di Enzo Garofalo
Mentre l’Italia fatica a gestire i propri straordinari giacimenti culturali, ricchi di tesori che talora sfuggono alle più elementari forme di catalogazione, tutela e valorizzazione, ecco che dalle meglio organizzate istituzioni estere tornano alla luce piccoli e grandi gioielli di artisti italiani assurti nei secoli agli allori della fama internazionale. E’ il caso del grande compositore pugliese Niccolò Piccinni (1728-1800) del quale è stato ritrovato di recente un prezioso lavoro di musica sacra presso la Biblioteca Nazionale di Lisbona, città nella quale le sue opere, buffe e serie, confluirono per circa un ventennio (dal 1756 al 1775) grazie all’istituzione operistica che la Corte portoghese mantenne per quarant’anni acquisendo copie dei lavori rappresentati nei principali teatri italiani. Delle decine di opere di Piccinni arrivate a Lisbona, una quindicina, tutte buffe, sono state messe in scena nei teatri della capitale portoghese. Ma a quanto pare non furono solo le sue composizioni teatrali a suscitare interesse, come dimostra il recente ritrovamento.
A fare la scoperta il musicista barese Adriano Cirillo, pianista, titolare della cattedra di Pianoforte Principale presso il Conservatorio “Frescobaldi” di Ferrara, compositore nonché membro della commissione artistica del notissimo Concorso internazionale di canto corale Seghizzi di Gorizia. L’opera, di cui il M° Cirillo ha curato anche la revisione, vedrà la sua prima esecuzione moderna a Bari il prossimo 27 settembre alle ore 21.00 nella Cattedrale di S. Sabino, nell’ambito del Festival Notti Sacre promosso dalla Arcidiocesi Bari-Bitonto.
Abbiamo incontrato a fine agosto il M° Cirillo per farci raccontare le circostanze di questo interessante recupero, ma prima di lasciare a lui la parola è opportuno ricordare che Niccolò Piccinni è uno dei più prestigiosi musicisti che la Puglia abbia espresso a livello internazionale – la fama della sua Checchina (1760), dramma giocoso su libretto di Carlo Goldoni, fu tale da giungere nell’America e nella Cina del XVIII secolo e da influenzare persino la moda del tempo – ed è stato un maestro indiscusso della celebre Scuola Musicale Napoletana, per secoli imprescindibile punto di riferimento per i musicisti di tutta Europa.
Conosciuto soprattutto per la sua vasta produzione operistica che a Parigi – città dove visse nella seconda metà del ‘700 ed insegnò presso l’Académie Royale de Musique – lo vide protagonista della celebre rivalità con Christoph Willibald Gluck, Piccinni non disdegnò la musica sacra. Anzi, alcune cronache del suo tempo ricordano come “guidato dalla sola ispirazione del suo ingegno” abbia iniziato il suo percorso musicale proprio componendo una Messa all’età di appena 15 anni. Aveva intrapreso da poco i suoi studi al Conservatorio napoletano di S. Onofrio, allora diretto dall’altro grande pugliese Leonardo Leo, ma ebbe la iniziale sfortuna di finire nelle mani di un “maestro mediocrissimo” per cui si risolse a studiare da solo; ne nacque una Messa che Leo “fece eseguire in sua presenza…e quantunque si vedesse obbligato di sgridare il giovanetto della sua audacia, non potè fare a meno di ammirarlo, scorgendo il germe del talento che brillava in quella composizione informe…”.
Ed è proprio una Messa, composta però decenni dopo con tutti i crismi della tecnica e del suo grande talento, l’opera di Piccinni ritrovata a Lisbona dal M° Adriano Cirillo e riportata a nuova vita.
M° Cirillo, lei è pianista e compositore, ma in questa occasione la ritroviamo nelle vesti di scopritore e revisore di materiale musicale inedito di un grande autore del passato come Niccolò Piccinni. Di che genere di composizione si tratta esattamente?
