di Redazione FdS
Una ricerca condotta in Calabria dal professor Emanuele Greco, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, e dalla sua équipe nel sito di “Casa Bianca”, nell’ambito dell’area archeologica di Sibari (Cosenza), ha permesso il rinvenimento di un santuario costruito intorno al 50 d.C. e dedicato alle divinità egizie di Iside e Serapide, il cui culto si era diffuso in diverse località dell’area mediterranea. L’edificio è da ricondursi alla fase romana della lunga storia di Sibari, città notoriamente sorta nell’VIII sec. a.C. come colonia greca fondata da un gruppo di Achei provenienti dal Peloponneso, successivamente distrutta dai Crotoniati nel 510 a.C., quindi rifondata con il nome di Thurii e trasformata in colonia romana nel 193 a.C. con il nome di Copia. Il santuario – la cui area è nota anche come luogo di ritrovamento del bellissimo bronzo del Toro cozzante, oggi esposto nel Museo Archeologico di Sibari – risale per la precisione all’epoca dell’imperatore Claudio, sebbene sotto questo edificio ne sia emerso un secondo di età augustea, preceduto da un terzo di epoca thurina e da tracce “per ora molto labili ma significative, di un santuario arcaico dell’epoca di Sibari”.
La notizia è stata diffusa dallo stesso professor Greco a conclusione della campagna di scavi resa possibile dal finanziamento “Arcus s.p.a” di 2 milioni e mezzo di euro erogati nel corso di undici anni. Le operazioni sono infatti iniziate nel 2004 sulla base di un accordo con la Soprintendenza archeologica di Reggio Calabria, a suo tempo guidata dalla dottoressa Lattanzio, e con la compianta dottoressa Silvana Luppino, già direttrice dell’area archeologica di Sibari.
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Nel 2005 è stata quindi la volta di piccoli sondaggi dai quali – ha raccontato il professor Greco – si è poi passati ad uno scavo sistematico condotto grazie al finanziamento Arcus suddiviso in 5 tranches. Un bilancio che lo studioso definisce “davvero straordinario”, in quanto “ha consentito di consegnare alla comunità scientifica e all’umanità uno dei più grandi, se non il più grande, santuario di Iside e Serapide che noi conosciamo in Italia. Il santuario, esteso per circa 4.500 metri quadrati, risulta formato da “tre complessi comprensivi di tempio, portici, edifici minori, sacelli, aula per i pellegrini, ospizio per i pellegrini, piscina per i riti. Qualcosa di veramente straordinario”.
La parte centrale del complesso è il Santuario vero e proprio con un tempio su podio orientato da nord a sud di cui si conserva il nucleo in cementizio, circondato da un portico colonnato. Ad est c’è l’edificio in opus reticulatum con la piscina e l’albergo per i pellegrini. Ad ovest del portico è stato rinvenuto un cortile aperto all’interno del quale c’è un tempietto che – spiega il professore – “ha restituito un’iscrizione straordinaria nella quale si legge il verbale di collaudo dell’edificio”.
“Ad aver collaudato l’edificio – prosegue l’archeologo – risultano essere stati due prefetti. Uno di loro fu rappresentante di Tito Palfurio Sura, un noto personaggio romano che risulta essere stato delatore di Domiziano; sappiamo anche che quando Nerva è diventato imperatore lo fece assassinare. Quindi, essendo morto nel 98 d.C., ha collaudato il tempietto prima, fornendoci così anche un indizio cronologico”.
Oltre alla grandezza, a rendere eccezionale il sito è il fatto che, scavando a maggiore profondità, è emersa la sequenza stratigrafica monumentale di carattere davvero singolare di cui si accennava prima. Particolarmente interessante è il riferito ritrovamento di tracce della Sibari arcaica, le quali consistono in due capitelli dorici della fine del VI secolo a.C. appartenuti alle colonne di un tempio e poi riutilizzati negli edifici successivi. Il professor Greco definisce questi ultimi reperti “un indizio piuttosto sicuro della presenza del santuario di Sibari sopra al quale c’è, sicuramente, un santuario di Thurii su cui è stato eretto il santuario augusteo fino ad arrivare al grande santuario di 4500 metri quadrati che è il più recente e il primo ritrovato scavando dall’alto verso il basso”.
Il santuario romano cronologicamente posteriore sarebbe stato fortemente danneggiato da un terremoto verso il 150-160 d.C., evento che avrebbe avviato una lunga e lenta decadenza del luogo, durata per uno o due secoli fino al completo abbandono favorito anche dalle esondazioni del vicino fiume Crati.
Il quadro emerso da questa lunga campagna di scavi potrebbe non essere ancora del tutto completo, considerato che – come ha anticipato il professor Greco – c’è ancora una parte di terreno da scavare. Intanto si impone con urgenza la necessità di consolidare e restaurare quanto emerso, “perché agire altrimenti – ha sottolineato l’archeologo – significherebbe aver sprecato il denaro”. Senza trascurare ovviamente la valorizzazione di questa testimonianza archeologica così rara.
“C’è bisogno – ha concluso lo studioso – di un altro finanziamento che ammonta a circa 2 milioni e mezzo di euro pari ad altri 3 o 4 anni di lavoro che consentirebbero di rendere il sito pienamente fruibile, con tutti i sussidi didattici, didascalici. Uno sforzo che a nostro avviso vale la pena fare perchè consentirebbe di allestire un vero e proprio museo all’aperto”.
Per approfondimenti:
Emanuele Greco, Valentino Gasparini, Il santuario di Sibari – Casa Bianca, in L. Bricault, R. Veymiers (edd.), Bibliotheca Isiaca, III, Bordeaux 2014, pp. 55-72