di Kasia Burney Gargiulo
…E noi che l’anno scorso ci scandalizzavamo per l’utilizzo improprio del Museo Archeologico di Reggio Calabria offerto dalla Soprintendenza come stage per concerti rock ad alto tasso di decibel. Non avevamo ancora visto tutto. Non avevamo cioè ancora assistito al grado di umiliazione “istituzionale” a cui possono essere sottoposti alcuni fra i più preziosi beni culturali d’Europa, testimoni di irripetibili pagine di storia della civiltà.
Fallito il programma di riaprire il museo entro il 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia, con il successivo rientro a dicembre 2013 dei Bronzi di Riace – sottoposti a 4 anni di restauri presso Palazzo Campanella – si era avuta una sua riapertura parziale con l’esposizione nelle sale del pianterreno di alcuni dei massimi capolavori custoditi fra le sue mura. Il completamento dell’allestimento, e la riapertura totale, programmati per l’estate successiva, sono poi slittati al 2015 a causa di un ricorso al TAR, giunto fino al Consiglio di Stato, presentato da un Consorzio che aveva partecipato alla gara di appalto per il nuovo allestimento.
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Siamo così arrivati all’anno in corso e, dopo sei anni e 33 milioni di euro spesi per lavori di restyling architettonico e di riallestimento, cosa abbiamo ottenuto? Nient’altro che una riapertura ancora parziale del museo avvenuta in sordina lo scorso 4 luglio fra lo sconcerto dei primi visitatori trovatisi di fronte ad un palazzo di tre piani con una terrazza panoramica dal destino ancora indefinito, con il pianoterra rimasto unico spazio visitabile e soprattutto con una serie di bacheche ancora in allestimento, reperti impolverati e schede esplicative del tutto assenti oppure vergate a mano su dei pizzini strappati chissà da dove. A questo punto la domanda urgente e spontanea è: perché? Perchè ‘inaugurare’ l’impossibile? Perchè ‘umiliare’ così dei beni culturali meritevoli di ben altro trattamento e non aspettare il completamento dell’allestimento evitando di mostrare ai visitatori un cantiere ancora aperto? A quanto pare il modello EXPO, ossia la becera sagra italiana del ‘non finito’, continua a fare scuola, attestandosi come una vera e propria moda. La presunzione di fondo, tutta italiana, è come al solito quella di fare le cose fregandosene delle regole e della tempistica. L’importante è che le cose si facciano, quanto invece al “come”…chissenefrega!
E’ forse questa la conseguenza – come ha scritto sul Quotidiano del Sud il prof. Battista Sangineto, docente dell’Unical – dell’inesistenza, nell’ambito del progetto di ristrutturazione e di rifacimento architettonico-funzionale del Palazzo, di “un progetto scientifico organico riguardante un nuovo allestimento delle straordinarie raccolte archeologiche del Museo”, così come il venir meno del “comitato scientifico, nominato dal Ministero, per il riallestimento – del quale facevano parte Salvatore Settis, Cecilia Parra, Dieter Maertens, Carmine Ampolo ed altri…”, comitato che nel 2009 aveva persino consegnato le linee guida per la risistemazione del Museo “ma dopo poco è stato messo, in sostanza, alla porta”.
L’imbarazzo per la situazione è leggibile sulle facce degli impiegati del museo, che si scusano perchè dell’intero palazzo è visitabile soltanto il piano terra con i Bronzi ed una mostra dedicata ai resti dell’antica Rhegion, allestita con reperti dell’età arcaica, classica ed ellenistica rinvenuti sul territorio cittadino. «Ci scusiamo per il momentaneo disagio, stiamo lavorando per l’allestimento definitivo del Museo» è infatti il cartello che campeggia di fronte allo sguardo attonito del visitatore ignaro, improvvisamente catapultato al cospetto di vasi, statue, ceramiche, monete, gioielli e tanto altro ancora, infilati nelle teche con didascalie ottenute da post-it, frammenti di fogli di quaderno, carta igienica o da cucina, con testi a volte sbagliati, cancellati e con la correzione in bella vista.
Per fortuna tutto è in ordine almeno nella sala dei celebri Bronzi di Riace dominanti il grande spazio condiviso con le meravigliose sculture della Testa del Filosofo e della Testa di Basilea. Ad un museo che boccheggia nei pantani dell’allestimento fa poi da contraltare un museo capace di importanti operazioni di restauro come quella in svolgimento sullo splendido Cavaliere di Marafioti, monumentale statua in terracotta policroma del V° secolo proveniente dal tempio dorico della colonia magnogreca di Locri Epizefiri.