore che al pregio architettonico dell’edificio univano quello artistico di decorazioni non di rado intrise di complesse simbologie, così come non mancavano residenze improntate alla pura ostentazione di un lusso sfrenato. Una tra le dimore più ricche e celebri è senza dubbio la Casa dei Vettii, oggi una delle principali icone di Pompei, appartenuta ai fratelli Aulus Vettius Restitutus e Aulus Vettius Conviva, liberti, arricchitisi attraverso il commercio del vino. Uno status di ricchezza e abbondanza evocata dal dio Priapo, nume della fecondità, la cui immagine tutelare ricorre più volte nella casa, sia essa affrescata sullo stipite destro della porta d’ingresso o rappresentata in una grande statua itifallica in marmo bianco un tempo collocata nel peristilio del giardino. Ebbene, questa dimora – dopo vent’anni di chiusura, una parziale riapertura nel 2016 e un lungo restauro col quale si è intervenuti per sottrarla ad un avanzato stato di degrado -, è stata finalmente riaperta al pubblico che, grazie ai recenti interventi, potrà ammirarla in tutta la sua articolazione e complessità architettonica.
Il progetto di restauro, intrapreso nel 2016, si è avvalso della collaborazione di professionalità tra le più varie, tra archeologi, architetti, restauratori, ingegneri, strutturisti e esperti di giardinaggio, profilandosi come uno dei cantieri più complessi nel panorama dei beni archeologici degli ultimi decenni. Particolarmente difficile si è rivelata la rimozione di strati di cera, apportati sugli affreschi nel passato con l’intenzione di proteggerli e farli risplendere: un metodo di restauro che si è rivelato altamente dannoso e che ha inoltre oscurato molti dettagli delle raffinate pitture, con rappresentazioni di architetture fantastiche e scene mitologiche. Il giardino del peristilio (portico colonnato), che disponeva di un articolato sistema di condotte d’acqua e piccole fontane, è stato restaurato con l’inserimento di copie delle statue originali conservate negli spazi espositivi e nei depositi del Parco archeologico. Tra queste spicca una statua di Priapo, dio dell’abbondanza, unica nel suo genere. Inoltre sono state piantumate antiche specie vegetali riprodotte nel vivaio all’interno del Parco, nell’ambito di un progetto più ampio che prevede la valorizzazione di giardini storici e la messa in produzione delle aree verdi della città antica attraverso partenariati con agricoltori e produttori del territorio. La domus è stata dotata anche di un impianto di illuminazione a LED di nuova concezione che consente di generare una emissione di luce con uno spettro molto simile a quello del sole: quindi una luce pulita, naturale, priva di quelle componenti in grado di arrecare danni ai materiali irradiati per lungo tempo. I cicli di illuminazione – alimentati da un sistema di tegole fotovoltaiche perfettamente mimetizzate – seguono le aperture al pubblico della domus, garantendo così l’assenza di luce nella notte e di esposizione alla radiazione luminosa delle straordinarie opere in essa presenti.
L’impianto originario della villa – scavata nel 1894-95 – precede l’età augustea (I° secolo a.C.), epoca alla quale risale invece la sua ristrutturazione, che portò a modificarne l’assetto rispetto allo schema tradizionale riscontrabile in altre dimore, ad es. eliminando il tablinum (sala di rappresentanza nei pressi dell’atrio), per ottenere più spazio per il grande giardino che divenne il fulcro della dimora. Numerose sono le stanze affrescate, le più decorate delle quali sono quelle affacciate sul peristilio; tra queste spicca il salone con il fregio di Amorini intenti a svolgere le principali attività produttive dell’epoca, dalla vendita del vino alla pulitura delle vesti, dalla coltivazione dei fiori alla vendemmia, dall’oreficeria alla creazione di profumi. Il clima è giocoso e spesso gli Amorini sono rappresentati in divertenti competizioni.
Famosa anche la serie di quadretti erotici della stanza adiacente, nella quale svolgeva la sua attività la prostituta Eutychis, schiava “greca e di belle maniere” che si offriva per due assi, come racconta un graffito sulla parete sinistra del vestibolo; una testimonianza che Pompei offre della società dell’epoca con le sue stratificazioni e costumi. Quest’ultimo ambiente, in passato, fu dotato di una porta di ferro per consentirne l’accesso ai soli uomini adulti, barriera rimossa solo pochi giorni prima della riapertura della casa.
