di Margherita Corrado*
Qualche chilometro a Sud di Crotone, percorrendo la Statale 106 in direzione dell’Aeroporto “Pitagora” si costeggia un’area pianeggiante che, pressappoco dall’inizio dell’anno in corso, è oggetto di lavori di sbancamento da parte della proprietà, regolarmente autorizzata dal Comune di Cutro (Crotone), funzionali all’impianto di colture specializzate. Pochi vi fanno caso, perché pochi sanno cosa questo significhi per l’archeologia crotonese e quanto allarme susciti, tra gli addetti ai lavori, il pesante coinvolgimento, nelle operazioni di movimento terra, del pendio adiacente, periferico rispetto al cuore dello sbancamento e non coinvolto nel progetto di messa a coltura.
Chiunque abbia dimestichezza con i capisaldi della chora di Kroton, cioè del territorio agricolo circostante l’area urbana della antica città magnogreca, non ignora, infatti, che ad una decina di chilometri dalla cinta urbica in direzione S/O era situato il santuario di località S. Anna di Cutro. Allo stesso modo, chi ha contezza dell’allestimento museale del piano superiore del Museo Nazionale Archeologico di Crotone, dedicato appunto ai santuari extraurbani grandi e piccoli del territorio krotoniate – primi fra tutti l’Heraion di Capo Lacinio, a Sud, e l’Apollonion di Krimissa a Nord -, sa che, fin dagli anni ’70 del XX secolo, alcune vetrine del Museo sono riservate alle terrecotte architettoniche, agli ex voto e alle riproduzioni in terracotta della divinità femminile alla quale spettava il santuario rurale in questione.
Manca della Vozza è il toponimo che identifica con maggiore puntualità il sito da cui provengono tracce sicure dell’esistenza di questo luogo di culto, intercettato e danneggiato pesantemente sul finire degli anni ’60 e all’inizio del decennio seguente a causa della costruzione del tratto limitrofo della Statale 106. Se ne accorsero per primi i cosiddetti tombaroli e, con l’aiuto dei potenti mezzi meccanici resi disponibili dallo svolgimento dei lavori stradali, ‘setacciarono’ il ripido pendio che degrada verso un rivolo d’acqua corrente imbrigliato proprio in quelle circostanze.
Detto pendio restituiva le fosse entro le quali erano state accantonate le offerte in esubero e le lastre in terracotta di rivestimento dell’orditura lignea del tetto “a corna” dell’edificio o degli edifici dedicati nel VI secolo a.C. alla dea: un’Artemide alata, signora della natura e degli animali, molto simile a quella di Metaponto – S. Biagio (fig. 2). Sia le une sia le altre, appartenendo alla dea, non potevano lasciare il santuario né essere riutilizzate a scopi profani: da qui la prassi di disfarsi degli ex voto in eccesso (dai più modesti fino a quelli di più alto pregio intrinseco) e degli elementi non deperibili degli edifici dismessi o ristrutturati seppellendoli in bell’ordine all’interno di apposite buche: quelle che tecnicamente si chiamano favisse.
I soci del Gruppo Archeologico Krotoniate, all’epoca da poco costituito (1974), assidui frequentatori del sito di Manca della Vozza dopo che la notizia degli scavi illegali si riseppe a Crotone grazie alla segnalazione alle Autorità da parte del prof. Pasquale Attianese, rinvennero e consegnarono al Museo centinaia di reperti sfuggiti alle mire dei tombaroli o trascurati perché invendibili, compresi i resti di decine di “Lampade del Sele” (fig. 3). Tali prodotti peculiari dell’artigianato krotoniate che celebrano il ruolo di nutrice della dea, chiunque essa sia, sono stati trovati anche al Lacinio e in santuari di altre città magnogreche.
