Salviamo la chiesa di San Giorgio Martire a Bari: un gioiello romanico dimenticato e vilipeso. Alla scoperta degli affreschi di S. Maria del Deserto

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Puglia – La chiesa abbandonata di S. Giorgio Martire, XI-XX sec. annessa all’omonima masseria, Bari – Ph. © Ferruccio Cornicello – All rights reserved Feart ®

“La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli”

Marcel Proust

di Enzo Garofalo

Quello che stiamo per raccontarvi è un frammento di storia di quel tempo millenario di cui sono intessute le radici della città di Bari, visto però nel suo incrociarsi con una realtà di incuria e di abbandono che parla la lingua di questo nostro presente senza memoria; un percorso iniziato diversi decenni fa con l’espansione industriale della città che in alcuni casi ha visto le proprie periferie trasformarsi in luoghi di degrado ambientale ed architettonico di cui ha fatto le spese il ricco patrimonio di paesaggi e insediamenti rurali, con uliveti, masserie fortificate, chiese, ipogei e formazioni geologiche (lame). Quest’ultime, in particolare, da sempre garanti del naturale deflusso delle acque, sono spesso trasformate in discariche di rifiuti di ogni genere oppure fatte segno di interventi edilizi, anche pubblici, del tutto sconsiderati, sprezzanti dei rischi connessi ai fenomeni di piena, per nulla rari a queste latitudini.

Il nostro racconto parte da un luogo emblematico, se non altro perché non è la prima volta che viene fatto oggetto di appelli da parte dei media affinché sia salvato dalla distruzione. Mi riferisco alla piccola chiesa di S. Giorgio Martire, ubicata in un terreno privato che costeggia l’omonima strada, particolarmente nota a Bari perché vi ha sede il Teatro Kismet. Ed è proprio davanti al Kismet che, grazie ad un tam-tam su Facebook, si sono dati appuntamento domenica scorsa un gruppo di cittadini volenterosi capeggiati dal vulcanico Nicola De Toma, presidente dell’Associazione Villaggio Lavoratore Stanic con sede nell’omonimo quartiere di Bari e paladino del territorio cittadino (che conosce a menadito) contro gli assalti di speculatori senza scrupoli e amministratori ignoranti, e dall’architetto Eugenio Lombardi, libero professionista, presidente del ‘Laboratorio Urbano’ di Bari, promotore del patrimonio culturale barese e candidato sindaco alle prossime amministrative. Con lui De Toma condivide il progetto di Eco Museo Urbano del Nord Barese, un’encomiabile iniziativa che, per dirla con le parole degli ideatori, vuole essere “un museo di vita diffuso sul territorio che si propone di documentare, conservare e valorizzare i siti naturali e le manifestazioni della cultura materiale e immateriale all’interno di un territorio di antica antropizzazione ma anche di storica e più recente urbanizzazione, al fine di promuovere una rinnovata reidentificazione.” All’interno di questo recupero di attenzione verso il territorio e i suoi tesori nascosti e vilipesi, si inserisce l’iniziativa dedicata alla chiesa di S. Giorgio, un gioiello romanico risalente all’XI secolo oggi in condizioni di estremo degrado, fra l’indifferenza delle istituzioni.

Unico giornalista presente (nonostante l’invito inoltrato dagli organizzatori alle principali testate cittadine), arrivo in zona in mattinata con il fotografo Ferruccio Cornicello senza avere coordinate particolarmente precise, quando pochi metri prima del Kismet una sagoma bianca fra la sterpaglia attira la nostra attenzione. Ci siamo. Varchiamo un piccolo terrapieno e fra copertoni dismessi, brandelli di polistirolo, sacchetti di plastica e siringhe usate, ci inoltriamo nella boscaglia di infestanti arbusti di ailanto che tolgono respiro ad ulivi e melograni. Qui vediamo sorgere una piccola chiesa in pietra a vista annessa ad una masseria sette-ottocentesca su due piani con tracce di mura cinque-seicentesche. Sul posto troviamo il gruppo di baresi agguerriti ed apprendiamo dall’arch. Lombardi che la famiglia Scattarelli, proprietaria del complesso, ha tentato più volte di richiamare l’attenzione delle autorità su questo bene storico arrivando ad offrirne la cessione gratuita in cambio di una garanzia di recupero. Ma nulla. Il buio più totale. Si aggiunga che vincoli architettonici posti per decreto ministeriale negli anni ‘70 hanno poi impedito ogni possibile iniziativa privata. Eppure il complesso è noto da anni essendo stato oggetto anche del censimento delle chiese rurali del territorio di Bari a cura dell’Università con la direzione della prof. Pina Belli d’Elia.

