di Alessandro Novoli
Taranto città di mare – anzi di due mari, il Piccolo e il Grande tra i quali fa da spartiacque l’isola su cui sorge la città antica – è legata a triplo filo ai delfini: il mito vuole che uno di questi meravigliosi animali sia apparso a Taras, figlio di Poseidone e della ninfa Satyria, quale segno di buon auspicio per la fondazione della città di Saturo, i cui resti sono ancora visibili; secondo la tradizione inoltre, durante il suo viaggio verso l’Italia Falanto, capo degli spartani che nell’VIII sec. a.C. fondarono Taranto e così la denominarono in omaggio al loro leggendario predecessore, sarebbe stato salvato da un delfino durante un naufragio, episodio immortalato sulle bellissime monete dell’antica polis; Taranto, infine, è detta Terra dei delfini per lo storico insediamento di un gruppo di cetacei al di là degli isolotti di San Pietro e San Paolo. Inutile dire che queste storie di delfini d’ambientazione tarantina rispecchiano la tradizione, tipica del Mediterraneo, di considerarli animali di buon auspicio, amabili e intelligentissimi compagni dei viaggi in mare, protagonisti di metamorfosi divine o umane, nonché di prodigiosi salvataggi, senza trascurare quella tradizione mistico-esoterica che li vuole animali psicopompi, ossia guida delle anime nell’oltretomba.
Ma se questi sono gli aspetti mitico-storico-naturalistici che da sempre legano la città jonica ai delfini, esiste una più recente realtà che tale legame ha voluto rinsaldare, e lo fa attraverso lo studio scientifico, la salvaguardia nell’ambiente naturale in cui questi animali vivono e la promozione della loro conoscenza presso il grande pubblico tramite iniziative di seawatching in barca che ogni anno attirano migliaia di turisti e di appassionati. Si tratta della Jonian Dolphin Conservation, un’associazione di amanti del mare e dei suoi abitanti, con sedi operative a Taranto e Policoro, che dal 2009 riesce a coniugare ricerca scientifica e turismo, coinvolgendo visitatori di tutto il mondo nelle attività di tutela e salvaguardia dei cetacei attraverso escursioni su barche appositamente progettate e realizzate. A questa benemerita realtà – inserita da Expo 2015 nel gruppo delle 21 eccellenze italiane, ossia storie accomunate dall’amore profondo, rispettoso e incondizionato, per la propria terra e per ciò che offre -, e alle attività che essa svolge, il nostro magazine dedicherà uno speciale reportage.
E’ di pochi giorni fa la notizia della collaborazione fra la Jonian Dolphin Conservation e Richard O’Barry, il più famoso attivista per la difesa dei delfini, la cui storia personale è al centro di The Cove vincitore nel 2010 del Premio Oscar quale miglior documentario. O’Barry si occupa di delfini fin dagli anni ’60, quando lavorava per il Miami Seaquarium: allora li catturava e li addestrava e fra essi c’era Flipper il delfino che per tante stagioni fu protagonista di una serie TV diventata celebre in tutto il mondo. Ma la sua vita cambiò quando Kathy, il delfino femmina che interpretava Flipper, si inabissò davanti ai suoi occhi smettendo di respirare, una scelta volontaria, un “suicidio” come lo definì O’Barry, il quale – annientato dai sensi di colpa – approdò alla convinzione che catturare animali così intelligenti per metterli al servizio del divertimento umano, costringendoli a una vita contro natura, è una scelta sbagliata e immorale. Proteggere i delfini e salvarli ad ogni costo è così diventata per lui una missione sancita con la fondazione, nel 1970 – in occasione della prima “Giornata della Terra” – del “Dolphin Project” volto a impedire la cattura di delfini in libertà, a liberarne il più possibile dalla cattività e soprattutto a far comprendere alla gente comune che i delfinari rappresentano una grande fonte di sofferenza per questi animali. E’ così iniziato uno scontro senza esclusione di colpi fra O’Barry e un’industria milionaria, che non gli ha risparmiato alcuni arresti e anche l’omicidio di una sua amica volontaria. Ma tutto ciò non lo ha fermato.
In The Cove, insieme al regista e fotografo naturalista Louie Psihoyos, O’Barry è riuscito a mostrare al mondo ciò che ogni anno succede in una baia appartata del Giappone, dove vengono catturati migliaia di delfini da mandare nei delfinari, mentre altri, fatti oggetto di una terribile mattanza, sono destinati al mercato alimentare tradizionale giapponese. Un documento che ha scioccato gli stessi giapponesi ed ha avuto ampia risonanza a livello internazionale. Ora ritroviamo O’Barry in Puglia dove, insieme ai ricercatori della Jonian Dolphin Conservation di Taranto, studierà le colonie stanziali di delfini presenti nel Golfo di Taranto, effettuando in particolare cinque uscite in mare a bordo dei due catamarani da ricerca scientifica della JDC. Il progetto prevede anche attività di sensibilizzazione dei cittadini sulla necessità di tutelare i cetacei e tutte le forme di vita marine. Quest’ultimo importantissimo segmento del progetto, prevede due proiezioni, a Taranto e Bari, del documentario The Cove e un dibattito pubblico sul tema “Golfo di Taranto e santuario dei cetacei”.
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