Nell’insieme, questi oggetti provenivano sia dalle favisse sia, soprattutto nel caso della ceramica figurata, delle adiacenze della briglia in cemento armato (oggi dissestata) che aveva incanalato la sorgiva destinata ad alimentare uno dei corsi d’acqua da cui ha origine il fiume Esaro (fig. 4). La dea di S. Anna, infatti, la cui identità in età classica volge verso una celebre coppia divina: Demetra, signora delle messi, e la figlia Kore-Persefone, regina degli inferi, sembra avere ricevuto anche offerte che, essendo destinate al mondo sotterraneo, furono affidate direttamente alla corrente delle acque da cui ha origine il temibile fiume che scorreva all’interno della città pitagorica, dividendola in due parti, divinizzato anch’esso e rappresentato di profilo, imberbe, su certe monete d’argento di Kroton (fig. 1, in alto). In prossimità della briglia, appunto, fu trovata anche una mascheretta in terracotta di Esaro bambino, riconoscibile dai corni sulla fronte tipici delle divinità fluviali (fig. 5).
Nell’apparente indifferenza generale, in questi giorni si sta dunque consumando quello che l’accentuata inclinazione del pendio e l’abbondanza di pietrame, motivi da sempre sufficienti a sconsigliare la messa a coltura del terreno, avevano fin qui evitato: un’alterazione significativa dello stato dei luoghi (fig. 6). I mezzi meccanici utilizzati a monte, infatti, sono stati chiamati anche a ridisegnare i contorni della proprietà sul versante affacciato sulla statale, arretrando e verticalizzandone il ciglio esterno (fig. 7), e ad aprire quattro ampie strade sterrate lungo il pendio adiacente, a quota via via più bassa, per spezzarne l’accentuata inclinazione – un altro paio intersecano le prime ad angolo retto – e potersi muovere a proprio agio (fig. 8).
Tutte le autorità di tutela sono al corrente dell’accaduto e hanno compiuto, a posteriori, i dovuti sopralluoghi; resta da capire se le verifiche abbiano sortito almeno l’effetto di sciogliere il mistero dell’ubicazione dell’edificio di culto e delle altre eventuali architetture fuori terra. Il paradosso del santuario di S. Anna di Cutro, infatti, ben noto alla letteratura archeologica, sta nel fatto che persino lo scavo, brevissimo, condotto dalla Soprintendenza all’inizio degli anni ’80 del Novecento sul breve terrazzo a mezzacosta che si sospettava avesse ospitato gli edifici, non ha saputo identificare (e perciò non ha potuto giustificare l’apposizione di vincoli) la sede originaria delle costruzioni che si fregiarono dei capitelli in calcare bianco e degli artistici rivestimenti policromi già menzionati, qui abilmente rielaborati da Vincenzo Spagnolo (fig. 9)*. I loro resti, trovati in giacitura secondaria e fortunatamente affluiti in Museo, sono altresì sufficienti, insieme alle migliaia di ex voto, a suggerire la complessità e la ricchezza delle pratiche religiose svolte, tra il VII e il IV secolo a.C., in questo altrimenti anonimo angolo della campagna a S/O di Kroton già frequentato, però, come il Lacinio e forse non a caso, dalle genti indigene dell’età del Ferro.
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*NOTA: In occasione dello scavo ufficiale degli anni ’80 era stata in realtà rilevata la già visibile presenza di un muro in piccoli blocchi di arenaria (v. foto seguente) – che però fu giudicato una struttura di contenimento di costruzione recente, mentre secondo pareri discordi si trattava di strutture antiche – e la sequenza di quattro grandi blocchi dello stesso materiale, sommariamente lavorati, che giacevano affiancati nella parte medio-bassa del pendio, oggi divelti uno per uno dalla ruspa. Tutto questo materiale sarebbe stato sufficiente, insieme a tutti i reperti rinvenuti in zona nel corso degli anni, per apporre dei vincoli che avrebbero potuto evitare lo scempio attuale.
* Margherita Corrado, calabrese, è nata a Crotone nel 1969. Si è laureata in Lettere Classiche (indirizzo archeologico) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e specializzata presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera. Romanista di formazione, ha prestissimo orientato i propri interessi verso l’età post-classica, con particolare riferimento all’alto Medioevo di marca bizantina. Dopo un lungo tirocinio nel volontariato archeologico, dal 1996 lavora come collaboratrice esterna per la Soprintendenza Archeologica della Calabria.