Facciamo il giro del complesso. Ad ogni passo un motivo di indignazione. Entriamo in chiesa: all’interno una lapide risalente agli anni ’20 ricorda Nicola Scattarelli, promotore di un restauro giustificato dalla perdurante frequentazione popolare del luogo e condotto secondo canoni molto discutibili visto l’indiscriminato uso di cemento. Peraltro è l’unico intervento realizzato finora e ad esso si deve forse la resistenza dell’edificio. Tutte le decorazioni oggi visibili, come gli archetti pensili della facciata, le fasce bianche e blu ad effetto marmo e gli stucchi dell’interno, risalgono a questo intervento e rispecchiano un gusto neomedievale diffuso a partire dall’Ottocento in Puglia e teso a rivendicare l’originalità dell’arte medievale della regione, in questo caso ispirandosi ad esempi di architettura romanica ‘minore’ del XII-XIII sec. tipiche di questa zona.

Un affresco nell’abside, dietro l’altare maggiore estirpato da ignoti, lascia intravedere la sagoma di un cavallo rampante. E’ l’animale in groppa al quale siede S. Giorgio, mentre il drago e la fanciulla sono solo vagamente intuibili nel groviglio di tracce colorate rese illeggibili dal tempo e dai vandali. Su di noi una splendida cupola in asse decorata a eleganti formelle che si ripetono in altri punti della chiesa, sovrasta la pianta centrale a croce greca contratta (caratterizzata cioè dalla contrazione dei bracci laterali che si riducono ad arconi e dalla presenza della cupola all’incrocio dei transetti), a navata unica e orientata. Da essa pendono radici riconducibili a piante pioniere che spaccano la pietra e alterano la stabilità delle strutture, come quel pino nato all’interno del complesso e svettante dalla sommità del tetto. Stucchi e intonaci giacciono sul pavimento per lo più divelto. Un piccolo labirinto di corridoi ci porta poi nei meandri dell’annessa masseria che ad un certo punto si affaccia su quello che fu un giardino – forse un agrumeto – a vialetti ortogonali, adorno di pilastrini e colonnine che dovevano reggere un pergolato. Nella parte posteriore della chiesa spicca l’abside con una apertura ad oculo e i resti di una curiosa copertura a chiancarelle come quelle usate per i coni dei trulli. Su un ampio cortile interno contornato da un muro si aprono invece ambienti di servizio. Il complesso appare così come una sorta di palinsesto, con stratificazioni pluriepocali, ma tutti volti a delineare una struttura padronale con la chiesa diventata cappella gentilizia e un ipogeo destinato alla conservazione di prodotti agricoli.

L’IPOGEO

Già carichi di sorpresa per tanto ben di Dio lasciato morire senza scrupoli non possiamo fare a meno di calarci, sul fianco sinistro della chiesa, in un meraviglioso ipogeo scavato nel tufo cui fa da sentinella un albero di fico a tronco multiplo, in lotta con la pietra da cui spunta. Una serie di ambienti e di vasche, sopravvissuti ai detriti di carbone di una vicina fonderia qui scaricati abusivamente, ci riporta echi di frantoi per l’olio e palmenti per il vino che monaci laboriosi producevano per altri conventi o per acquirenti dei paesi circostanti.

Grazie alle parole affabulatrici di Nicola De Toma ci giunge anche l’eco di una leggenda popolare, quella del piede di S. Giorgio: un’impronta ‘miracolosa’ su una roccia che i ragazzini usavano come unità di misura del proprio piede mettendosi in devota competizione col Santo. Si dice che quella pietra esista ancora, messa al riparo dal gesto pietoso di qualcuno, e chissà, magari un giorno, se ricomparisse, potrebbe trovare una collocazione nella chiesa, se qui anziché dominare il caos si ripristinasse quell’oasi leggiadra di spiritualità che condusse fuori porta i baresi fino agli anni ’60 del Novecento. Intanto ci aspetta anche un’escursione in una vicina masseria nota come S. Maria del Deserto, custode di alcune sorprendenti testimonianze pittoriche ma anch’essa lasciata a se stessa, nonostante i vincoli della Soprintendenza. Prima però di trasferirci in questo altro angolo di periferia barese, fra campagne il cui suolo mostra tracce inquietanti di materiali solido-chimici di ogni genere (amianto compreso), vediamo di ricostruire in sintesi il contesto in cui si inserisce il complesso di San Giorgio Martire, nel tentativo di restituirvi l’immagine originaria di queste nostre radici umiliate ed offese, e nella speranza che qualcuno si decida ad intervenire.

