di Redazione FdS
Prosegue a Pompei la serie di straordinarie scoperte che da mesi vanno arricchendo la conoscenza sugli ultimi momenti di vita dell’antica città campana distrutta dal Vesuvio nel 79 d.C. In una villa identificata in contrada Civita Giuliana, poco fuori le mura di Pompei, è tornato alla luce un cavallo di razza con ricca bardatura militare, nel corso di una recentissima campagna di scavo. L’importante intervento nell’area nord extraurbana è iniziato lo scorso marzo grazie alla collaborazione fra Parco Archeologico, Procura della Repubblica di Torre Annunziata, Comando Gruppo Carabinieri di Torre Annunziata e Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Napoli, allo scopo di arrestare l’attività illecita di tombaroli a danno del patrimonio archeologico dell’area. Venne così alla luce una serie di ambienti di servizio di una grande villa suburbana conservata in maniera eccezionale, con diversi reperti (anfore, utensili da cucina, parte di un letto in legno di cui è stato possibile realizzare il calco). Tra gli ambienti è stata individuata la stalla della tenuta dove è stato realizzato il calco di un cavallo di razza.
Nella prima fase di scavo era stata identificata una mangiatoia lignea di cui è stato possibile realizzare un calco, la sagoma integra di un cavallo e le zampe di un secondo animale. Le attuali operazioni di scavo, avviate nel mese di luglio, hanno finalmente messo in luce integralmente tale ambiente e hanno individuato la parte restante del secondo cavallo e un terzo animale con i resti di una ricca bardatura di tipo militare. Dei primi due, l’uno giace riverso sul fianco destro, con il cranio ripiegato sulla zampa anteriore sinistra. Presumibilmente legato alla mangiatoia, non era riuscito a divincolarsi. L’altro giace riverso sul fianco sinistro, e sotto la mandibola conserva il morso in ferro. La realizzazione dei tunnel da parte dei tombaroli e la conseguente cementificazione delle cavità, non hanno permesso di realizzare il calco del terzo cavallo.
Durante la fasi di scavo del corpo sono, inoltre, venuti alla luce cinque reperti bronzei. Sulle coste della gabbia toracica si sono individuati quattro reperti in legno di conifera rivestiti di lamina bronzea di forma semilunata; un quinto oggetto, sempre in bronzo, è stato recuperato sotto il ventre, in prossimità degli arti anteriori, formato da tre ganci con rivetti collegati da un anello a un disco.
La forma di questi elementi e i confronti in letteratura fanno ipotizzare che appartengano a un tipo particolare di sella definita a quattro corni, formata da una struttura di legno rivestita con quattro corni, due anteriori e due posteriori, ricoperta da placche di bronzo che servivano per dare stabilità al cavaliere, in un periodo in cui non erano state inventate le staffe. Selle di questo tipo sono state utilizzate nel mondo romano a partire dal I secolo d.C. ed in particolare in ambito militare. Le giunzioni ad anello erano quattro per ogni bardatura e servivano a collegare diverse cinghie di cuoio per bloccare la sella sul dorso del cavallo. Si tratta sicuramente di bardature militari da parata.
Ulteriori elementi riferibili agli “ornamenta” del cavallo sono documentati dietro la schiena, dove tracce di fibre vegetali lasciano ipotizzare la presenza di un drappo/mantello e nello spazio tra le zampe posteriori ed anteriori, in cui un ulteriore calco suggerisce la presenza di una sacca. E’ probabile che parte dei mancanti finimenti siano stati trafugati dai tombaroli. Ha curato lo studio della sella l’archeologo Domenico Camardo, mentre le ricerche sul campo sono state seguite dall’archeologa Paola Serenella Scala.
“I tre cavalli, come forse il primo rinvenuto ed analizzato, dovevano far parte della “razza più nobile”, animali di rappresentanza, per la loro imponenza dimensionale, probabilmente frutto di accurate selezioni, e per i finimenti di pregio, in ferro e bronzo. – sottolinea il Direttore Generale Massimo Osanna. Questi eccezionali ritrovamenti confermano che si trattava di una tenuta prestigiosa, con ambienti riccamente affrescati e arredati, sontuose terrazze digradanti che affacciavano sul golfo di Napoli e Capri, oltre ad un efficiente quartiere di servizio, con l’aia, i magazzini per l’olio e per il vino, e ampi terreni fittamente coltivati, anche stando a le prime indagini di inizio Novecento. Nel 2019 saranno stanziati due milioni di euro, dai fondi ordinari del Parco archeologico, per procedere all’esproprio dei terreni e per proseguire le indagini di scavo, al termine delle quali sarà possibile l’apertura al pubblico.”
© RIPRODUZIONE RISERVATA