Salento: viaggio sentimentale nel Tacco d’Italia

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Chiesa di S. Maria degli Angeli, Gallipoli (Lecce) – Ph. Yellow.catLicense

Sulla statale Adriatica rettilinea e scorrevole un desiderio di pace e di mare puntando verso il Salento attraverso gli insediamenti urbani della costa pugliese. Ecco le alte scogliere di Polignano, gli arenili di Monopoli, la Valle d’Itria, i rialti terrazzati delle Murge, i pinnacoli sui coni dei trulli ad Alberobello, Noci, Locorotondo, i porti sorridenti di Gallipoli e Otranto, gli oliveti centenari e i vigneti generosi, i litorali infiniti. Una terra che spartisce due mari fratelli e, alla fine, Santa Maria di Leuca come un’isola di frontiera. L’acqua dello Ionio che sposa l’Adriatico ha la purezza del cristallo.

di Alessandro Robles

Un sogno, lo stretto indispensabile, desiderio di pace e di mare. Si parte così per un breve viaggio verso il Salento dal capoluogo pugliese. L’estate in una scelta di libertà che corre lungo la strada statale 16. L’Adriatica è rettilinea, monotona ma scorrevole. Il cammino verso la fine della penisola a sud-est è un passaggio di spazio e di tempo. Lasciando la provincia di Bari e attraversando quella di Brindisi per raggiungere Lecce, si affianca il litorale a breve distanza. Dapprima scorrono gli insediamenti urbani della costa, Mola di Bari, le alte scogliere della città di Domenico Modugno, Polignano a Mare, gli arenili di Monopoli. Ci si addentra leggermente, quanto basta per cogliere i tratti distintivi del territorio. All’altezza di Fasano si tocca la Valle D’Itria, cuore della Puglia. A sud dei rialti terrazzati delle Murge, questa zona comprende porzioni di tre province della lunga e stretta regione italiana. Lo sguardo di chi passa inciampa in paesaggi dipinti dalla cultura locale. Campagne e case spuntano da pianure di spighe che han fretta d’ingiallire prima dell’arrivo infuocato dell’estate. Campi decorati di coltivazioni e strade bordate da fichi d’india e alberi da frutto. Muretti a secco testimoni di una maestria quasi dimenticata.

Questa valle esprime la melodia delle note dell’ormai storico festival di musica che porta il suo nome. È un ambiente che apre porte alla serenità nella tranquillità mistica della natura, uno specchio sincero della ruralità avita e sommessamente tramandata. Teli di mandorle sui marciapiedi, vasetti di fichi secchi, pomodori appesi e cesti intrecciati da mani robuste all’uscio delle piccole dimore. Appezzamenti interrotti dai fusti delle piante e dai pinnacoli posti sui coni dei trulli, minuti edifici che hanno murature concluse da un cappello di “chiancarelle” grigie magnificamente sovrapposte. Ad Alberobello ma anche a Noci, Locorotondo, Cisternino e Martina Franca. Non solo immagini per il turismo, i trulli sono un simbolo della genuinità e dell’ingegno della civiltà contadina. La trama paesaggistica si estende anche oltre, fino a includere un borgo tipico fra Valle d’Itria e Salento, Ceglie Messapica. Casolari, oliveti centenari e vigneti generosi. Pietre che danno copertura e confine. Calce naturale che copre, protegge e riflette. Calce che veste di bianco e contrasta col cielo dall’azzurro più intenso. Bianco è il Comune di Ostuni, città interna ma prossima all’Adriatico. I suoi muri, il suo vino. Bianco è colore di valori ancestrali, s’amplifica inondato dai raggi del sole, avvolge le case e il cuore sano delle persone. Lungo i pali su cui s’inerpicano le viti c’è l’incorruttibilità del sorriso della tradizione. La faccia del sud più vero giacché lontano delle vicende schiamazzate dalla cronaca dei carnefici. Il sud che ha radici robuste e germogli ad ogni primavera. Il sud del lavoro fisico quotidiano e dei figli lontani. Il sud dell’accoglienza e della luce che obbliga a fermarsi e a respirare i luoghi. Il sud della storia e della gente di Vittorio Bodini, il poeta che attraversò le correnti artistiche del Novecento e mai dimenticò la sua Puglia, il suo Salento.

La subregione di Brindisi e Lecce è il suolo che spartisce due mari fratelli. In un abbraccio di culture, è l’anticipazione dello spirito greco nei centri ellenofoni, nelle campagne che s’elevano lievemente sul livello del mare. Volteggi di danze scaccia fantasmi e torri che marcano la costa e avvistano l’orizzonte. Un litorale che avviluppa un bassopiano aspro e sassoso, segnato da una rete di vie provinciali e disseminato di villaggi equidistanti. Un luogo per molti sbocco della disperazione e scalo della speranza, situato a meno di cento chilometri d’acqua da popolazioni martoriate e periferiche.

Da Lecce si parte per la meta di questo viaggio, la fine della terra a un angolo del Mediterraneo. Un traguardo da raggiungere mediante un tragitto diritto che divide quasi in parti uguali il territorio arido. Si transita fra le sponde che accolgono i porti sorridenti di Gallipoli e Otranto, finché il percorso muore alla frazione di Santa Maria di Leuca, un’isola di frontiera dove il Santuario “De Finibus Terrae” domina dal promontorio la marina delle barche e delle onde. Un faro tra i più importanti del continente, tracce di antiche popolazioni e grotte carsiche che nascondono un fondale verde smeraldo. Il fascino di un approdo di mare raggiunto dalla terraferma che travolge i sensi allorché si comprende che il tacco dello Stivale ha una punta di cristallo. È l’acqua trasparente dello Ionio che sposa l’Adriatico. È il conclusivo e sommo respiro della penisola. Scogli da un lato e sabbia finissima dall’altro.

Il Salento è il giro di boa, l’estremità che segnala l’Italia alle coste d’Oriente. Un confine di terre e mari, terre al confine coi mari e mari che, in fondo, oltre le terre e le guerre non hanno e mai avranno confine.

FdS – Courtesy of L’ISOLA
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