La composizione di Piccinni cui stiamo facendo riferimento è una Messa per soli coro e orchestra dalla struttura un po’ particolare: consta infatti di un Kyrie e di un Gloria, completo di tutte le sue parti, di ampio respiro. Non deve stupire questa forma inusuale considerato che era abbastanza frequente nel 1700, per le mancanti parti della messa, attingere al Liber Usualis.
Ci racconti il percorso che l’ha portata a scoprire questa Messa che – lo ricordiamo – non è stata mai eseguita in tempi moderni, descrivendoci inoltre le condizioni del manoscritto e gli interventi che si sono eventualmente resi necessari in sede di revisione…
Il “ ritrovamento” di questa Messa è avvenuto in modo abbastanza fortuito: un caro amico direttore d’orchestra polacco mi aveva chiesto di compiere una ricerca per potergli segnalare qualche opera di Piccinni poco eseguita. Consultando in Rete i cataloghi delle più importanti biblioteche europee mi sono imbattuto in una “Messa in re maggiore” per soli coro e orchestra di Niccolò Piccinni, manoscritta, conservata nella Biblioteca Nazionale di Lisbona. Considerando che Piccinni viene ritenuto quasi esclusivamente autore di opere, mi sono incuriosito ed ho incominciato a fare ricerche sui cataloghi delle sue composizioni: non avendo trovato traccia di questo lavoro, ho pregato un amico che si trovava a Lisbona di farmene copia. Ho ricevuto copia di un manoscritto, ad opera di almeno due copisti differenti, di tutte le parti staccate di questo lavoro. Partendo da questo materiale ho ricostruito la partitura orchestrale. Naturalmente mi sono dovuto confrontare con tutti i problemi tipici di una revisione: ricostruzione delle battute mancanti, correzione dei laspus calami, numeriche del basso continuo inesatte ed altre amenità simili.
Questo recupero prelude ad una prossima edizione volta a rendere l’opera fruibile sul mercato musicale?
La casa editrice Ut Orpheus di Bologna, con la quale collaboro da svariati anni intende pubblicare questo lavoro nell’ambito di una collana sulla “Scuola Napoletana” voluta dal maestro Riccardo Muti.
Piccinni è particolarmente noto per la sua vasta produzione operistica, soprattutto buffa, ma ha anche composto diversa musica sacra. Qual’è, a suo avviso, il rapporto fra il Piccinni del teatro e quello delle pagine d’argomento religioso? Ci dica inoltre se in questo lavoro ci sono aspetti che l’hanno particolarmente colpita e per quale motivo…
Il rapporto tra composizioni per il teatro e composizioni religiose è sicuramente a vantaggio delle prime, ma parimenti, soprattutto in alcune pagine delle arie solistiche di questa Messa, è presente la facilità melodica che contraddistingue la vena musicale di Piccinni, mentre nelle parti contrappuntistiche si evidenzia la grande familiarità con lo stile severo. Vorrei inoltre sottolineare la particolarità del soggetto della fuga, del Christe eleison “la, re, do#, fa” contenente un intervallo di quarta diminuita, che però potrebbe rappresentare il segno della croce, e nella risposta un intervallo di seconda eccedente.
Il ritrovamento della Messa di Niccolò Piccinni costituisce per lei un episodio occasionale o è già sulle tracce di altri ‘’tesori’’ musicali nascosti o dimenticati?
I programmi di studi di Storia ed Estetica Musicale, almeno ai miei tempi, prevedevano lo studio approfondito dei grandi compositori, limitandosi ad un elenco dei “cosiddetti” minori, da ciò la mia curiosità nel voler conoscere il valore di questi musicisti. Questo mio lavoro si aggiunge ad altri che sono stati pubblicati dalla H H di Londra (Paisiello, Jommellino e F. Giuliani), Ut Orpheus (F. Giuliani, Paisiello) e Carish (Rossini). Attualmente ho terminato la revisione di alcuni lavori di Giuseppe Lillo, Giovanni Pacini e Cesare Pugni.
