di Redazione FdS
Dopo la scoperta delle tracce del più antico vitigno del Mediterraneo occidentale, la Sardegna torna in auge in materia di paleobotanica a seguito della nuova scoperta compiuta a Cabras (Oristano), sulla costa centro-occidentale della Sardegna, dagli archeologi della Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano. Non finiscono infatti di sorprendere i pozzi, antichi più di tremila anni, rinvenuti nel sito nuragico di Sa Osa, che nell’antichità fungevano da proto-frigoriferi per la conservazione di alimenti deperibili. In merito a questi pozzi il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta – dopo aver recentemente pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa – ha comunicato alcune importanti novità.
A rivelarle, il pozzo N, il più ricco di reperti, che è stato ancora più accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici. Tale approfondimento è stato possibile grazie alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza.
Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia.
Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime. Ma soprattutto, cosa ancora più sorprendente, è che l’antico popolo sardo dei nuraghi aveva praticamente già ‘inventato’ la dieta mediterranea più di tremila anni fa, prima ancora cioè che Fenici, Greci e Romani cominciassero a praticare i loro traffici di alimenti da una riva all’altra del Mediterraneo.