di Redazione FdS
Sono lì da oltre un secolo e nessuno sembra sapere chi le abbia costruite. Si distinguono a fatica fra le ombre dei pini che costeggiano il palazzo su cui sorgono, ma tutti in paese, grandi e piccini, sanno che esistono. Da anni ne invocano il recupero e la pubblica fruizione ma finora senza risultati, forse perché si trovano all’interno di una struttura privata, il che complica le cose. Qualcuno le ha persino messe in lizza fra I Luoghi del Cuore del Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano) ma siccome fuori dal borgo in cui si trovano quasi nessuno le conosce, in pochissimi le hanno votate. Sono le casiceddrhe (letteralmente ‘casettine’) di Noha, piccola frazione della più nota Galatina (Lecce). Si tratta di un piccolo e delizioso agglomerato di costruzioni in pietra realizzate da un oscuro costruttore alla fine 800 o ai primi del Novecento sul terrazzo di un immobile facente parte del complesso del castello. Sono realizzate in pietra leccese con un incredibile gusto per la miniatura (la più grande, campanile incluso, non supera i due metri), con una minuziosa attenzione per ogni particolare architettonico o decorativo: guglie, balconi, cornici, capitelli, volte a crociera, ecc. Insomma qualcosa di decisamente unico che meriterebbe di essere salvato, come da anni invocano i cittadini fattisi promotori, qualche tempo fa, anche di una raccolta firme.
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Noha è un borgo ubicato nel Basso Salento, verso l’estremo tacco dello Stivale; qualche storico vuole che il suo strano nome esotico derivi dall’antica famiglia feudataria dei De Noha di Lecce, certamente presente nel territorio fin dal 1253. Quella che oggi è una frazione del Comune di Galatina fino a qualche secolo fa è stata un centro autonomo dotata di una chiesa matrice sotto la giurisdizione della diocesi di Nardò, un castello e delle mura di difesa. L’autonomia di questo feudo era comprovata dalla torre campanaria con orologio costruita dalla famiglia Congedo agli inizi dell’Ottocento e anche dalla presenza di un proprio stemma raffigurante tre torri coronate poggianti su un ramo d’arancio e uno di leccio. Del più antico patrimonio medievale sopravvive ancora la torre di guardia del XIII secolo che ha mantenuto integra la struttura originaria, con la scalinata in pietra separata dalla torre, alla quale si accedeva con un ponte levatoio oggi custodito all’interno. Il paese conserva inoltre nel sottosuolo una serie di frantoi ipogei che producevano l’ olio destinato al mercato di Gallipoli.
Agli inizi del Novecento, il nome di Noha era legato a quello della rinomata distilleria Galluccio che produceva un brandy noto anche all’estero. Oggi ne sopravvive il grande complesso, che meriterebbe un trattamento da vero monumento di archeologia industriale piuttosto che il degrado in cui versa. Annessa a questo complesso, vi è fra l’altro una costruzione che gli abitanti chiamano per tradizione “la casa rossa”, una costruzione in pietra munita di ambienti interni che rievocano grotte e anfratti, secondo un gusto eclettico tipico di inizio secolo. Ed è proprio agli albori del XX che, secondo qualche fonte, un certo mastro Cosimo Mariano, muratore, avrebbe realizzato gli edifici in miniatura ancora presenti su un terrazzo del castello di Noha, inglobato nel complesso Galluccio: modellini in pietra volti a riprodurre edifici presenti in Terra d’Otranto e capaci di suggestionare a tal punto da ispirare storie e leggende.
Oggi la Casiceddrhe di Noha rischiano di scomparire; già qualcuna di esse ha perso dei pezzi. Prive di qualsiasi vincolo e travandosi all’interno di una struttura privata potrebbero essere distrutte da un momento all’altro per far posto ad anonimi edifici moderni. Ma anche se ciò non accadesse, sarebbero in pericolo lo stesso dato che il terrazzo su cui sorgono presenta delle brutte crepe nella struttura che prima o poi cederà. Oltre alle Casiceddrhe, il complesso del castello comprende anche uno splendido aranceto antico. Cosa ne sarà di tutto questo? Riuscirà a trovarsi una soluzione che permetta di conciliare i legittimi interessi privati dei proprietari con la salvaguardia di un pezzo di identità locale?
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