Tra le altre stanze affrescate si può citare il gineceo, chiamato così dall’archeologo Amedeo Maiuri, poiché la sua posizione appartata rimandava al gineceo delle case di età greca, ovvero agli appartamenti femminili. Si tratta di un piccolo quartiere costituito da due stanze finemente decorate, che si affacciano su un giardino porticato e dotato di vasca. In particolare, nel triclinio è rappresentata la scena in cui Auge, sacerdotessa di Atena, intenta a lavare il sacro peplo della dea, viene sorpresa e sedotta da Eracle ebbro. Da questa unione nascerà Telefo.
Notevole la Sala di Issione che si apre sul giardino e fa da pendant alla sala di Penteo. Si tratta di un triclinio che, come l’oecus (sala di soggiorno) di Penteo, è ideato come una pinacoteca. Sul fondo, è rappresentato il re Issione di fronte ad Era seduta in trono, che guarda la scena indicatale da Iside: Efesto è impegnato ad attivare la ruota a cui, per mano di Ermes e volere di Zeus, sarà legato Issione mediante dei serpenti. Il re tessalo, colpevole di avere tentato di oltraggiare Era, fu condannato a girare in eterno nella volta celeste.
A fare da contrappeso al tragico destino di Issione, sulla parete destra è la rappresentazione dell’episodio a lieto fine di Dioniso che svela Arianna addormentata, mentre Teseo fugge con la sua nave. Sulla parete sinistra, invece, è raffigurato Dedalo che presenta a Pasifae, moglie di Minosse, re di Creta, la vacca di legno che diventerà l’alcova dove la regina concepirà il Minotauro.
La Sala di Penteo è un oecus in IV stile, decorato da grandi quadri in cui dominano tre scene principali: sulla parete destra il supplizio di Dirce da parte di Zeto e Anfione, figli di Giove e Antiope; sulla sinistra Ercole bambino che strozza i serpenti inviategli da Giunone. Sul pannello di fondo, Penteo, re di Tebe, è dilaniato dalle menadi per aver offeso Dioniso. Alle sue spalle una menade gli infligge il colpo finale, scagliandogli sulla testa una grossa pietra.
Il peristilio a diciotto colonne circondava il giardino arricchito da sculture adibite a fontane, che ricreavano un suggestivo sistema giochi d’acqua. I soggetti raffigurati rimandano a Dioniso e al suo seguito: satiri, puttini e bambini allusivi alla forza propiziatrice della Natura, secondo modelli iconografici di tradizione ellenistica. Lungo il portico e tra le colonne s’incontrano Dioniso, un Satiro con otre, due puttini in bronzo che sorreggono anatre, due eroti con le mani legate, un bambino seduto a terra con coniglio, un Satiro con anfora. Infine, una figura di Pan e una di Priapo che, caduti in disuso perché danneggiati, furono stipati nella cucina. Essi dovevano trovarsi lungo il portico orientale. A completare il ricco giardino, erano mense, tavolini, vasche in marmo a cui si aggiungono due pilastrini con doppie erme: su di uno Dioniso e Arianna, sull’altro un Sileno e una menade. Al fine di preservare tutte le sculture rinvenute, sono state effettuate delle copie, oggi collocate lungo i lati del portico.
La ricchezza dei proprietari, dovuta al commercio del vino, riecheggia nello sfarzoso arredo pittorico e scultoreo della casa, che riflette dunque anche la ricchezza del territorio della città, dove si produceva il vino per l’esportazione in tutto il Mediterraneo, così come la mobilità sociale, che consentiva a due ex schiavi di salire ai livelli più alti della società locale. “La casa dei Vettii – ha dichiarato Gabriel Zuchtriegel, Direttore del Parco archeologico di Pompei – è la storia del mondo romano rinchiusa in una casa, la ‘casa museo’ della romanità per così dire: ci troviamo affreschi mitologici e sculture in bronzo e in marmo, di eccezionale qualità artistica, che parlano del rapporto complesso tra modelli greci e rielaborazioni romane, ma anche la vita economica e sociale della città.“
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