Ricordiamo ai nostri lettori che questa Messa di Piccinni sarà eseguita a breve nella Cattedrale di Bari nell’ambito del Festival ‘Notti Sacre’ in programma dal 19 al 27 settembre prossimi. Ci parli degli interpreti…
Organizzare una esecuzione di un lavoro per soli, coro e orchestra non è una cosa semplice, organizzarla poi con un budget che non copre nemmeno le spese vive sarebbe impossibile, ma quando si può fare affidamento su veri amici preparati e competenti, si riescono a fare anche cose impossibili, quindi devo ringraziare moltissimo il Coro Lorenzo Perosi di Fiumicello (Udine) , il coro Cesare Augusto Seghizzi di Gorizia ed il loro direttore M° Italo Montiglio che hanno accettato di sobbarcarsi gratuitamente una trasferta di quasi mille chilometri, il M° Rocco Cianciotta che ha immediatamente abbracciato questa causa e il Conservatorio Umberto Giordano di Foggia che ha voluto fornire l’orchestra. Per quanto concerne i solisti mi sono rivolto al baritono Giuseppe Naviglio che, oltre a figurare fra gli interpreti, ha provveduto a coordinare le parti vocali affidando gli altri ruoli al soprano Paola Leoci, al contralto Tiziana Portoghese e al tenore Sebastiano Giotta. Nondimeno devo ringraziare la affettusa insistenza di Monsignor Antonio Parisi che mi ha convinto a far eseguire la prima di questo lavoro nella mia città natale alla quale sono legato da un rapporto caratterizzato da luci ed ombre.
Non è la prima volta che un capolavoro di Piccinni viene proposto nella sua città natale, ma si è sempre trattato di episodi sporadici, cioè mai inseriti nel contesto di un’iniziativa stabile – musicale e di studio – volta a celebrare questo grande compositore. Da barese e da musicista, non ritiene che l’assenza di un festival a lui dedicato costituisca una grave lacuna nel panorama culturale cittadino?
Recentemente ho visitato una mostra organizzata dal MAR di Ravenna dal titolo “Il viaggio”: era una raccolta di dipinti che riguardavano il “Grand Tour” che, durante il Romanticismo, compivano in Italia gli uomini di cultura. In alcuni di questi quadri gli “indigeni” venivano ritratti con le spalle alle opere d’arte che vi erano raffigurate, come ad indicare un disinteresse per quei capolavori. Non è che sia poi cambiata tanto la situazione: a Bari un musicista del calibro di Piccinni, osannato in tutta Europa, non è ancora ritenuto degno di un festival a lui dedicato. A tal proposito mi piace citare il titolo di un giornale americano: “Oltre il 70 % delle opere d’arte mondiali si trova in Italia, il resto è al sicuro.”
Niccolò Piccinni, figura di compositore di rilevanza internazionale, può considerarsi senz’altro uno dei grandi maestri della Scuola Musicale Napoletana. Ci piacerebbe conoscere la sua personale visione di questa plurisecolare fucina di talenti e dell’opera divulgativa che il M° Riccardo Muti ha dedicato ad essi nei cinque anni di direzione Festival di Pentecoste ideato e voluto da Karajan a Salisburgo…
Con buona pace delle persone cui fa comodo pensare in modo diverso, la “Scuola Napoletana” è stata un punto di riferimento per tutti i musicisti di qualunque parte del mondo: i suoi esponenti maggiori erano invitati in tutte le corti europee e sempre a Napoli giungeva chi avesse voluto studiare musica con i migliori maestri, e questo è un dato incontrovertibile. Non deve quindi meravigliare se un musicista colto e preparato come Riccardo Muti, anche lui per certi versi allievo della scuola napoletana, abbia voluto ribadire la grandezza di questa Scuola in una nazione che, al contrario dell’Italia, dà grande dignità alla musica colta.
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