IL CONTESTO E LE FONTI

Ci troviamo “lungo la via vecchia per Bitetto”, che correva nei pressi della depressione naturale della lama Lamasinata (nota anticamente anche come Lama di Senape), anch’essa ancora oggi piena di ipogei, tunnel segreti e bunker della IIa guerra mondiale. La chiesa di San Giorgio sorge all’interno di una tenuta tipica delle masserie suburbane del XVII e XVIII secolo, ma è senza dubbio riconducibile a uno di quegli insediamenti monastici rurali che si svilupparono tra IX e XI modificando grotte naturali, gravine e lame. Non a caso la presenza di tali strutture ipogee in connessione a chiese e masserie è pressoché una costante, come Nicola De Toma ci ha mostrato di lì a poco anche nell’altro sito di S. Maria del Deserto. Maurizio Triggiani spiega in un suo studio come il complesso si trovi lungo un asse viario un tempo importante in quanto punto di snodo dei percorsi che portavano da un lato a Lucignano (oggi vicino Modugno) e dall’altro a Bitetto. La zona era praticamente il regno di edifici rurali dotati di ipogei come la già citata S. Maria del Deserto, S. Caterina, la Masseria Due Torri (o Madia Diana), la chiesa di S. Maria delle Grotte, antico ascetario di S. Corrado di Hildesheim. Un po’ oltre vi era poi il casale di Balsignano, ancora visibile, abitato dai monaci dalmatini fin dal X secolo. Quest’area annoverava poi anche tracciati viarii di epoca romana preesistenti il passaggio della nota Via Traiana: Strabone ed Orazio citano infatti una Via Minucia che da Butuntum (Bitonto) si dirigeva verso Celiae (Ceglie).

I nuovi assetti stradali, i capannoni di tipo industriale e le discariche abusive di cui è costellato oggi il territorio, non sono ancora riusciti a cancellare del tutto gli antichi paesaggi rurali di questa zona ormai unita alla città attuale. Le tracce ancora esistenti sono tali da farci comprendere come agli inizi del ‘900 quest’area fosse ancora una periferia residenziale molto legata alle attività agricole, un assetto peraltro già ben documentato fin dal ‘300 (v. alcuni esempi di masserie della zona nelle foto seguenti).

Quanto a San Giorgio, le primissime notizie in nostro possesso, spiega Luisa Derosa in un suo saggio, risalgono alla Legenda Sacti Guilielmi (XII sec.) in cui si narra di alcuni frati impegnati nella costruzione di una casa vicino a Binetto, i quali avendo finito il vino, mandarono un ragazzo a procurarne dell’altro “presso la chiesa di S. Giorgio, poco distante da Bari” ma lontana dal luogo in cui si trovavano; quand’ecco avvenire il miracolo di una trasmutazione di acqua in vino per intercessione di San Guglielmo. Documenti del XII sec. hanno permesso di accertare che i frati in questione erano dello stesso ordine (ossia quello di S. Guglielmo) dei frati residenti a San Giorgio, chiesa che in quella fase risultava appunto possedimento dell’Abbazia del Goleto di S. Angelo dei Lombardi (Avellino) in Irpinia, complesso conventuale sorto nel 1135 proprio su iniziativa dell’eremita San Guglielmo da Vercelli. Questa ricostruzione ci mostra dunque una chiesa inserita in una qualche struttura agricola, dotata di spazi per la conservazione del vino: forse proprio il bell’ipogeo accanto alla chiesa nel quale ci siamo calati per scattare qualche foto.

Nel XIII sec. si perdono le tracce documentali del complesso di S. Giorgio, ma ciò di cui si dispone basta a collocarlo fra quegli insediamenti sollecitati dalla politica bizantina volta a favorire l’utilizzo rurale di terreni incolti ad opera di piccole comunità. La stessa dedicazione a S. Giorgio, che a Bari si ritrova nella Chiesa urbana di S. Giorgio degli Armeni e nell’omonimo quartiere sud-est, secondo la Derosa, potrebbe far pensare ad una origine bizantina dell’insediamento, non trascurando però che il culto dei santi martiri guerrieri ricompare poi con le crociate. La chiesa torna ad essere citata in documenti del XIV sec. ma è difficile stabilire quando i monaci del Goleto abbiano abbandonato del tutto il luogo. Una indagine attenta sui casali della zona e sulle proprietà delle famiglie nobili baresi potrebbe forse un giorno fornire qualche risposta. Oscure sono le vicende dei tre secoli successivi. Al Sette-Ottocento è riconducibile l’annessa masseria, se si escludono i resti di mura cinque-seicentesche e la presenza di uno stemma coevo sul portale della chiesa, oggi sparito, così come scomparsa è una statua acefala di santo a mani giunte che figurava lungo il muro di cinta. Nell’Ottocento la chiesa di S. Giorgio risulta segnalata ancora come luogo di regolare celebrazione della messa e la zona quale meta di passeggiate fuori porta. Una processione in occasione della festa del santo, il 23 aprile, giungeva qui partendo dalla località Lo pede di S. Giorgio (v. leggenda citata sopra).

ALLA SCOPERTA DEGLI AFFRESCHI DI SANTA MARIA DEL DESERTO

Usciamo dal complesso di S. Giorgio percorrendo l’omonima strada per meno di un chilometro. Superiamo sulla destra una villa-palazzo rossa che ci viene indicata come l’ultima ‘casa chiusa’ extra moenia della città di Bari che smise le sue attività ‘ricreative’ dopo l’approvazione della legge Merlin, e arriviamo in località Deserto. Un nome che a suo tempo dovette evocare una probabile assenza di insediamenti umani, poi comparsi in epoca storica grazie a masserie fortificate di cui ancora oggi persistono tracce cospicue. Oggi quel nome diventa invece oscura metafora delle tante tracce sul terreno di sversamenti abusivi, che vanno dalla gomma all’amianto, o alle siringhe per l’eroina disseminate fra le mura delle masserie diventate ricettacolo di drogati e sbandati di ogni genere. Una fetta di territorio cittadino sfuggita ad ogni controllo. Qui, come fiori germogliati sul letame, sono visibili le antiche strutture della piccola chiesa di S. Maria del Deserto, inglobate fra le mura di una masseria d’epoca più tarda. In realtà si tratta di una piccola cappella a navata unica absidata. In un arcone vi compaiono i resti, abbastanza leggibili, di una Madonna con Bambino in uno stile tardo medievale, forse rifacimento di un affresco precedente di cui si notano tracce illeggibili. Lo sguardo della Vergine rivolto verso l’osservatore, le labbra leggermente dischiuse, evocano l’intensità di una devozione di cui, fra tanto abbandono, si sono perse le tracce. In alcuni saggi curati da Maurizio Triggiani e Luisa De Rosa, e risalenti al 2005, viene citata questa Madonna ma non i due Santi di cui, forse solo più recentemente, sono apparse le sembianze alla destra della Vergine, fuori dall’arcone, a seguito di un cospicuo distacco dell’intonaco bianco che li ricopriva. A colpire è il tratto molto più arcaico dello stile dai forti richiami bizantini. Muniti entrambi di toga e di aureola, uno di essi ha il braccio destro sollevato e ci guarda con gli occhi sbarrati, e non si capisce se sia un gesto di saluto o di anatema…

5 commenti

  1. Ne avevamo parlato giorni prima, annunciando la lodevole iniziativa. Quindi almeno un altro giornalista c’è stato 🙂
    http://www.barinedita.it/storie-e-interviste/n1128-san-giorgio-martire-il-gioiello-abbandonato-nelle-campagne-di-bari

    • E’ chiaro che il riferimento nell’articolo allude espressamente alla giornata di domenica. Comunque hai fatto bene a sottolinearlo. Grazie per la visita.

  2. Franco Cotrone

    Sarei molto interessato a partecipare alle prossime visite alla scoperta di questi “gioielli” dimenticati del nostro territorio. Grazie!

    • Gentile Franco, non siamo noi ad organizzare tali visite, per cui ti consigliamo di iscriverti al gruppo facebook “Complessi Ipogei e Insediamenti Rupestri del Territorio di Bari”, dove molto probabilmente saranno segnalati prossimi appuntamenti. Grazie a te per l’attenzione.

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